
Ritorna, con la seconda avventura dopo "La briscola in cinque", la squadra di investigatori del BarLume di Pineta, detto anche "l'asilo senile". A parte il barista Massimo e la sua banconista, la bella e comprensiva Tiziana, il più giovane del gruppo è Aldo, ultrasettantenne gestore dell'osteria Boccaccio. Seguono Nonno Ampelio, Pilade, il Del Tacca del Comune, il Rimediotti. La loro attività, unica, più che principale, si svolge nel presidiare il BarLume e, dietro il paravento della partita a carte, passare al setaccio tutti gli avvenimenti di Pineta, in un pettegolezzo toscano senza eufemismi e senza ritrosie. Qualche volta resta nelle maglie fitte della rete, un fatto criminale. In realtà è Massimo, pronto all'intuizione ma svogliato all'azione, che è spinto a investigare, richiesto casualmente dal commissario Fusco. I vecchietti fanno da polo dialettico in un contraddire minuzioso che però facilita la sintesi: corale ambientazione umana, provinciale e antiglobalizzata (lenta, senza preoccupazione di efficienza mezzo-fine). Uno sfondo di commedia italiana a dei gialli enigmistici la cui soluzione è affidata alla virtù del ragionamento e alla fortuna del caso. Nel gioco delle tre carte un esercizio di abilità e di elusione fornisce lo schema per risolvere un enigma criminoso consistente nel nascondere ostentando. Nel corso di un congresso, viene ucciso un professore giapponese. La chiave del mistero è in un computer che in apparenza non contiene niente di significativo.
Si tratta di microstorie, ciascuna delle quali è all'origine di un modo di dire, di una "frase celebre" facente parte di una vera e propria mitologia familiare e cittadina, risalente agli anni dell'infanzia dell'autore, quando Porto Empedocle si chiamava ancora Molo di Girgenti. "Non posso in coscienza affermare che le cose qui scritte appartengano esclusivamente alla mia fantasia... quasi tutte mi vennero raccontate da coloro che sono i veri autori di queste pagine, cioè i membri della mia famiglia, paterni e materni."
Due racconti uno dei quali inedito - scritti a quattro mani da Niccolo Ammaniti e Antonio Manzini, che mostrano al meglio la vena grottesca, divertente e allo stesso tempo intrisa di malinconia che caratterizza il grande autore di capolavori come "Io non ho paura" e "Come Dio comanda" (premio Strega 2007). La lettura degli autori rende questi testi due autentici piccoli capolavori teatrali.
Carolina è un avvocato di successo. È bella, ricca di famiglia, ma sembra vittima di una febbrile inquietudine che le impedisce di avere rapporti duraturi con l'altro sesso. Forse perché non è mai riuscita a superare la morte del padre, un noto pittore, apparentemente fulminato da un infarto quando lei aveva appena dieci anni. La sua vita si capovolge il giorno in cui un amico, Roberto, di cui Carolina sta curando la separazione, le dice che la moglie ha cercato di ucciderlo. Carolina si precipita da lei, ma quando arriva, Elena è a terra con un coltello piantato nel petto. Niente impronte, nessuna traccia, nessun movente.
Roberto e Mario sono in quell'età in cui non si è più bambini ma non si è ancora ragazzi. Nell'estate del 1981 giocano a diventare grandi a Madonna della Neve, piccola frazione alpina in provincia di Trento. Per loro la montagna è sentire la concretezza del mondo appiccicarsi alla pelle, muovere il corpo, mischiarsi con i pensieri: ma di quei boschi, di quei picchi, sentono manifestarsi il lato più minaccioso e inquieto. E anche l'amicizia a volte può prendere strade pericolose e portare a pensieri vietati, a sperimentare il proibito. I due amici cominciano a dividere il mondo in bambini-bambini, i più disprezzabili, e i non-bambini, quelli come loro; a saggiare la reciproca resistenza al dolore; a mettere alla prova le proprie paure scavando buche profonde, nell'anno in cui a Vermicino il piccolo Alfredo Rampi perde la vita in un pozzo artesiano. Ma non basta, si deve andare oltre e compiere un'impresa da ricordare, un'escursione difficile anche per adulti esperti, che renda sacra l'amicizia, perché niente possa essere più come prima. E lì, dove comincia l'ascesa alle Colme, ha inizio la colpa che non prevede perdono. Trent'anni dopo, Roberto è costretto a tornare alla casa natia, dopo la morte del padre Carlo. La breve permanenza prevista si trasforma in una cattività obbligata, dove il ricordo dei genitori e di quello che è andato perduto rischia di annientare quanto è stato faticosamente costruito, lontano da lì. Per sistemare l'eredità, Roberto deve trovare Rosa, la madre di Mario, della quale sembrano essersi perse le tracce. Il ritorno diventa per Roberto l'occasione - in parte orchestrata da Carlo in un congedo postumo - per fare i conti con il proprio passato, con le proprie responsabilità, in un crescendo di rivelazioni e scoperte.
Dalle pagine di una rivista di filologia classica un anonimo attacca un professore all'apice della sua carriera. Il motivo occasionale è l'etimologia inesatta di una parola, ma le ragioni profonde di quell'attacco sono invidie, amori, rivalità, gelosie. Nella ricerca del nemico misterioso crolla la maschera di falsità, il castello di certezze culturali ed esistenziali del professore, sfidato in una partita impari con quel giocatore invisibile" che rappresenta il destino di ognuno di noi.
