
Vera è una diciassettenne vitale, istintiva e un po' atipica: una "veteromane" come lei stessa si definisce, con gusti letterari e musicali diversi da quelli dei coetanei, con aspirazioni vaghe e indisciplinate. I suoi compagni la chiamano nonna e la trattano come una consulente archeologica: eppure è lei l'anima del gruppo, "ma quella persa, quella delle proposte bizzarre, inverosimili", perché Vera, più che in cerca di approvazione, è da sempre in cerca di adorazione. Ha un padre lontano, a cui scrive lettere destinate a restare senza risposta, e una madre vicina ma assente, iperattiva, sempre impegnata in nuovi e improbabili progetti. Ma l'incontro fondamentale deve ancora arrivare e sarà quello con un vecchio eccentrico linguista.
Vera è una diciassettenne vitale, istintiva e un po' atipica: una "veteromane" come lei stessa si definisce, con gusti letterari e musicali diversi da quelli dei coetanei, con aspirazioni vaghe e indisciplinate. I suoi compagni la chiamano nonna e la trattano come una consulente archeologica: eppure è lei l'anima del gruppo, "ma quella persa, quella delle proposte bizzarre, inverosimili", perché Vera, più che in cerca di approvazione, è da sempre in cerca di adorazione. Ha un padre lontano, a cui scrive lettere destinate a restare senza risposta, e una madre vicina ma assente, iperattiva, sempre impegnata in nuovi e improbabili progetti. Ma l'incontro fondamentale deve ancora arrivare e sarà quello con un vecchio eccentrico linguista.
"Domani alle tre, su un prato della Costa Azzurra, ho un appuntamento con Pegaso." È l'apertura della lettera testamento che Lauro de Bosis scrisse, in un albergo di Marsiglia, la sera prima di salire su un aereo, ribattezzato Pegaso, per quella che ormai considerava la sua missione suprema: volare fino a Roma e gettare sulla città centinaia di migliaia di volantini antifascisti. Con la figura di Lauro de Bosis, pilota, educato alla poesia e all'idealismo, che vive e muore nella storia, ma si muove in essa sospinto dal mito e dalla letteratura, si apre anche questo libro: un viaggio aereo e felicemente vertiginoso nell'eterna fascinazione umana per il volo.
Una nuova edizione rigorosamente condotta sui manoscritti, che restituisce – per la prima volta in un unico volume – tutte le poesie di Antonia Pozzi. Può essere così ricostruito nella sua completezza e autenticità il percorso di un’autrice non riconosciuta in vita, ma da alcuni decenni oggetto di una straordinaria riscoperta su un piano internazionale. Le sue Parole – nutrite di una solida cultura e intensamente elaborate sul piano formale, tuttavia lontane dai canoni letterari degli anni Trenta – dicono con passione vibrante, linguaggio limpido e vivezza di immagini la bellezza e il dolore del mondo, il dramma dell’individuo e quello, più vasto, dell’umanità. Per questo esse giungono con sorprendente forza al cuore del nostro presente.
"La parola ebreo" di Rosetta Loy ci riporta al clima degli anni in cui la sua famiglia, cattolica, e una certa borghesia italiana, accettarono le leggi razziali senza avere coscienza della tragedia che si stava compiendo. L'autrice ritrova i segni misteriosi e ambigui di quella quotidianità vissuta al riparo della storia e si insinua nelle pieghe dei fatti raccontando, con l'aiuto di lettere, dichiarazioni, discorsi, i passaggi cruciali di un periodo in cui nessuno è stato capace di opporsi alla follia nazista.
"Delle mie opere, quella che mi piace di più è la Casa che ho fatto costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio": così scrive Giuseppe Verdi in una lettera. Unica al mondo nel suo genere, la casa di riposo voluta dal grande Maestro - che le destinò la propria eredità - aprì i battenti nel 1902: oggi tutti a Milano sanno dove si trova Casa Verdi, tra le cui mura austere e accoglienti vivono decine di musicisti anziani e non solo. È in questa Casa speciale che Paola Calvetti sceglie di immaginare la vita di Ada, eccentrica cameriera che cova un sogno nel cuore: un personaggio "emarginato" e struggente, come Rigoletto, come Violetta, come tanti altri che Verdi rese immortali nelle sue opere. Muovendosi in punta di piedi, Ada conosce tutti gli ospiti e di tutti "colleziona" le vite ardenti. Piera, che muove ancora con grazia le mani sul pianoforte, Kimiko, soprano giapponese, Luisa, la famosa Annina che cantò nella "Traviata" insieme a Maria Callas, Ferro, il violinista gentiluomo che in gioventù spezzò decine di cuori, e gli altri si preparano con trepidazione a una grande festa, e intanto lasciano riaffiorare le proprie passioni non sopite. Come la musica, che non teme il tempo, come l'amore, che può (ri)nascere anche tra le pareti di Casa Verdi...
