
Il mare che si allontana, scintillante nella calura. La fiumara da risalire, gonfia di pietre luminose, i ruderi dei mulini, il bosco di lecci chiazzato del giallo delle ginestre e infine lo scroscio sempre più intenso: è così che Francesco e i suoi amici scoprono un'oasi di pace presso la cascata refrigerante del Giglietto, sopra il paese di Spillace, in Calabria. Il luglio è afoso, e i bagni nel laghetto, seguiti dai saporitissimi pranzi, sono il diversivo ideale per la piccola comitiva di ragazzi e ragazze nemmeno diciottenni, affamati di vita e di emozioni. Ma quel luogo incantevole cela un mistero: in uno dei mulini abbandonati Francesco e Marta incrociano gli occhi atterriti e insieme fieri di un vagabondo, che si comporta come un uomo braccato, cerca di allontanarli ed è addirittura armato. Ma la curiosità buona dei due ragazzi, gli sguardi leali scambiati nell'ombra, hanno la meglio: e presto l'uomo misterioso rivela qualcosa di sé, della ferita che lo ha condotto a nascondersi... Luglio, agosto, giorni in cui la vampa dell'estate si accompagna ai sapori dei fichi maturi, delle olive in salamoia, del pane preparato in casa con un rito affascinante, sul far del mattino. E poi settembre, l'estate che si va spegnendo, il ritorno alla scuola e alla vita usata, la maggiore età che si avvicina: e con essa la consapevolezza che l'incanto non è nulla senza il coraggio, senza l'impegno che ogni vita adulta richiede.
Una grotta, un cranio, una iena, più Pennacchi.
Ma non è un po' strano che una iena all'improvviso, dopo migliaia e migliaia d'anni che s'è portata solo carcasse d'animali nella sua tana, un giorno finalmente si porti a casa un cranio umano, gli allarghi il foro occipitale per mangiarsi il cervello esattamente come fanno anche i cannibali (e fin qua non ci sarebbe ancora niente da ridire), ma poi ci costruisca un cerchio di pietre attorno, ci lasci cadere il cranio dentro ed in quel preciso e stesso istante scatti una frana che chiude la grotta e venga giù tutto il monte Circeo come neanche nell'Isola misteriosa di Giulio Verne? E chi era, Capitan Nemo quella iena?
Dice: «Vabbe', ma c'era proprio bisogno di farci duecento pagine di libro, di andare a scomodare i vivi e i morti, di partire da Adamo ed Eva e dalla lunga notte del fascismo, per raccontarci poi in quattro e quattr'otto che anche il federale Finestra da ragazzo è andato in bicicletta a Grotta Guattari, s'è infilato lì dentro e ci ha visto il cranio ben prima che arrivasse Blanc?».
Sì che ce n'era bisogno. Se no non mi credevi.
a.p.
Con una nota di lettura di Gennaro Matino.
"Idillio con cagnolino" è un fermo immagine sulla perfezione di un triangolo amoroso tra una figlia, una madre e una nonna. Ovvero mette in scena la storia che passa, come una linea retta tra una nonna arcaica e post-bellica, una madre cresciuta nel periodo del boom economico e una figlia digitale. Il risultato non è scontato: nelle luminose affermazioni della bambina, quasi dei piccoli apologhi, si intravede molto del nostro passato, come un filo che si riannoda con la saggezza dei vecchi. Sullo sfondo un dialogo serrato tra città e campagna, tra capitalismo e difesa dell'essenziale, tra grandi temi e piccole osservazioni domestiche. Ecco che "Idillio con cagnolino" mette la sordina per parlare delle grandi ingiustizie sociali e storiche, lo fa ascoltando il punto di vista di una bambina che parla con i suoi giocattoli, con i lupi e le streghe. E noi vediamo i grandi lupi della Storia, i cattivi di sempre. L'Idillio si chiude con il Pianto per la distruzione di Beslan, un allucinato resoconto di come il nuovo millennio sia potuto iniziare con una strage di bambini. L'Idillio rivela la sua natura di incanto provvisorio, di attimo di quiete strappato all'imprevisto, all'incidente, al terrore. E proprio per questo fatalmente vitale.
