
Il racconto parte da una semplice constatazione: se per noi che viviamo nelle moderne città occidentali è facile affrontare l'inverno, per molte persone non è così. E doversi preparare ai lunghi mesi di gelo è un problema che riguarda non soltanto paesi lontani come la Patagonia o la Sibera, ma anche certi villaggi isolati delle nostre montagne. L'autore offre quindi una serie di "istruzioni per l'uso": una sorta di manuale in cui racconta come ci si prepara ai rigori invernali in assenza degli agi messi a disposizione dal progresso. Non mancano neanche i consigli per restare in buona salute. E ciò che emerge da tanti consigli pratici è il ritratto di un'esistenza vissuta secondo ritmi antichi. In attesa della primavera.
Mario Rigoni Stern racconta come ci si prepara ai rigori invernali in assenza degli agi messi a disposizione dal progresso. Prima di tutto, bisogna fare provviste, accumulare e conservare cibo: i prodotti dell'orto, le patate ammucchiate in cantina, la farina da polenta. E poi bisogna badare al freddo: la legna di faggio è la migliore perché non sporca il camino, e la temperatura si tiene d'occhio controllando che l'acqua lasciata in un secchio non geli. Non mancano neanche i consigli per restare in buona salute: la grappa scaccia l'influenza, il miele di salvia fa bene alle vie respiratorie. E ciò che emerge da tanti consigli pratici è il ritratto di un'esistenza vissuta secondo ritmi antichi, ritmi che permettono di vivere in armonia con la natura e di dedicarsi allo spirito perché resta il tempo per riflettere e per leggere. In attesa della primavera.
Coltivare la terra, prendersi cura di creature viventi, stare all'aria aperta, fare un lavoro manuale, ascoltare i ritmi delle stagioni, comprendere le esigenze profonde di un fiore: gesti che ci fanno sentire bene e ci aiutano a capire meglio il nosro percorso. Sagge e silenziose compagne di viaggio, le piante hanno molte cose da insegnarci.
Decano degli psicoanalisti junghiani e uomo di grande spessore intellettuale e umano, affascinato dal mondo degli artisti, attratto in particolare dai pittori, l'ottantreenne Mario Trevi ripercorre le tappe più significative della sua esistenza. La sua esperienza da partigiano nel 21° reggimento di fanteria durante i difficili e amari anni della guerra, la conoscenza di Fenoglio, il periodo d'analisi con Bernhard, il grande analista junghiano. In questo libro, nonostante il suo carattere schivo, Mario Trevi si è prestato alla "tortura" di un dialogo col figlio Emanuele, che ha attentato alla sua "proverbiale riservatezza", inducendolo a rievocare episodi, a volte anche intimi e delicati, della sua vita. Per Mario Trevi le qualità essenziali del buon analista sono l'empatia, la pazienza, una certa dose di intelligenza e di intuizione.
Tra i massimi esponenti del Gruppo '63, Antonio Porta (Milano 1935-Roma 1989) è una delle voci più alte della poesia italiana d'oggi. "Non sono un poeta-ciotolo / come Beckett / non interrogo i cieli di carta / pesta del teatro / vi concesso che non so / interpretare le costellazioni / né stare lì a guardarle dal buco / del cortile a meraviglia / ma uso quelle delle parole a / mosaico compongo e / ricompongono / per parlarla insieme questa / lingua questi linguaggi / solleviamola la lingua a / vedere che c'è sotto / parliamola la parola svelata / con le radici senza pudore / (questo biglietto vi consegno a / futura memoria). Antonio Porta da "L'Aria della fine".
Vengono riconosciute due nervature profonde che attraversano tutto il percorso narrativo dell'opera, conferendole uno spessore e un valore semantico passati finora del tutto inosservati: da un lato un nascosto lacerante conflitto ideologico con Guido Cavalvanti, che, esploso dopo la dedica a lui della Vita nuova, effetto di quella dedica, trova il suo esito poi nella Commedia; dall'altro una velata ma progressivamente scoperta ambizione di dare all'opera una valenza per cui essa sia non soltanto il messaggio, pur altissimo, di un poeta, ma il contributo di un uomo di fede che, sostenuto dalla grazia di Dio, intenda adempiere a una missione di salvezza dell'umanità. Perciò l'appello al «sacrato poema», il «poema sacro, / al quale ha posto mano e cielo e terra», che potrà meritargli «l'amato alloro», l'incoronazione poetica, convalida e sigillo del felice compimento della sua "missione".
Quando il commissario De Luca, appena richiamato in servizio dopo cinque anni di quarantena, si sveglia da un incidente quasi mortale, non gli occorre troppo tempo per mettere in fila le tante cose che non tornano. Da lunedì 21 dicembre 1953 a giovedì 7 gennaio 1954, con in mezzo Natale ed Epifania, mentre la città intirizzita dal gelo scopre le luci e le musiche del primo dolcissimo consumismo italiano, tra errori, depistaggi, colpi di scena il mosaico dell'indagine, scandita come un metronomo, si compone. E ciò che alla fine ha di fronte non piace affatto a De Luca. Per il ritorno del suo primo personaggio, amatissimo dai lettori, Lucarelli ha saputo evocare una Bologna che non avevamo mai visto così. E ha saputo tessere il più imprevedibile, misterioso romanzo, dove la verità profonda di un'epoca che non è mai interamente finita emerge nei sentimenti e nella lingua dei personaggi.
