
Dancing Paradiso è un locale notturno di una crudele metropoli, dove “non bisogna essere buoni per entrare / prendono anche le carogne / e qualche volta le fanno cambiare”. È in quel locale che un angelo custode – “Angelo angelica” – tenta di far confluire i cinque protagonisti di questa narrazione in versi: Stan, il pianista triste, che prepara un ultimo concerto per Bill, l’amico batterista morente in ospedale, Amina, giovane profuga che ha perso la madre passando il confine. Ed Elvis, un grottesco obeso hacker chiuso in casa da anni, forse mitomane, forse assassino, La poetessa Lady raffinata e ubriacona, ossessionata dal suicidio. Cinque “creature della notte / senza un rifugio nel mondo / mannari senza luna”, di cui a poco a poco, mentre si avvicina la serata al Dancing, scopriamo la storia grazie al racconto condotto per loro voce. Assoli malinconici, struggenti, comici, crudeli, furibondi. Costretti alla solitudine, ciascuno di loro sembra aver perso ogni speranza. A vegliare perché possano incontrarsi, perché possano unire voci e musica in un racconto polifonico che indichi una possibile via di salvezza, l’angelo/a caduto dal cielo per stare con gli uomini, un angelo straccione dalle ali sporche di fango, lui stesso solo fra i soli.
Xenia è la tata di Mirò, la donna che tutto ha guardato e mai giudicato. Nel suo narrare si affacciano isole di mandorle e viti, case che sanno di cucina, di spezie e di gelsomini, di esistenze interrotte. E tanti personaggi, come Colette, la bisnonna di Mirò, finita a occuparsi di un convento in un'isola dell'Egeo, o come il nonno Selim, grande giocatore di carte, che viveva ai piedi dell'Acropoli in una casa piena di donne e tappeti. Ma anche Omar, finito tra i ballerini russi di un piccolo teatro parigino e morto forse senza sepoltura. Il romanzo dello psichiatra e sociologo, docente di Culture e linguaggi giovanili, racconta una storia che si dipana lungo tutto il Novecento, passando da un lato all'altro del Mediterraneo.
Un uomo del Medioevo, immerso nel suo tempo. Questo il Dante che ci racconta un grande storico in pagine di vivida bellezza. Dante è l’uomo su cui, per la fama che lo accompagnava già in vita, sappiamo forse più cose che su qualunque altro uomo di quell’epoca, e che ci ha lasciato la sua testimonianza personale su cosa significava, allora, essere un giovane uomo innamorato o cosa si provava quando si saliva a cavallo per andare in battaglia. Alessandro Barbero segue Dante nella sua adolescenza di figlio d’un usuraio che sogna di appartenere al mondo dei nobili e dei letterati; nei corridoi oscuri della politica, dove gli ideali si infrangono davanti alla realtà meschina degli odi di partito e della corruzione dilagante; nei vagabondaggi dell’esiliato che scopre l’incredibile varietà dell’Italia del Trecento, fra metropoli commerciali e corti cavalleresche. Il libro affronta anche le lacune e i silenzi che rendono incerta la ricostruzione di interi periodi della vita di Dante, presentando gli argomenti pro e contro le diverse ipotesi e permettendo a chi legge di farsi una propria idea, come quando il lettore di un romanzo giallo è invitato a gareggiare con il detective e arrivare per proprio conto a una conclusione.
«Quando Edmond Dantès arriva finalmente alla grotta sull'isola di Montecristo ad aprire il baule che contiene il tesoro dell'abate Faria, ecco quel che accade: "Si rialzò e prese una corsa attraverso la caverna con la fremente esaltazione di un uomo che sta per diventare pazzo". Con la Commedia può succedere qualcosa di simile.» A 700 anni dalla morte del Poeta, in apertura dell'anno dantesco 2021, un libro per rivisitare tutta la Commedia come racconto di viaggio. Perché quel poema complicato, erudito e pieno di enigmi è anzitutto "commedia", narrazione popolare, teatro. Per questo i lettori comuni hanno obiettivi diversi dai professori e dai Bignami: loro, come Edmond Dantès, vogliono ficcare le mani nel tesoro, immergersi nella musica, inebriarsi delle immagini.
