
Il testo è un romanzo sulle vicende dell'infanzia di Gesù. L'Autore non tradisce il dato evangelico ma lo arricchisce di dialoghi e del racconto di situazioni che possono verosimilmente essere accaduti a Maria e Giuseppe prima della nascita del bambino e poi nella casa di Nazaret. Con uno stile dialogico, il testo vuole quindi presentare l'annunciazione dell'angelo alla Vergine, la sua visita alla cugina Elisabetta, gli eventi di Betlemme, l'incontro del piccolo Gesù con il vecchio Simeone e la profetessa Anna, la presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme e il suo ritrovamento, nel Tempio, tra i dottori della legge.
La struttura, i personaggi, gli episodi più significativi e il valore di passaggio cruciale all'interno della cultura italiana del Rinascimento della "Gerusalemme liberata". Dagli esordi carichi di speranze del Tasso dei primi anni Sessanta del Cinquecento all'ostinazione nel riscrivere il poema durante gli ultimi anni di vita, fino alla stampa della "Gerusalemme conquistata", attraverso tutte le fasi della composizione dell'opera. Passo dopo passo, sono illustrate le scelte narrative del poema in venti canti della conquista di "Gerusalemme" e analizzati i personaggi principali: da Goffredo a Rinaldo, dagli eroi pagani alle figure femminili. Con uno sguardo d'insieme, gli ultimi capitoli sono dedicati ad alcuni temi decisivi e agli elementi espressivi che fanno della Gerusalemme liberata il capolavoro della letteratura italiana del Cinquecento.
“Una sorta di inchiesta d’epoca su come si viaggiava nel Trecento. Concretezza, brio, realismo: il viaggio come avventura”
Nella primavera del 1358 Petrarca ricevette l’invito da Giovanni Mandelli, uomo d’arme ma di buona cultura, di recarsi con lui in Terra Santa in pellegrinaggio. Il poeta, che tra le altre cose soffriva il mal di mare, non se la sentì di affrontare il viaggio, che all’epoca era lungo e periglioso. Per accompagnarlo nell’avventura scrisse allora questa lettera. In realtà si tratta di un itinerario suddiviso in due parti. Una prima parte, da Genova a Napoli, che descrive luoghi effettivamente visitati da Petrarca nel corso della sua vita; una seconda, da Napoli a Gerusalemme e Alessandra d’Egitto, ricostruita esclusivamente sui testi degli storici e dei geografi. Nonostante questa eterogenea origine, il testo petrarchesco presenta comunque una sua compatta omogeneità. Di particolare interesse le pagine dedicate alla Campania, in cui il poeta si sofferma con cura a consigliare l’amico di visitare la grotta di Posillipo, l’antro della Sibilla e gli affreschi di Giotto (oggi perduti) presenti nella cappella reale di Castelnuovo. In questa occasione Petrarca definisce Giotto “il principe dei moderni pittori”.
Un testo nel complesso importante, che dà modo a Petrarca di fare i conti con la tematica del viaggio, da sempre al centro delle sue epistole e delle sue preoccupazioni terrene.
Francesco Petrarca, figlio del notaio ser Petracco, guelfo bianco, amico di Dante, esiliato da Firenze e rifugiatosi ad Arezzo, nacque ad Arezzo nel 1304, ma si trasferì con la famiglia l’anno seguente all’Incisa, quindi a Pisa nel 1311 e a Carpentras, presso Avignone dove stava la corte papale di Clemente V, nel 1312. Petrarca compie gli studi grammaticali con Convenevole da Prato e inizia gli studi di diritto a Montpellier. Nel 1318 muore la madre Eletta e Petrarca scrive il suo primo componimento poetico, un’elegia in versi latini. Si reca col fratello Gherardo a Bologna a completare gli studi di diritto. Nel 1325 acquista una copia del De civitate Dei di Agostino e per tutta la vita collezionerà testi classici e manoscritti. Nel 1326 muore il padre e Petrarca lascia Bologna per tornare ad Avignone, dove il 6 aprile del 1327 incontra Laura, nella chiesa di Santa Chiara. Nel 1330 si volge alla carriera ecclesiastica; accompagna in un viaggio Giacomo Colonna, assieme a Lello di Pietro Stefano dei Tosetti soprannominato Lelio e Ludwig van Kempen soprannominato Socrate; entra a servizio di Giovanni Colonna come cappellano di