Sita è l'unica figlia del capo di Kathputli - un villaggio del Rajasthan, nel nord-ovest dell'India -, un uomo ricco, discendente da una nobile stirpe di bramini. Rama è l'ultimogenito di una famiglia di dalit, gli intoccabili. Suo padre spazza le strade del villaggio e lavora in condizioni servili nelle terre del padre di Sita. L'invalicabile muro delle divisioni di casta separa i due ragazzini, che nonostante le rigide regole sociali iniziano a frequentarsi di nascosto. Quando Sita, contro la sua volontà, viene promessa in sposa a un importante medico di Jaipur, molto più vecchio di lei, i due ragazzi, alla vigilia del matrimonio combinato, decidono di fuggire e di far perdere le loro tracce. Ma la vendetta e la ritorsione li inseguiranno a lungo. Un'emozionante storia vera, che riverbera le tradizioni e le contraddizioni dell'India contemporanea attraverso la vicenda di due ragazzini.
"Non riesco a escludere che la nostra esistenza sia decisa da pochi, dai bei sogni o dai capricci di pochi, dall'iniziativa o dall'arbitrio di pochi... Certo è un'ipotesi atroce. Ancor più sconsolato ti chiedi come siano quei pochi: più intelligenti di noi, più forti di noi, più illuminati di noi, più intraprendenti di noi? Oppure individui come noi, né meglio né peggio di noi, creature qualsiasi che non meritano la nostra collera, la nostra ammirazione, la nostra invidia?" Così scrive la Fallaci nella premessa a "Intervista con la storia", testo appassionato e coraggioso che raccoglie le interviste di Oriana alle figure che hanno segnato il corso del secondo Novecento, da Henry Kissinger a Willy Brandt, da Golda Meir a Indira Gandhi, da Arafat a Hussein di Giordania, da Nenni ad Amendola, fino a Giulio Andreotti. Pubblicato nel 1974, il libro trasmette tutta la caparbietà della Fallaci, la sua voglia di capire il mondo e gli uomini, il suo stile inconfondibile, la forza della sua scrittura. E ancora oggi risuona come una condanna spietata del potere, un invito alla disubbidienza, un inno appassionato alla libertà. Prefazione di Federico Rampini.
Nel 1974 Oriana Fallaci pubblica “Intervista con la storia”. È un libro che fa epoca, viene tradotto nel mondo, studiato nelle università, continuamente ristampato. Nessuno, come lei, era riuscito ad avere accesso a personaggi così importanti, quelli che potevano realmente decidere del destino dell'umanità. Ma a una giornalista del suo calibro, non poteva bastare: in seguito mette a segno per il “Corriere della Sera” due straordinari reportage dall'Iran di Khomeini e dalla Libia di Gheddafi, che compongono la prima parte di questa “Intervista con il Potere”. E nelle interviste - realizzate dal 1964 al 1982 come inviata dell'“Europeo” - della seconda parte sfilano ancora davanti al lettore i nomi che hanno fatto la storia della fine del Novecento: Robert Kennedy, James Farmer, il Dalai Lama, Rascida Abhedo, Faruk El Kaddoumi, Sandro Pertini, Giovanni Malagodi, Ugo la Malfa, Giancarlo Pajetta, Enrico Berlinguer, Deng Xiao-ping, Lech Walesa, Mieczyslaw Rakowski, Ariel Sharon. Un ritratto del Potere fatto senza soggezione, lontano dalle gentilezze di rito, inedito, sorprendente e rivelatore.
"Interismi" mescola entusiasmi recenti e inevitabili memorie, opinioni fulminanti e citazioni classiche seguite da discussioni omeriche (se l'Inter è Ettore e la Juve è Achille, il Milan è Patroclo o Ulisse?). Insieme ai giudizi sulle squadre rivali e ai ritratti dei giocatori neroazzurri, ci sono le 'interviste impossibili' a Peppino Prisco (che si è temporaneamente giocato il paradiso coi commenti su Lazio-Inter). "Interismi" dimostra come la passione sportiva non debba nutrirsi d'odio e aggressività. Bastano l'affetto, l'entusiasmo e quell'autoironia sentimentale diventata ormai il marchio dell'Internazionale Football Club.
Sanguinario killer di camorra, Ferdinando si è conquistato sul campo il rispetto dei boss grazie alla geometrica freddezza con cui esegue le condanne a morte. Catturato e incarcerato, viene accusato tra l'altro dell'omicidio del giornalista Giancarlo Siani. Ed ecco che con inaspettata determinazione, il camorrista si dichiara innocente. Non bastano le dita di due mani per contare i suoi omicidi, ma quello no, lui non l'ha commesso. Comincia così il tormentato dialogo con il giovane magistrato che indaga su quel caso, guidato dall'istinto che lo porta a intravedere, dietro la scorza del gelido camorrista, un inquieto bisogno di sfuggire all'opprimente spirale del crimine. A pungolare il giudice, un vecchio segugio, un commissario che conosce Ferdinando da sempre e del ventricolo malavitoso di Torre Annunziata intende ogni palpito. Di interrogatorio in interrogatorio Ferdinando si ritrova esposto al peggiore dei marchi che un camorrista possa conoscere: infame. Il narratore, che è stato a lungo l'avvocato di Ferdinando, ripercorre il doloroso lavorio interiore che lo spinge quasi suo malgrado a liberarsi dalla stretta dell'appartenenza al clan. A sostenerlo il candore e il coraggio di Anita, che dei crimini del marito non sa quasi nulla, e tiene insieme i pezzi di una vita esplosale tra le mani all'improvviso.