
La mia mente s’interroga sul senso dell’uomo.
Su questi temi occorre soltanto fare silenzio
interrompendo anche lo scorrere delle parole che,
di fronte al mistero, sono inutile rumore.
Vittorino Andreoli
Dal silenzioso nulla, secondo il testo biblico, Dio creò il cosmo: un sistema in equilibrio, nel quale regnava l’armonia. Poi plasmò l’uomo che, a immagine e somiglianza di Dio, rimodellò il creato rendendolo un insieme di rumori, smog, movimento caotico e disordine: quel “mondo civilizzato” che sempre più schiaccia la natura. Ma se qualcuno si ribellasse a tutto ciò? Un uomo incapace di sopportare gli orrori della civiltà, che sogna di allontanarsi dai suoi simili per immergersi nel silenzio, è convito che esistano ancora frammenti di Eden che possono salvare il genere umano. Si mette così alla ricerca di una terra vergine, anteriore alla nascita di ogni cosa, dove la natura domini ancora incontaminata. Il luogo ideale per una seconda genesi, in cui la mano umana possa ripetere l’opera divina e tutto venga nuovamente alla luce in sette giorni, restituito alla perfezione originale. In questa sorprendente prova letteraria, Vittorino Andreoli ci fa riscoprire l’avventura della creazione vista e interpretata nella contemporaneità: una rinascita di ogni cosa che è prima di tutto la rifondazione di noi stessi.
Da quando è uscito il primo "Dizionario delle cose perdute", Francesco Guccini non può fare un passo, per strada, senza che qualcuno lo fermi per suggerirgli con entusiasmo e commozione qualche oggetto "del tempo andato" che merita di essere ripescato dal veloce oblio dei nostri anni e celebrato dalla sua penna. Dall'idrolitina ai calendarietti profumati dei barbieri, dal temibile gioco del Traforo alle cabine telefoniche, dal deflettore all'autoradio passando per i "luoghi comodi" e i vespasiani, le letterine di Natale piene di buoni propositi da mettere sotto il piatto del babbo, le osterie (quelle vere, senza la H davanti per darsi un tono) e molto altro, Guccini torna a scavare nel passato che ha vissuto in prima persona per riportarcelo intatto e pieno di sapore. E con questo suo catalogo delle cose perdute dà vita a un personalissimo genere letterario nel quale l'estro del cantautore - capace di condensare in poche strofe un universo intero di emozioni -, la sua passione storica e filologica e la sua vena poetica trovano sintesi piena: regalandoci pagine in cui ogni oggetto, ogni situazione, suscita intorno a sé un intero mondo, sempre illuminato dalla luce di un'insuperabile ironia.
Da quando è uscito il primo "Dizionario delle cose perdute", Francesco Guccini non può fare un passo, per strada, senza che qualcuno lo fermi per suggerirgli con entusiasmo e commozione qualche oggetto "del tempo andato" che merita di essere ripescato dal veloce oblio dei nostri anni e celebrato dalla sua penna. Dall'idrolitina ai calendarietti profumati dei barbieri, dal temibile gioco del Traforo alle cabine telefoniche, dal deflettore all'autoradio passando per i "luoghi comodi" e i vespasiani, le letterine di Natale piene di buoni propositi da mettere sotto il piatto del babbo, le osterie (quelle vere, senza la H davanti per darsi un tono) e molto altro, Guccini torna a scavare nel passato che ha vissuto in prima persona per riportarcelo intatto e pieno di sapore. E con questo suo catalogo delle cose perdute dà vita a un personalissimo genere letterario nel quale l'estro del cantautore - capace di condensare in poche strofe un universo intero di emozioni -, la sua passione storica e filologica e la sua vena poetica trovano sintesi piena: regalandoci pagine in cui ogni oggetto, ogni situazione, suscita intorno a sé un intero mondo, sempre illuminato dalla luce di un'insuperabile ironia.
Il terzo millenio sembra caratterizzarsi per la capacità e la forza di usurare tutto ciò che tocca. Sembra che l'evoluzione della specie umana abbia dato vita a una sorta di evoluzione anche in campo sentimentale. Sono rimaste inalterate le parole per dirli, come delle sterili etichette, ma sono cambiati i significati di riferimento. Con questo libro, alcuni amici scrittori si interrogano sul vuoto creato dalla scomparsa di sentimenti antichi e conosciuti, e sull'entità di nuovi sentimenti con cui l'uomo si sta confrontando.