Il convenzionale intreccio della figura pubblica e privata di Dante con la sua opera e il contesto storico e culturale dell'Italia tra Due e Trecento ha favorito in passato non poche ingenuità metodologiche e comode semplificazioni che questa nuova vita di Dante evita accuratamente. Combinando, in un linguaggio chiaro e accessibile a un pubblico di lettori non specialisti, le acquisizioni più recenti con gli esiti di ricerche personali e di prima mano, Paolo Pellegrini propone sostanziose novità rispetto alle biografie precedenti. Sia nella scrupolosa ricostruzione dell'esistenza del poeta, sia nell'attenta analisi della tradizione testuale, della cronologia e della stesura delle opere, che passa i più recenti contributi della medievistica moderna al vaglio della migliore filologia novecentesca. Al tempo stesso, attraverso una più solida selezione puntuale della bibliografia dantesca, il saggio intende offrire alle generazioni di studiosi più giovani o ai semplici appassionati un'indicazione di metodo che potrà essere messa a frutto per ulteriori e future ricerche.
Dopo la "Storia di Roma" e la "Storia dei Greci", nel 1964 Montanelli pubblicò quella che sarebbe diventata la vera anteprima della "Storia d'Italia": un affresco sul Medioevo - in cui l'autore si sofferma anche su moda, dieta, giochi, sport, arredamento "e perfino sui bagni e sui gabinetti di decenza" con un grandioso protagonista al suo centro, Dante Alighieri. Allo storico-giornalista Montanelli interessano "soltanto l'uomo, il suo carattere, le sue emozioni, le sue passioni" e il suo scopo è riaccostare Dante alla "intelligenza umana del pubblico".
La poesia di Dante è trapunta di stelle. Il suo sguardo verso il cielo non è però soltanto quello di un poeta, ma è anche quello di un appassionato di astronomia, una delle discipline più alte nell'assiologia scientifica medievale. Un astrofisico e un umanista dialogano intorno alle immagini stellari nella poesia dantesca, che ancora oggi coinvolgono e appassionano i lettori, sebbene il sistema scientifico di riferimento sia totalmente mutato.
Firenze 1288. Una città cupa, fosca, nelle mani di Corso Donati, capo dei guelfi, assetato del sangue dei nemici, quei ghibellini che hanno appena sterminato i senesi - alleati dei fiorentini - nelle Giostre di Pieve al Toppo. In questo teatro d'apocalisse si muove il giovane Dante Alighieri: coraggioso, innamorato dell'amore e consacrato a Beatrice, ma costretto a convivere con la moglie, Gemma Donati; amico di Guido Cavalcanti e di Giotto, amante della poesia e dell'arte ma chiamato dal dovere sul campo di battaglia. Firenze infatti si prepara a un ultimo, decisivo scontro, e Dante dovrà dar prova del proprio coraggio impugnando le armi a Campaldino. Quando Ugolino della Gherardesca, schierato coi guelfi e imprigionato nella Torre della Muda a Pisa, morirà di fame fra atroci tormenti, Corso si deciderà a muovere guerra ai ghibellini. Il giovane Dante si unirà allora ai feditori di Firenze, affrontando il proprio destino in una sanguinosa giornata che ha segnato il corso della storia d'Italia. E che segnerà necessariamente anche lui, come uomo e come poeta.
Questo lavoro è stato pensato per favorire un approccio alla Commedia agile e capace di suscitare interrogativi, quando non veri e propri percorsi meditativi, su temi esistenziali particolarmente caldi, quali amore, odio, desiderio, crudeltà, libertà, responsabilità, coraggio, essenzialità ed altro ancora. Il poema dantesco entra in dialogo con intellettuali di primissimo piano quali Bauman, Morin, Galimberti, Savater, Recalcati, Giorello, ma anche con artisti quali Doré, Dalì, Blake o cantautori come Battiato, Dalla, De André o Vecchioni, e questa incessante conversazione culturale che attraversa le epoche ha lo scopo di coinvolgere non solo gli insegnanti che desiderino rendere quanto più possibile formativo, trasversale, e soprattutto per nulla nozionistico, lo studio del capolavoro dantesco, ma anche tutti coloro che, pur avendo studiato Dante da giovani, vogliono recuperarne tutta la freschezza e l'attualità.