famiglia. Nel 1333 compie un viaggio nell’Europa settentrionale. Nel 1335 Benedetto XII gli concede il beneficio di un canonicato nella cattedrale di Lombez e Petrarca scrive una lunga lettera in versi latini al papa perché riporti la sede papale a Roma. Il 26 aprile del 1336 sale sul monte Ventoso. Nel 1337 acquista una casa in Valchiusa; gli nasce il primo figlio naturale, Giovanni; inizia il De viris illustribus. L’anno seguente ha l’ispirazione dell’Africa, continua le epistolae metricae e inizia i Trionfi. Nel 1340 il senato di Roma gli offre la laurea poetica, Petrarca si reca a Napoli presso il re Roberto d’Angiò per sottoporsi a un esame di tre giorni, dove legge brani dell’Africa, viene poi incoronato poeta in Campidoglio nel 1341. Mentre vive tra Valchiusa e Avignone, inizia a scrivere il Canzoniere e ottiene da papa Clemente VI un canonicato a Pisa. Nel 1343 il fratello si fa monaco certosino a Montrieux e a Petrarca nasce la figlia naturale Francesca. Scrive il primo abbozzo del Secretum, sette Psalmi poenitentiales e inizia i Rerum memorandarum libri. Tra 1344 e 1345 è a Parma, da cui ripara a Verona per l’assedio dei Gonzaga, poi fa ritorno in Provenza. A Valchiusa scrive il De vita solitaria, nuove epistolae metricae, alcune egloghe del Bucolicum carmen, e dopo una visita al fratello a Montrieux il De otio religioso. Mentre si acuisce il dissenso del poeta con l’ambiente della curia, nel 1347 Cola di Rienzo dà il via alla sua “rivoluzione” a Roma e Petrarca che si accinge a raggiungerlo gli scrive lettere di conforto. Fallita l’impresa di Cola, Petrarca da Genova si dirige a Verona, dove sarà nel 1348, l’anno della peste. Si reca quindi a Parma dove riceve la notizia della morte di Laura e di molti amici e protettori, fra cui il cardinale Colonna. Nel 1349 è accolto a Padova da Jacopo da Carrara e lavora alle Familiari e alle epistolae metricae. Intanto stringe amicizia a Firenze con Boccaccio, Lapo da Castiglionchio, Zanobi da Strada, Francesco Nelli. Tornato a Valchiusa, comincia il Sine nomine. Nel 1352 Petrarca decide di lasciare Avignone per l’ostilità del nuovo papa Innocenzo VI e non farà più ritorno in Provenza. Si stabilisce a Milano dall’arcivescovo Giovanni Visconti, considerato da molti un tiranno, cui succederanno i nipoti Matteo, Galeazzo e Bernabò, e compie per i signori importanti missioni. Scrive intanto il De remediis utriusque fortunae. Nel 1354 incontra a Mantova Carlo di Boemia che si reca a Roma a farsi incoronare imperatore. La speranza di Petrarca che l’imperatore resti in Italia va delusa. Nel 1356 inizia la terza stesura del Canzoniere e nel 1359 la quarta. Rivede e ritocca i suoi vari componimenti, scrive l’Itinerarium syriacum. Conosce a Padova Leonzio Pilato da cui vorrebbe imparare il greco per leggere Omero in originale. Nel 1361 scrive una lettera all’imperatore perché torni in Italia e stabilisca la sede di papato e impero a Roma. Intanto il figlio Giovanni muore di peste. Petrarca inizia le Senili. Nel 1362 si trasferisce a Venezia dove ottiene una casa in cambio della promessa di lasciare in eredità alla città la sua biblioteca. Prende a servizio Giovanni Malpaghini di Ravenna per ricopiare i suoi testi. Scrive al nuovo papa Urbano V una lettera per esortarlo a ritornare a Roma e una seconda per non fargliela lasciare; inizia la quinta stesura del Canzoniere; scrive il De sui ipsius et multorum ignorantia. Pensa di trasferirsi definitivamente a Padova presso Francesco da Carrara che gli dona un terreno ad Arquà sui colli Euganei, dove si trasferisce nel 1370. Ha rapporti di amicizia col medico Giovanni Dondi, con l’umanista Lombardo della Seta e coi monaci agostiniani fratelli Badoer. Problemi di salute gli impediscono di recarsi ad Avignone dal nuovo papa Gregorio XI. Lo raggiungono ad Arquà la figlia e la nipotina. Nel 1373 scrive l’Invectiva contra eum qui maledixit Italie, lavora all’ottava copia del Canzoniere e l’anno seguente alla nona e ultima. Muore ad Arquà nel 1374. Feltrinelli ha pubblicato nei “Classici” Canzoniere (1992, 2013).