Roma, inizi di marzo del 44 a.C. Caio Giulio Cesare, il pontefice massimo, il dittatore perpetuo, l'invincibile capo militare che ha assoggettato il mondo alla legge romana, è un uomo di cinquantasei anni, solo in apparenza nel pieno della sua prestanza fisica e psichica. In realtà è stanco e malato, una belva fiaccata e rinchiusa nella gabbia dei propri incubi spaventosi. La missione di cui si sente investito - chiudere la sanguinosa stagione delle guerre fratricide, riconciliare le fazioni, salvare il mondo e la civiltà di Roma vacilla paurosamente sotto i colpi dei complotti di palazzo, orditi da chi vede in lui il tiranno efferato, colpevole, dopo lo strappo del Rubicone, di aver messo per sempre fine alla libertà della repubblica. Cesare è come paralizzato, incapace di reggere sulle spalle il peso di un potere immenso e cerca rifugio nella preparazione dell'ennesima campagna bellica, quella contro i Parti. Ma la logica politica della congiura definitiva incalza implacabile e neppure il sacrificio eroico di Publio Sestio, il più fedele legionario di Cesare, compagno di mille battaglie, che si lancia lungo le strade che portano a Roma in una spasmodica corsa contro il tempo per tentare di salvargli la vita, né la cura devota e amorevole della moglie Calpurnia, le attenzioni dell'amante Servilia e del medico Antistio riusciranno a disinnescarla. I presagi si compiranno, le Idi di marzo deflagreranno e il mondo non sarà più lo stesso.
Una donna giovane, Cristina, irrompe nella vita di due uomini maturi, Paolo e Bernardo. Paolo è architetto, Bernardo un pittore che vive fra New York e Roma e, presto, conoscerà il successo. L'amore per la "donna giovane" influisce prepotentemente anche se in maniera diversa, sui destini dei due uomini. Ma sarà Paolo a pagarne le più amare conseguenze. Rimasti soli in agosto, in una Roma bollente, si confronteranno fra loro scoprendo un'affinità profonda.
Roma, 1928. Ruth Draper, attrice newyorkese, è una donna colta, indipendente, schiva. Si è votata al teatro come una vestale al tempio e non ha mai ceduto alle lusinghe dell'amore. Fino a quando, nella Città Eterna per una tournée, non incontra il giovane e fascinoso Lauro De Bosis. Dandy per eccellenza, poeta per vocazione, antifascista per scelta, aviatore per necessità, Lauro è un visionario ma è anche un uomo coraggioso capace di passare all'azione: con due amici infatti ha fondato un'organizzazione segreta che diffonde messaggi clandestini di propaganda contro il regime. Tra il giovanissimo Lauro e la matura Ruth, nonostante diciassette anni di differenza, scoppia un amore travolgente e tragico, che si cementa nella lotta al fascismo. Sullo sfondo, l'Italietta del regime, ma anche l'inquieto mondo dell'antifascismo in esilio, tra Parigi, Londra e Bruxelles e l'America divisa tra i fremiti del jazz, la cappa del Proibizionismo e la Grande depressione. Dopo Il caso Kaufmann, Giovanni Grasso torna a mescolare storia e invenzione, ricostruendo nei dettagli l'epopea e il ricco mondo di relazioni di un eroe dimenticato che fece tremare la dittatura: la sera del 2 ottobre 1931, a bordo di un piccolo monoplano, Lauro De Bosis sorvolò Roma, beffando clamorosamente il regime, prima di scomparire nel Tirreno al termine di un volo fatale compiuto in nome della libertà.