Giocando a dama con la luna ci racconta di quella Germania che, al volgere dell’ottocento, vorrebbe fare convivere il mito della classicità, incarnato nell’antica Grecia e di cui si sente l’erede, con lo spirito militaresco di conquista. Protagonista è l’ingegnere e archeologo berlinese Carl Humann (1839-1936) che da Berlino decide di trasferirsi a Smirne. In breve tempo quello di Carl si trasforma in un viaggio della conoscenza, alla ricerca di un altro mondo e di se stesso, alla ricerca della storia passata (è sua la scoperta dell’altare di Pergamo). Lontano dall’occidente egli riesce a percepire meglio il destino della sua nazione, e proprio le pagine finali ne rivelano il senso metaforico profondo: il miraggio tedesco di reincarnare lo spirito della classicità greca si spegnerà tra le macerie desolanti del bombardamento di Berlino, al termine della seconda guerra mondiale. Resta da aggiungere che lo sguardo della scrittrice sulla storia tedesca non è affatto neutrale, né tanto meno cronachistico, ma rievocato attraverso la prospettiva di un artista, probabile proiezione autobiografica dell’autrice.
Ginnastica e rivoluzione segue le disavventure di quattro ventenni che finiscono a Parigi in cerca di un nuovo Sessantotto nei giorni immediatamente precedenti la grande manifestazione di Genova nel 2001. Sono tutti giovani di belle speranze: grandi ideali, amori un po' troppo gridati per essere del tutto sinceri; ritrovatisi più o meno per caso in una vecchia palazzina, hanno messo in piedi una traballante agenzia fotografica che segue per alcuni giornali le manifestazioni e i picchetti. Armati di macchina fotografica, sapranno immortalare il grande evento. Non tutto, però, va come previsto. Il romanzo si apre infatti con la fuga di Julie, la più confusa e incerta dei quattro, dopo una splendida e disastrosa storia d'amore con T, protagonista e dreamer italiano troppo accecato da ogni genere di sogno per capire veramente quello che sta facendo. La ricerca di Julie - e dell'archivio dell'agenzia con il quale è fuggita - condurrà i personaggi del libro a una serie di disavventure con la polizia, i giornali, le famiglie. E così, in una Parigi mai tanto lontana dagli stereotipi, tra battaglie civili, pedinamenti, ripicche e vendette sentimentali, facendosi strada alla meno peggio fra cicloattivisti, principi del foro e cartomanti televisive, i quattro ragazzi arrivano alle soglie di quello che vorrebbero l'inizio della grande storia... rischiando di perderla.
Gilda ha partecipato nel Sessantotto alle lotte studentesche. A metà anni Settanta, quando ormai il movimento si è frantumato, la giovane ha intenzione di entrare nelle Brigate Rosse. Stefano la ama e cerca in ogni modo di impedirglielo. Tra i due giovani si istaura un rapporto profondo di affetto, ma Gilda non crede nell'amore e, imbevuta di ideologia, passa alla clandestinità. Una storia di amore e di piombo sullo sfondo della Maremma toscana, dove la natura è selvaggia e allo stesso tempo bella e affascinante. Età di lettura: da 10 anni.
In una Roma inedita e misteriosa, sospesa tra il presente e l’eternità, si muovono i protagonisti di questo romanzo d’amore e di iniziazione. Come in una sorta di “Cielo sopra Berlino” di inizio millennio, tra le strade e i segreti della città si incrociano non soltanto le storie di ragazzi come tanti, ma anche le storie di fantasmi che continuano a vivere tra i vivi e interagiscono con loro. Un varco segreto e misterioso eppure vicino a ognuno di noi, un giardino elettrico, rimescola i piani dell’al di là e dell’al di qua: in essi si intrecciano le storie di Giuseppe, innamorato di Benedetta; di Davide, amico fraterno di Giuseppe, che da quando ha rotto il suo fidanzamento con Ludovica non è più capace di amare; di Ludovica stessa, che si ostina a vivere in un passato che non c’è più e che in sogno trova il passaggio per il giardino elettrico: infine, della ragazza del Big Star, con forti tendenze masochiste, la traccia di ali sulle sue spalle e il rimpianto di un grande amore perduto. A varcare la porta dei vivi, Giulia Durer, suicida, che sembra il doppio oscuro della ragazza del Big Star, e Epic, fantasma di una rock star inglese, che in Davide rivede se stesso: loro, che osservano i vivi e i morti vagare per Piazza Venezia, toccheranno le vite dei protagonisti di questa storia cambiando per sempre il corso del futuro. È a Roma infatti che per tutti loro il tempo tornerà su se stesso, fermandoli infine alle soglie dell’aldilà, dove la sorte di ognuno dovrà sciogliersi per sempre o restare incompiuta. Un esordio narrativo audace, che unisce avventura e lirismo, amore e sogno, passioni e un erotismo soffuso e avvolgente, al cui centro campeggia l’idea che la realtà visibile nasconde sempre un’altra realtà e che in circostanze particolari queste due dimensioni si tocchino oltrepassando il corso del tempo e del destino.