In questa Guida agli animali fantastici ci sono i prodigiosi esseri che circolavano liberamente nel mondo antico, ippocentauri, manticore, remore, sirene, ircocervi, e che oggi non circolano più, né lo potrebbero, con tutte le regole autostradali, la coltivazione industriale delle campagne, la deforestazione, gli antiparassitari, il traffico marittimo e altro ancora.
Ma in mezzo a loro, altrettanto fantastici, ci sono gli animali che sono rimasti e si incontrano comunemente, il pollo, ad esempio, con il suo sguardo sospettoso e un po’ sprezzante, o le formiche, sempre di corsa e preoccupate per la crisi economica, o le api, socialiste imperterrite fin dalla nascita, o la mucca che rumina e riflette. Che idee avranno su di noi? Sulla vita e sulla morte? Ne sapranno qualcosa o faranno finta di niente? Questi esseri molto prossimi, nostri parenti stretti, però anche distanti come gli extraterrestri, li si può stare a guardare per ore in un prato, o veder traversare come apparizioni una strada, o passare in cielo mentre migrano in Africa: esseri meravigliosi e misteriosi quanto le specie fantastiche e inesistenti.
E da ultimo c’è l’animale forse più fantastico di tutti, senza piume, a due gambe, spettatore del grande spettacolo dell’universo. «Quell’animale che guarda in cielo e dice: cosa sono quei lumini sospesi? E risponde: le stelle. Perché nessun altro animale le ha mai notate, nel corso di tanti milioni di anni e di tante notti stellate che sono passate su questo pianeta.» L’animale chiamato uomo.
Il regno di pace che Conan, lo Straniero, ha costruito, sta crollando sotto l'impatto del gigantesco maremoto che si abbatte sulle coste d'Irlanda. La capitale, Temair Luachra, sede dell'Ard Righ, soffocata dall'arrivo di migliaia di sfollati e da una tremenda epidemia di peste, diventa una porta spalancata sugli inferi. E il popolo perde fiducia nel suo re. Serve un gesto di estremo coraggio per ingraziarsi il favore degli dei e ridare la prosperità alla sua gente. Impotente di fronte alla catastrofe, Conan lascia il potere nelle mani dei druidi e parte accompagnato dalla moglie Gwynedd e dai figli. La sua meta è Inis Ptydain, dove sta sorgendo il Tempio dei Templi, di cui parla un'antica profezia.
1600 a. C. Da giorni la nave era in balia della tempesta. Giorni che erano come notti, in quei mari del Nord, tra l'acqua nera e gonfia d'ira e il cielo buio che incombeva come un pesante sudano. Intorno, solo pezzi di ghiaccio galleggianti, sempre più fitti e minacciosi, con i loro scricchiolii sinistri. Era stata una follia salpare con la brutta stagione, ma quello era il volere di re Hargar, disposto a sacrifica-re la sua Guardia Scelta pur di impossessarsi del bottino dei pirati dell'isola di Toraigh. Vincolati a quell'impresa da un giuramento di fedeltà, i membri dell'equipaggio non poteva no nemmeno abbandonare la nave, pena la vergogna e la dannazione eterna. E così, quel mare sarebbe stata la loro bara. C'è chi giura di aver visto il relitto: intrappolato da una bianca montagna galleggiante, la prua innalzata verso l'alto. Ma poi lo scafo è scomparso, come per dispetto degli dèi. Ora, tra i Lochlann, le genti scandinave, sono in molti a bramare il tesoro disperso. Lo vuole re Hargar, per pagare i mercenari che difendono il suo trono col potere delle armi. E lo vogliono i sudditi stanchi dei soprusi del sovrano, per mettere fine al suo regno. Ma è necessario vincere la grande magia degli dèi del mare per svelare il segreto della nave fantasma, ed è per questo che uno dei dan ribelli chiede aiuto al druido Conan.
Una nuova impresa chiama a gran voce Conan il druido. Si racconta che il relitto di una nave incastonato tra i ghiacci celi nelle proprie stive un tesoro dal valore inestimabile, inghiottito dalle acque scure dei mari del Nord insieme a tutto l'equipaggio. Ora tra i Lochlann, le genti scandinave, in molti bramano il possesso di quel bottino, primo tra tutti re Hargar, che intende servirsene per difendere il trono. E così i suoi sudditi, che, stanchi dei continui soprusi, vedono in quelle ricchezze la chiave della loro libertà. Reclutato dai ribelli affinchè sostenga la loro causa, Conan, con l'appoggio di un gruppo di fedelissimi e noncurante delle insidie che lo attendono, si metterà sulle tracce della nave misteriosa e del suo prezioso carico, appagando ancora una volta il suo innato spirito di avventura.