Accanto alla poesia altissima e senza tempo della Divina Commedia è stata riunita in questo volume l'intera produzione dantesca, dalla Vita nuova (1292-93), l'intimo memoriale in rime e prosa poetica dell'amore di Dante per Beatrice, alle Rime, mai raccolte da Dante in un corpus unitario; dal Convivio, scritto in volgare tra il 1304 e il 1307 per rendere accessibili anche al pubblico più vasto temi scientifici e filosofici, al trattato latino De vulgari eloquentia; dal Monarchia, trattato politico in tre libri, alle due Egloghe latine composte tra il 1319 e il 1320, fino alle 13 Epistole latine, scritte tra il 1304 e il 1319, e alla Quaestio de aqua et de terra, tesi filosofica letta a Verona nel 1320.
"La Commedia è un'opera di finzione, ma in età medievale non esistono altre opere di finzione che registrino in modo così sistematico, tempestivo e quasi puntiglioso fatti della storia, della cronaca politica, della vita intellettuale e sociale contemporanei. E, per di più, senza temere di addentrarsi in retroscena noti solo per sentito dire o in quello che oggi chiameremmo gossip politico e di costume. Per molti aspetti, assomiglia agli odierni instant-book." Il libro di Marco Santagata costituisce, nello scenario della letteratura dantesca, una novità. Perché è, prima di tutto, l'appassionato racconto, il "romanzo" appunto, della tormentata e semisconosciuta esistenza di un uomo dall'io smisurato, che si sentì sempre "diverso e predestinato", che in ogni amore e in ogni lutto, nella sconfitta politica e nell'esilio, e in particolare nel proprio talento, scorse "un segno del destino, l'ombra di una fatalità ineludibile, la traccia di una volontà superiore". Ed è, insieme, il documentato ritratto di un Dante profondamente calato nella vita pubblica e culturale della sua città, Firenze, e nelle complesse dinamiche della storia italiana tra Due e Trecento. Grazie al sapiente intreccio di vicende storiche e private, Santagata raggiunge il duplice obiettivo di ricomporre il quadro più completo possibile del Dante padre di famiglia, filosofo, poeta, uomo di partito e di corte, e analizzare ogni sua opera alla luce del contesto storico e biografico.
Sono le dieci del mattino del 27 maggio 1865. A Ravenna due manovali trovano per caso una cassetta di legno. Stanno per gettarla tra le macerie quando qualcuno nota sul coperchio una scritta: Dantis Ossa. La scoperta muove una città intera, e un vortice di persone - assessori, periti, notai, medici e scienziati - inizia a ruotare attorno a una sola ossessione: la testa di Dante. Tutti vogliono sapere perché quel cranio si trovi lì, quale sia la sua storia e soprattutto il peso del suo cervello. Per conoscerne la grandezza in realtà bastava vedere cosa avesse prodotto: la Commedia, il più bel libro mai scritto dagli uomini. Dante lo aveva creato attingendo da ciò che aveva vissuto, rubando saperi, storie e segreti, e lo aveva popolato di figure per lui familiari, quelle che avevano respirato la sua stessa aria: Paolo e Francesca, il conte Ugolino, Farinata, Cavalcanti, Guido da Montefeltro, Ezzelino e gli altri. Erano tutti legati. Eppure un mondo così piccolo era diventato una storia universale. Come Dante ci sia riuscito rimane un mistero. Per provare a svelarlo e a sfiorare un brandello di verità resta forse una sola possibilità: evitare di guardare lui per guardare ciò che guardò lui. Prendere quindi gli uomini che attraversarono la sua iride per distribuirli in una storia. E tentare così di vivere, con i suoi occhi, le vite degli altri.