Adelina ha un destino segnato: diventerà ianara, come sua madre, come sua nonna. Al pari di loro, potrà attraversare ogni porta, anche quella che separa la vita dalla morte. E sarà dannata. Vivrà in una capanna sui monti dell'Irpinia - una terra nel dopoguerra non ancora toccata da quel che avviene altrove, in un'Italia apparentemente remota - come una bestia selvatica; gli uomini e le donne verranno a supplicarla di aiutarli quando avranno bisogno di curarsi, di vendicarsi, o di liberarsi di un figlio non voluto - e la schiveranno come la peste se oserà avvicinarsi al paese. Per sfuggire a tale destino Adelina si incamminerà da sola per boschi e per montagne, finché non giungerà in vista di un grande e magnifico palazzo, proprietà di un Conte: vi entrerà come l'ultima delle sguattere e - sorta di funebre, allucinata Jane Eyre, schiava amorevole e possessiva fino al delitto - servirà e accudirà il padrone con assoluta, cieca fedeltà. Gli rimarrà accanto anche quando il palazzo sarà ridotto a una splendida rovina, quando più nessuno ci metterà piede per paura della maledizione che lo ha colpito dopo i tragici eventi di cui è stato teatro: il misterioso omicidio del figlio del Conte, l'orrendo suicidio della temibile Signora, la scomparsa della piccola Lisetta a cui il Conte era legato da un torbido affetto - e lei, Adelina, sarà rimasta la sola ad aggirarsi silenziosa nelle immense sale vuote.
Con una lingua asciutta, potente, evocativa, Licia Giaquinto ci trascina in una trama fitta di storie e di magia, dove animali, uomini, cose si fondono e si trasformano di continuo. Così come è destinato a trasformarsi, di fronte a una minacciosa «modernità», quel mondo arcaico che ci si squaderna davanti, e che ha anch'esso un destino segnato: quello di scomparire, per essere evocato solo da chi ancora ce lo sa raccontare.
"I Viceré si iscrive a mio avviso nel capitolo delle grandi saghe che con la potenza di un affresco narrano alcuni decenni di storia attraverso le vicende di una famiglia, di una stirpe, di un ceto sociale, assunti come monade del mondo che li circonda. [...] I Viceré è una disperata, sofferta, dolorosa confessione. La confessione di un essere umano che si identifica totalmente con una precisa società, e ne racconta i fatti e i misfatti con una oggettività insistita e impietosa; come un serial killer che una volta preso e smascherato svuota finalmente il sacco dei suoi delitti, rivelandone addirittura di insospettati. [...] I Viceré è dunque davvero un lungo, dolente monologo. Dal suo senso più profondo possono anche distrarre i fatti, i conflitti, i personaggi che ne animano le pagine, e che nel romanzo tengono desta l'attenzione, incuriosiscono, e addirittura appassionano. Ma il più autentico filo conduttore è quello: il dolore, forse anche la disperazione, che ne fanno il sofferto epicedio di questa società di naufraghi della Medusa, atavicamente impotente, alla quale l'autore è atavicamente legato e alla cui sorte si immola." (dalla prefazione di Luigi Lunari)
Straordinario romanzo della letteratura popolare e colta italiana, sottovalutato dai suoi contemporanei, I Viceré è una saga epica di inaudita ricchezza, che esplora la storia e le vicende esistenziali dell'antica famiglia catanese d'origine spagnola degli Uzeda di Francalanza. L'opera, pubblicata nel 1894, costituisce il secondo volume d'una trilogia e si cala a pieno in un'epoca di rivolgimenti di cui De Roberto è tra i massimi interpreti. Considerato oggi un grande classico della letteratura italiana, è la storia di ogni tempo, ricca di agganci storici e narrazioni incrociate tra i personaggi, nello scenario storico di una Sicilia splendida e decadente.
Perché leggere oggi l'"Iliade" e l'"Odissea"? Perché perdere tempo con la mitologia che racconta storie vecchie di migliaia di anni? Perché, parola di Luciano De Crescenzo, le storie degli eroi e degli dèi dell'Olimpo sono piene di colpi di scena, di amori, tradimenti, viaggi da sogno e vendette. Perché la mitologia è "la capostipite di tutte le telenovelas, la madre di tutti i romanzi d'avventura, il prototipo di tutti i serial". E, per dimostrarlo, l'ingegnere-filosofo racchiude in questo ricco volume tre dei suoi più amati bestsellers, dedicati ai personaggi dei poemi omerici: "Elena, Elena, amore mio", che racconta la guerra di Troia rivissuta attraverso lo sguardo caustico del guerriero storpio Tersite; "Nessuno", che fa rivivere la figura ambivalente di Ulisse, coraggioso e bugiardo, intelligente e imbroglione; infine "Ulisse era un fico", atto d'amore per l'ideatore del cavallo e per tutti i miti greci, dedicato al nipote, al quale Luciano vuole trasmettere la sua passione per le storie da cui è nata la cultura occidentale.