I "Nuovi racconti romani" di Alberto Moravia sono stati scritti tra il 1954 e il 1959 e costituiscono la naturale continuazione del discorso avviato con i precedenti "Racconti romani", considerati dalla critica centrali nella produzione moraviana. Anche nei "Nuovi racconti romani" il mito proletario influisce non soltanto sulla visione del mondo, ma anche sulla scrittura che è leggermente "romanesca" come appunto il linguaggio corrente di Roma che non è più affatto dialettale come ai tempi dei Belli, ma appena velato da un superstite accento locale. La vastissima compagine di questi racconti, una vera e propria commedia umana, può apparire anche come una puntigliosa verifica della disfatta che insidia i propositi della vita.
Nel 1953 Alberto Carocci e Alberto Moravia fondano "Nuovi Argomenti", da allora la rivista è rimasta un punto di riferimento per il mondo intellettuale e letterario italiano. In tutti gli anni di attività si sono alternati alla direzione i principali protagonisti della scena culturale italiana, da Pasolini a Sciascia, da Bertolucci a Siciliano, fino all'impegno attuale di Dacia Maraini. Negli ultimi anni "Nuovi Argomenti" ha saputo dimostrare la sua straordinaria vitalità scommettendo su molte delle voci più interessanti della nuova generazione di scrittori, tra le quali quelle di Alessandro Piperno, Roberto Saviano e Paolo Giordano.
«Elusivo, inafferrabile, frivolo e coraggioso come Ulisse, Savinio è un profugo, un favoleggiatore, un esule, un estraneo: questa affollata Nuova Enciclopedia è un libro desolatamente solitario, felicemente solitario. Ilarità e angoscia inseguono il profugo, lo incalzano, vogliono che egli racconti. All'infinito, di voce in voce, da Giostra a Libertà, da San Sebastiano a Travestimento, l'enciclopedico divaga. Il suo universo è discontinuo, senza approdi, soprattutto senza destinazione. Non si troverà mai il cosmo, non si indagherà mai il significato. Non esiste profondità, ma solo una infinita serie di superfici. Il mondo è una liscia pelle che nasconde altre pelli lisce: all'infinito ... Prosatore di una mobilità, una grazia, una tenerezza straordinarie, questo classico surreale, tra Apollinaire, Anassagora e Agnolo Firenzuola, sta ritornando nella nostra letteratura, in questo lento squallore del tardo Novecento, con la sua dimensione provocatoria, e insieme la sua gentilezza, l'oltraggiosa delicatezza del suo gesto di scrittore.» (Giorgio Manganelli)
Questa «Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante (NECOD)» è stata concepita - unitamente al «Censimento» e alla «Edizione Nazionale dei Commenti danteschi», che la integrano - come massimo omaggio a Dante nel Settimo Centenario della morte: 1321-2021. A distanza di cento anni dalla «Edizione del Centenario» de Le Opere di Dante, il volume che nel 1921, in occasione del Sesto Centenario della morte, offrí ai lettori di tutto il mondo quello che è rimasto fino ad oggi il testo di riferimento dell'opera dantesca, frutto del lavoro pluriennale di un'équipe di insigni studiosi coordinati da Michele Barbi, sono sembrati maturi i tempi per un decisivo passo avanti: non solo un nuovo testo di tutte le opere, riveduto e aggiornato ai progressi piú significativi della filologia internazionale, ma finalmente un commento di grande respiro, integrato ove occorra da appendici di documenti utili a meglio illustrare il discorso storico e critico, in grado di scavare a fondo nel dettato dantesco e cogliere tutte le valenze comunicative di un messaggio estremamente complesso, talvolta studiatamente criptico, ancora in parte da scoprire e capace di suscitare emozioni forti anche nei lettori di sette secoli piú tardi. La selezione attenta dei Curatori e la supervisione di una Commissione scientifica che include alcuni tra i maggiori specialisti italiani e stranieri, un rigoroso sistema di controlli, idoneo a garantire un margine minimo di sviste o errori, insieme con un ricco apparato di indici e repertori che consenta un'agevole fruibilità dei volumi, distinguono questa «Nuova Edizione» come una proposta senza precedenti nella storia degli studi danteschi. In coincidenza con il Centocinquantenario dell'Unità d'Italia, che si compirà nel 2021 con i centocinquant'anni di Roma capitale, l'omaggio più degno della Patria al suo grande Poeta che ne ha presentito il destino di nazione, plasmandone la lingua e l'identità culturale.