"Guerra alla tristezza!" è la ricerca di un antidoto all'infelicità. Sessanta storie scritte dagli anni Ottanta sino a oggi, in cui Albinati si avvicina profondamente al dolore per scrutarlo e incarnarlo e poi fuggire verso la fantasia e la bellezza. I toni sono scherzosi, profondi e imprendibili: come se nulla fosse troppo serio per non essere affrontato anche nello spazio di poche pagine, di poche righe. Il coma, la morte, la follia, i fantasmi, le bombe, gli acidi, il mito, l'amicizia. Ogni personaggio richiede che la sua avventura sia narrata con una lingua speciale, inventata da lui e soltanto per lui. Il realismo più puntuale si coniuga a impennate fantastiche. Persino gli animali prigionieri cantano per illustrare la loro condizione ai visitatori dello zoo. E i sogni sono popolati da personaggi presi dalla cronaca e tradotti nel mondo e nella lingua della letteratura. Dialoghi amorosi e filosofici, dispute sull'esistenza di Dio in pizzeria, sul sapore della carne di cavallo, su come guarisce una spalla, su come si salva il mondo sparando o si perdono dieci chili di troppo; e poi Babbo Natale, Peter Lorre, Stephen King, i bombardamenti su Belgrado, Richard Gere nella pubblicità dei Ferrero Rocher; i mujaheddin afghani, Tirana e il dittatore albanese Enver Hoxha, il leggendario bassista Jaco Pastorius; e ancora l'uomo sulla Luna, la Lega, lo sci nautico, la galera e il circo, le operazioni agli occhi, Jimmy Sommerville e Gisele Bundchen, compaiono pagina dopo pagina.
In questo romanzo non si racconta "la guerra vista da dietro le quinte" - in guerra non vi è nulla di teatrale e di fittizio - bensì la graduale scoperta, da parte di un'adolescente, che le parole gonfie di retorica dei bollettini radiofonici fascisti e le bandierine spostate sulla "carta geografica dell'Impero" servono solo a nascondere l'orrore di ogni guerra e il dolore che ne deriva. Nella normale vita di una ragazzina quattordicenne, tra la disciplina del collegio e le libertà estive, i balli serali e le passeggiate in bicicletta, se la guerra appare inizialmente sotto le trionfalistiche spoglie di eroici combattenti, ben presto cominciano a filtrare le prime drammatiche notizie sui soldati italiani mandati allo sbaraglio, nei rigori invernali prima del fronte greco e poi di quello russo. Ma sia la lettera inviata al Duce, per "infondergli coraggio", dalla protagonista insieme a un'amica, sia i fioretti collegiali per propiziare la vittoria finale, non potranno evitare la disfatta e i caotici giorni di incertezza che seguiranno all'8 settembre, tra bombardamenti aerei, rastrellamenti dei soldati tedeschi e repubblichini e finanche razzie di cosacchi... Lungo tutto il romanzo, è la Storia, o piuttosto la follia di pochi, che scrive e riscrive, intreccia e poi dista la vita delle persone, i loro umili eroismi e le loro viltà, siano giovani ebrei fuggiaschi o intere famiglie sfollate in montagna.
Spagna, 1937. In uno scenario di guerra feroce come ogni guerra, vivido e vero come fosse oggi, una strana coppia di italiani di parte franchista - il capitano Degli Innocenti e il suo attendente, l'indimenticabile doppiogiochista Filippo Stella - sprofonda nella ricerca di un cadavere che forse non è un cadavere, visto che taglia teste di uomini vivi. Che cosa troveranno veramente questi due moderni Chisciotte e Sancho, mentre intorno a loro da ogni parte si annuncia l'orrore, non è dato sapere, ma solo intuire.
Chi è l'Artiglio del diavolo? Nei carruggi si parla di lui sottovoce, con orrore. Quando cala la notte le donne tremano al pensiero di incontrano e fare la stessa fine delle altre disgraziate che sono cadute sotto la sua bestiale ferocia. Tutta la città lo cerca. E quale presenza diabolica si aggira tra i carmelitani scalzi di Sant'Anna e profana la casa di Dio sgozzando i preziosi maiali del convento e incidendo una croce sui loro corpi? È come se il Cielo avesse scagliato contro i genovesi due pesti allo stesso tempo, ma il guaritore di maiali, che ama le bestie più degli uomini, è convinto che il Signore abbia faccende più importanti di cui occuparsi e che si debba invece dubitare delle persone. Di tutti, proprio tutti.