
In questo romanzo i personaggi sono tanti. C'è per esempio il Crociati, un esperto cacciatore che non ne becca più uno. C'è Luigina Piovati, meglio nota come l'Uselànda (ovvero l'ornitologa...). C'è Eufrasia Sofistrà, in grado di leggere il destino suo e quello degli altri. C'è persino una vecchina svanita come una nuvoletta, che suona al pianoforte l'Internazionale mentre il Duce conquista il suo Impero africano... Ci sono soprattutto, ad animare la quiete di quegli anni sulle rive del lago, quattro gagà, che come i "Vitelloni" felliniani mettono a soqquadro il paese. E c'è la sorella di uno di loro, la piccola, pallida, tenera Filzina, segretaria perfetta che nel tempo libero si dedica alle opere di carità e che, come molte eroine di Vitali, finirà per stupire. Ci sono naturalmente anche molti di quei caratteri che hanno fatto la loro comparsa nei precedenti romanzi: il prevosto, il maresciallo maggiore Ernesto Maccadò, il podestà e la sua consorte, Dilenia Settembrelli, la filanda con i suoi dirigenti e operai. Hanno un ruolo importantissimo anche i gatti e i piccioni di Bellano, e si sentono la breva e la neve gelata che scendono dai monti della Valsassina e naturalmente si respira l'aria del lago.
In questo romanzo i personaggi sono tanti. C'è per esempio il Crociati, un esperto cacciatore che non ne becca più uno. C'è Luigina Piovati, meglio nota come l'Uselànda (ovvero l'ornitologa...). C'è Eufrasia Sofistrà, in grado di leggere il destino suo e quello degli altri. C'è persino una vecchina svanita come una nuvoletta, che suona al pianoforte l'Internazionale mentre il Duce conquista il suo Impero africano... Ci sono soprattutto, ad animare la quiete di quegli anni sulle rive del lago, quattro gagà, che come i "Vitelloni" felliniani mettono a soqquadro il paese. E c'è la sorella di uno di loro, la piccola, pallida, tenera Filzina, segretaria perfetta che nel tempo libero si dedica alle opere di carità e che, come molte eroine di Vitali, finirà per stupire. Ci sono naturalmente anche molti di quei caratteri che hanno fatto la loro comparsa nei precedenti romanzi: il prevosto, il maresciallo maggiore Ernesto Maccadò, il podestà e la sua consorte, Dilenia Settembrelli, la filanda con i suoi dirigenti e operai. Hanno un ruolo importantissimo anche i gatti e i piccioni di Bellano, e si sentono la breva e la neve gelata che scendono dai monti della Valsassina e naturalmente si respira l'aria del lago.
Protagonisti, più o meno volontari, quattro ragazzi di paese, una banda di "imbecilli" che mette a soqquadro l'intera Bellano. Naturalmente finiscono subito nel mirino del maresciallo maggiore Ernesto Maccadò, che avverte le famiglie gettandole nel panico. A far da controcanto, la sorella di uno di loro: la piccola, pallida, tenera Filzina, segretaria perfetta che nel tempo libero si dedica alle opere di carità: ma anche lei, come altre eroine di Vitali, finirà per stupirci. Tutto intorno si muove come un coro l'intera cittadina: il prevosto e i carabinieri della locale stazione, il podestà e la sua stranita consorte, la filanda con i suoi dirigenti e gli operai. E ancora il Crociati, esperto cacciatore che non ne becca più uno; la Luigina Piovati, meglio nota come l'Uselànda (ovvero l'ornitologa...); Eufrasia Sofistrà, in grado di leggere il destino suo e quello degli altri; e persino una vecchina svanita come una nuvoletta, che suona al pianoforte l'Internazionale mentre il Duce conquista il suo Impero africano... Ma nell'intreccio hanno un ruolo importantissimo - e assai sorprendente - anche i gatti e i piccioni di Bellano. E si sentono la breva e la neve gelata che scende dai monti della Valsassina: insomma, si respira inconfondibile l'aria del lago.
La colpa e il desiderio di essere liberi in un romanzo di struggente bellezza. «Io non lo so se sono favorevole al matrimonio. Per questo in strada vado sempre di corsa: il respiro dei maschi è come il soffio di un mantice che ha mani e può arrivare a toccare le carni». Dopo "Il treno dei bambini", Viola Ardone torna con un'intensa storia di formazione. Quella di una ragazza che vuole essere libera in un'epoca in cui nascere donna è una condanna. Un personaggio femminile incantevole, che è impossibile non amare. Un rapporto fra padre e figlia osservato con una delicatezza e una profondità che commuovono.