Composto probabilmente tra la fine del 1302 e i primi mesi del 1305, il trattato sull'eloquenza volgare, lasciato interrotto al secondo libro, è certo tra le voci più importanti del Dante della maturità, contributo fondamentale per capire l'evoluzione del suo pensiero in tema di lingua e di poesia volgare, forse già in fase di ideazione, se non di preparazione, della Commedia, maturata più tardi. Il curatore, Enrico Fenzi, proponendo interessanti varianti di lezione al testo corrente, ne offre una nuova impegnativa edizione corredata di una originale traduzione e di un ampio commento, che cerca di cogliere le suggestioni del discorso dantesco su un tema nuovissimo per il tempo e nel contesto storico in cui veniva affrontato, indagandone le "fonti". Importante novità di questa edizione sono le due serie di testi franco-provenzali e italiani che riproducono integralmente i documenti poetici citati e talvolta discussi da Dante e la seconda appendice con il volgarizzamento del trattato di Giovan Giorgio Trissino, che nel 1529 ha offerto la prima edizione a stampa (tradotta) dell'opera, prima di fatto sconosciuta. Completano l'edizione una preziosa "Nota su La geografia di Dante" di Francesco Bruni, corredata di una serie di cartine geografiche che vogliono offrire un quadro della visione dantesca dell'Europa e dell'Italia geolinguistica, nonché "politica", in base alle conoscenze geografiche del suo tempo, e vari Indici.
E se il divino Dante avesse esplorato la nostra disgraziata contemporaneità? Nella cinquantina di brani apocrifi della Commedia pubblicati in questo libro, che si suppongono scritti dal Poeta durante l'esilio, l'austera tensione etica del Fiorentino si realizza nella consueta potenza immaginaria e stilistica. Percorrendo con Virgilio, di preferenza, siti infernali, Dante incontra numerose maschere del nostro tempo e osserva, talvolta stupito, talvolta inorridito, l'articolato esercizio fantastico della giustizia divina. Il mondo, il nostro mondo (con i suoi Bush e i suoi Berlusconi) precipitato dentro i versi di un Dante che sa punire e salvare. Le tavole di Altan accompagnano le storie infernali con nuova divertita sapienza pittorica.
Una redazione raccogliticcia che prepara un quotidiano destinato, più che all'informazione, al ricatto, alla macchina del fango, a bassi servizi per il suo editore. Un redattore paranoico che, aggirandosi per una Milano allucinata (o allucinato per una Milano normale), ricostruisce la storia di cinquant'anni sullo sfondo di un piano sulfureo costruito intorno al cadavere putrefatto di uno pseudo Mussolini. E nell'ombra Gladio, la P2, l'assassinio di papa Luciani, il colpo di stato di Junio Valerio Borghese, la Cia, i terroristi rossi manovrati dagli uffici affari riservati, vent'anni di stragi e di depistaggi, un insieme di fatti inspiegabili che paiono inventati sino a che una trasmissione della BBC non prova che sono veri, o almeno che sono ormai confessati dai loro autori. E poi un cadavere che entra in scena all'improvviso nella più stretta e malfamata via di Milano. Un'esile storia d'amore tra due protagonisti perdenti per natura, un ghost writer fallito e una ragazza inquietante che per aiutare la famiglia ha abbandonato l'università e si è specializzata nel gossip su affettuose amicizie, ma ancora piange sul secondo movimento della Settima di Beethoven. Un perfetto manuale per il cattivo giornalismo che il lettore via via non sa se inventato o semplicemente ripreso dal vivo. Una storia che si svolge nel 1992 in cui si prefigurano tanti misteri e follie del ventennio successivo, proprio mentre i due protagonisti pensano che l'incubo sia finito.
Una redazione raccogliticcia che prepara un quotidiano destinato, più che all'informazione, al ricatto, alla macchina del fango, a bassi servizi per il suo editore. Un redattore paranoico che, aggirandosi per una Milano allucinata (o allucinato per una Milano normale), ricostruisce la storia di cinquant'anni sullo sfondo di un piano sulfureo costruito intorno al cadavere putrefatto di uno pseudo Mussolini. E nell'ombra Gladio, la P2, l'assassinio di papa Luciani, il colpo di stato di Junio Valerio Borghese, la Cia, i terroristi rossi manovrati dagli uffici affari riservati, vent'anni di stragi e di depistaggi, un insieme di fatti inspiegabili che paiono inventati sino a che una trasmissione della BBC non prova che sono veri, o almeno che sono ormai confessati dai loro autori. E poi un cadavere che entra in scena all'improvviso nella più stretta e malfamata via di Milano. Un'esile storia d'amore tra due protagonisti perdenti per natura, un ghost writer fallito e una ragazza inquietante che per aiutare la famiglia ha abbandonato l'università e si è specializzata nel gossip su affettuose amicizie, ma ancora piange sul secondo movimento della Settima di Beethoven. Un perfetto manuale per il cattivo giornalismo che il lettore via via non sa se inventato o semplicemente ripreso dal vivo. Una storia che si svolge nel 1992 in cui si prefigurano tanti misteri e follie del ventennio successivo, proprio mentre i due protagonisti pensano che l'incubo sia finito.