"È il mio primo libro. L'ho scritto a 27-28 anni, nel 1929-1930, al mio paese, mentre mio padre moriva di cirrosi epatica [...] Mentre lui agonizzava io scrivevo. Scrivevo a mano. Scrivevo anche di notte, a ritmo variabile: a volte ho delle prontezze prodigiose e la roba mi viene subito, altre volte continuo a scrivere e rivedere. Non so perché mi sono messo a lavorare a Parliamo tanto di me: forse era un modo per fare comunque il mio mestiere, nonostante le circostanze; forse era una rivolta di vita contro il morire di mio padre; o semplicemente c'era in me, senza che lo sapessi, una natura di scrittore." Il libro fu un successo clamoroso e segnò l'inizio della fortunata carriera letteraria di Zavattini.
È cominciata con la paura. Paura delle automobili. Paura dei treni. Paura delle luci troppo forti. Dei luoghi troppo affollati, di quelli troppo vuoti, di quelli troppo chiusi e di quelli troppo aperti. Paura dei cinema, dei supermercati, delle poste, delle banche. Paura degli sconosciuti, paura dello sguardo degli altri, di ogni altro, paura del contatto fisico, delle telefonate. Paura di corde, lacci, cinture, scale, pozzi, coltelli. Paura di stare con gli altri e paura di restare da sola. Nel posto in cui vivevo allora arrivava il richiamo lacerante dei piccoli rapaci notturni nascosti tra i rami degli alberi. Di notte, l'inferno indossava la maschera peggiore. Di notte, quando nelle case intorno si spegnevano tutte le luci, tutte le voci, quando sulla strada il fruscio delle automobili e dei camion si assottigliava.
Facendo base in una mansarda che divide con un amico e, occasionalmente, con qualche blatta invadente, un giovane intellettuale italiano si muove per Parigi e - fra imprevisti e probabilità - disegna sul tabellone del monopoli intricati percorsi che lo portano ad attraversare tutti i quartieri della città ("Ci incontriamo alla Galerie Hélène de Roquefeuil, in Rue Amelot, la via dei libertari tra Republique e Bastille. Quarto arrondissement. Azzurra secondo il Monopoli"), I passaggi importanti ci sono tutti: dal Musée d'Orsay al cimitero di Pére Lachaise, da Montparnasse al quartiere latino, da Beaubourg alla sfilata del 14 luglio. Ma sono visti da dentro alla cartolina, dal punto di vista di quelle piccole sagome umane che ogni tanto finiscono per caso nelle foto. Persone che passavano di là, magari per andare a fare una lezione di italiano o a parlare di riviste letterarie davanti a un bicchiere di vino; per raggiungere l'inaugurazione di una mostra o correre a un appuntamento galante. I luoghi si trasformano, così, in incontri, rivelando un'atmosfera allo stesso tempo inconfondibilmente parigina e irresistibilmente multietnica. "Perché il segreto di questa città è che davvero ti fanno felice cose apparentemente senza importanza. E penso che sarà pur vero che un francese da solo è pesante, e io lo so bene, ma presi tutti insieme, tanti francesi che vuol dire poi italiani, argentini, polacchi, algerini, diventano di colpo più leggeri dell'aria".
Quando incontra Umberto Boccioni, Vittoria Colonna ha trentacinque anni, e da quindici è la moglie di Leone Caetani di Teano. Un'unione, la loro, che suggellava il riavvicinamento fra due grandi dinastie romane acerrime rivali sin dal Medioevo; e tuttavia non esattamente felice: lei passa gran parte del suo tempo prendendo lezioni di pittura, viaggiando su e giù per l'Europa e frequentando il gran mondo; Leone si occupa delle sue terre di Cisterna o persegue i suoi studi di islamistica nella biblioteca di palazzo Caetani. Nel giugno del 1916, mentre Leone è al fronte, Vittoria trascorre le sue giornate nella quiete irreale dell'Isolino di San Giovanni, la più piccola delle Borromee, che ha affittato per l'estate, occupandosi del giardino e scrivendo lettere al marito. Umberto Boccioni (che all'epoca ha trentatré anni, è in attesa di tornare a combattere e sta consumando una difficile rottura con il gruppo futurista) è ospite dei marchesi della Valle di Casanova a Villa San Remigio, sulla sponda orientale del Lago Maggiore. Dopo un primo incontro dai Casanova, il tormentato Boccioni e la irrequieta nobildonna si vedranno ogni giorno. E, nel corso del mese di luglio, Boccioni sarà a due riprese ospite di Vittoria all'Isolino. L'ultimo soggiorno si conclude il 23 luglio; meno di un mese dopo, il 17 agosto, morirà a causa di una caduta da cavallo; nel suo portafogli, l'ultima delle lettere ricevute da Vittoria.
Il mondo eccessivo, feroce e comico dei modi di dire barbaricini.
Uno scrittore alle prese con un nuovo romanzo. Un ispettore laureato in filosofia, che conosce il segreto per ottenere confessioni senza ricorrere alla violenza. Attraverso il loro dialogo, incalzante e rivelatore, Gianrico Carofiglio, per anni Sostituto Procuratore Antimafia presso il tribunale di Bari, guida il lettore alla scoperta dei segreti della sua professione e ci offre un testo letterario che è anche una magistrale lezione sulla tecnica e sull'arte dell'interrogare, dietro la quale si nasconde una insospettata metafora del pensiero laico e della tolleranza.