Perché la parola "io" è diventata un'ossessione? Perché fare spettacolo di ogni istante del proprio vivacchiare? Giulio non lo sopporta, e soprattutto non lo capisce. Si sente fuori posto e fuori tempo. Ma di questa sua estraneità non si compiace: sospetta di essere un "rompiballe stabile", come lo definisce la fidanzata Agnese. In un'imprecisata pianura che fu industriale e non è quasi più niente, Giulio si aggira in attesa che qualcosa accada. Per esempio che qualcuno gli spieghi a cosa servono, se non a perdersi meglio, le rotonde stradali; o che qualcuno compri il capannone di suo padre, che fu un grande ebanista. Una bottega un tempo florida e adesso silenziosa e immobile, come un grande orologio fermo. Scritto quasi solo al presente, come se passato e futuro fossero temporaneamente sospesi, "Ognuno potrebbe" è il rimuginare sconsolato e comico di un vero e proprio eroe dell'insofferenza. Un viaggio senza partenza e senza arrivo che tocca molte delle stazioni di una società in piena crisi. Nella quale la morte del lavoro e della sua potenza materiale ha lasciato una voragine che il narcisismo digitale non basta a riempire.
Claudio, giovane erede di una grande famiglia italiana, chiusi i conti con la tragedia della guerra "civile" nella quale ha combattuto dalla parte "sbagliata", decide di ricominciare da capo andando lontano, un po' per dimenticare, un po' per misurare le proprie forze. Nell'Europa di un dopoguerra che non vuole finire s'intrecciano delusioni e speranze, spietate rese dei conti e attese di rinnovamenti profondi. Lontano da casa, seppellendo le memorie di un'adolescenza bruciata, ognuno vale per quello che è, e il protagonista di questo "romanzo di formazione" è giovane, bello, spavaldo. Così Claudio, in questa umana avventura, scopre la vita, il lavoro e soprattutto l'amore con la passione del sopravvissuto.
Può capitare di arrivare a Parigi, Rue de Fleurus 27, accompagnati da un misterioso romanzo di inizio Novecento. O di spostarsi da Castellammare di Stabia a Tokyo, passando per la Meseta spagnola, innamorati persi di Roland Barthes e di un ragazzo giapponese. Può capitare anche di dormire in un hotel di Singapore, all'ultimo piano di un grattacielo e di essere svegliati da una voce lontana, che forse viene fuori da un libro, forse dalla vita. Quando si sfiorano, i libri e i viaggi fanno cortocircuito; e con un romanzo in valigia, qualunque itinerario diventa singolare e sorprendente. Alcuni tra i più noti scrittori italiani, da Antonio Tabucchi a Dacia Maraini, da Andrea Camilleri a Melania G. Mazzucco, da Raffaele La Capria a Giuseppe Culicchia, da Carmen Covito a Emanuele Trevi, raccontano i propri viaggi: fughe, avventure impreviste, pellegrinaggi e sogni da fermi, intessuti di parole e gesti in un appassionato dialogo a distanza con gli autori e i libri più amati. In diciannove conversazioni fitte di piogge tropicali, ballerine cambogiane, valigie colme di libri, tiri di boxe fuori tempo massimo, Paolo Di Paolo crea una geografia del viaggio in forma di racconto o di mappa delle emozioni.
L'amore salva? Quante volte ce lo siamo chiesti, avvertendo al tempo stesso l'urgenza della domanda e la difficoltà di dare una risposta definitiva? Ed è proprio l'interrogativo fondante che Alessandro D'Avenia si pone in apertura di queste pagine, invitandoci a incamminarci con lui alla ricerca di risposte. In questo libro incontriamo anzitutto una serie di donne, accomunate dal fatto di essere state compagne di vita di grandi artisti: muse, specchi della loro inquietudine e spesso scrittrici, pittrici e scultrici loro stesse, argini all'istinto di autodistruzione, devote assistenti, o invece avversarie, anime inquiete incapaci di trovare pace. Ascoltiamo la frustrazione di Fanny, che Keats magnificava in versi ma con la quale non seppe condividere nemmeno un giorno di quotidianità, ci commuove la caparbietà di Tess Gallagher, poetessa che di Raymond Carver amava tutto e riuscì a portare un po' di luce nei giorni della sua malattia, ci sconvolge la disperazione di Jeanne Modigliani, ammiriamo i segreti e amorevoli interventi di Alma Hitchcock, condividiamo l'energia quieta e solida di Edith Tolkien. Alessandro D'Avenia cerca di dipanare il gomitolo di tante diversissime storie d'amore, e di intrecciare il filo narrativo che le unisce, in un ordito ricco e cangiante. Per farlo, come un filomito, un "filosofo del mito", si rivolge all'archetipo di ogni storia d'amore: Euridice e Orfeo. Un mito che svolge la sua funzione di filo (e in greco antico per indicare "filo" e "racconto" si usavano due parole molto simili, mitos e mythos) perché contempla tutte le tappe di una storia d'amore, tra i due poli opposti del disamore (l'egoismo del poeta che alla donna preferisce il proprio canto) e dell'amore stesso (il sacrificio di sé in nome dell'altro). Ogni storia è una storia d'amore è così un libro che muove dalla meraviglia e sa restituire meraviglia al lettore.
Tra realismo grottesco e thriller psicologico sette racconti sull'industria culturale, critici, sarcastici, che idealmente si ricollegano alla visione polemica di Sull'orlo del precipizio contro il cinismo e la speculazione che minacciano la libertà dei libri; ma in essi soprattutto si sente l'inventiva di un grande scrittore e la capacità di attrarre e imprigionare nella purezza del raccontare.
È un viaggiare lento, quello dell'Intercity che da Palermo conduce a Roma, un viaggiare d'altri tempi, interrotto dalle frequenti fermate alle stazioni, dai passeggeri che salgono e scendono, chiacchierano e bisticciano, si addormentano o, nella traversata dello Stretto, lanciano gli oggetti vecchi in mare. È per questa lentezza che Paride Bruno ha scelto di tornare con il treno che prendeva vent'anni prima, da ragazzo, per godersi la vita che turbina intorno a quei viaggi lunghi - la coppia siciliana che litiga per le parole crociate, la ragazza spaventata e sola che cerca compagnia, il ragazzino dallo sguardo intelligente -, e soprattutto per prendersi il tempo di rileggere la pesante cartellina che porta con sé. Contiene i suoi molti tentativi di romanzo, tutti interrotti al primo punto fermo, perché Paride Bruno ha cercato di cimentarsi in ogni genere e stile, senza però mai riuscire a sceglierne uno, a portare a termine l'opera e potersi così dire scrittore. "Sono un tipico esempio di come agisca in maniera diffusa lo spirito incerto e schizoide dei tempi, per cui, mentre sto appena vivendo un'esperienza, mi sento accerchiato da tutte le cose che in quello stesso istante sto perdendo. E migro. Trasmigro." Ma proprio questi tanti cominciamenti finiscono per disegnare con precisione la figura del protagonista: in ognuno degli incipit è contenuta una scheggia della sua vita, delle sue ossessioni, delle sue paure e dei suoi desideri. Ogni ricordo un fiore. Tappa dopo tappa, fra una chiacchierata e un sogno, incipit dopo incipit, Paride Bruno sembra riconciliarsi con la sua incompiutezza, con quello "svolazzo di pagine sparse" che è, in fondo, la vita stessa.
«Sara se n'è andata via il giorno in cui è finita la scuola. L'estate si è spalancata all'improvviso: ha inghiottito i miei bambini tutti insieme, ha svuotato la mia casa e io sono rimasto lì, una macchina sul ciglio di un burrone».
Ogni sera Pietro si china sulla pancia di Sara per sapere se dentro c'è qualcosa che nasce, e ogni sera lei, toccandosi il ventre, aspetta di poter dare un nome al loro futuro insieme. Ma la speranza rimane un'attesa, e l'attesa spacca tutto come una crepa nel muro. Fino a quando ogni cosa si sfalda e sul tavolo della cucina resta soltanto un foglio, o meglio una bomba che si prepara a esplodere. «Telefonato tua madre, è morto Mario». E poco sotto una domanda scritta di fretta: «Mario?» Mario è il nonno di Pietro, ma più che un parente è lo scheletro nell'armadio di una famiglia e di un paese intero. Tornato folle dalla campagna di Russia, vissuto dentro una clinica eppure morto per tutti, per lui la guerra non è mai finita. Ora fa la sua comparsa morendo per davvero, come un fantasma molto terreno che ha lasciato troppe domande dietro di sé.
L'estate si apre quel giorno con un duplice addio, spalancata come una casa vuota e piena di strade possibili. La prima è un viaggio a ritroso, con in tasca il peso di un segreto che Pietro e Sara si sono nascosti tanto a lungo da non poterlo dimenticare.
La seconda è un viaggio sul Don, carico di tutte le storie che Mario non ha mai raccontato: un percorso lungo quasi settant'anni, alla ricerca vana di una Russia che non c'è più, come provare a tuffarsi nelle acque del 1943.
Sono i ricordi degli altri che dentro di noi non trovano appiglio, come promesse tradite dal tempo. Con una scrittura tesa e tersa fino alla poesia, Andrea Bajani ci racconta la responsabilità e la difficoltà di ricordare. La memoria è una trama forata, i fili si slacciano e si disperdono nell'ordito di una realtà vissuta al presente.
Ma è proprio lì, tra le omissioni e le mancanze, che forse si annida un senso. Lungo quelle strade deviate, dove si affacciano risposte impreviste a domande mal poste.