
Al centro di questo struggente romanzo corale ambientato nel Sud (in Puglia, Basilicata, e Calabria tra il 1784 e il 1861) c'è il sogno di una repubblica contadina. Una saga di sangue e poesia, di eventi surreali e visioni, di dialoghi con i morti e gli animali, di affetti quotidiani e devastanti passioni.
«Sono finiti i caffè letterari, il colloquio stesso» confida Sciascia a Domenico Porzio. «Eppure colloquiare significava non soltanto chiacchiera, ma esperienza, urbanità». Ed è come se questo libro, che registra incontri avvenuti lungo il 1988 e il 1989 e interrotti dalla morte dello scrittore, i due amici l'avessero disegnato proprio per scongiurare la fine del libero colloquiare, la dilagante riduzione a intervista della conversazione. Provocato dalla inesauribile curiosità di Porzio, stimolato da un dialogo mutevole, schietto, indisciplinato, Sciascia parla con un'asciuttezza in cui il fervore è schermato dal riserbo e dalla precisione, offrendoci inattesi squarci sulla sua infanzia, quando il 2 novembre i bambini ricevevano i regali dei morti; sulla biblioteca della zia maestra e sul teatro di Racalmuto, responsabili della sua divorante passione per i libri e il cinema; sui drammi che l'hanno segnato, come il suicidio del fratello, cui è seguita quella che con ammirevole pudore definisce «una sequela di guai»; sull'impiego al Consorzio agrario, che gli ha assicurato «il primo impatto con la giustizia». Ma, insieme, vengono alla luce anche tutti i suoi amori: oltre ai libri, Parigi, il Settecento, Stendhal, Savinio, su cui ha pesato l'italica «avversione all'intelligenza», Borges, Pirandello, «incontrato nella natura, nei luoghi». E i segreti della sua officina, come la mescolanza dei generi suggeritagli da Malraux, che vedeva in Santuario di Faulkner «la tragedia greca ... calata nel romanzo poliziesco» - incluso il più spiazzante ed efficace: «Per me scrivere è una cosa allegra».
Presentando, nel 1973, la silloge di racconti Il mare colore del vino, Leonardo Sciascia ne rivendicava, oltre che la necessità, la profonda coesione interna («tra il primo e l’ultimo di questi racconti si stabilisce come una circolarità»). Una coesione, possiamo oggi precisare, ottenuta a prezzo di esclusioni molto più drastiche e dolorose di quanto Sciascia non lasciasse trapelare («Questi racconti sono stati scritti – con altri, pochi, che non mi è parso valesse la pena di raccogliere e riproporre – tra il 1959 e il 1972»). Basterà leggere in questo volume, tra i quindici racconti lasciati allora cadere, la storia di Calcedonio Fiumara (Il lascito), che, trasformatosi da zolfataro in ricco e rapace possidente, vive solo come un cane, senz’altro amore se non quello per la sua pura e intoccabile ricchezza: e finirà per lasciarla, anziché ai detestati nipoti, a un manicomio, dove nessuno potrà trarne godimento o sollievo. O Una commedia siciliana, che dietro una vicenda in apparenza rocambolesca e a lieto fine – una sartina ritrova il fidanzato creduto morto in un incidente d’auto e se lo sposa – lascia trasparire la faccia terribile e cupa di un paese «circonfuso di limoni e mare», e i due modi d’essere della Sicilia: «uno enfatico e mistificatorio – dialogo, luce, festa – e l’altro chiuso e segreto, corroso da acre violenza e disperazione». A completare il panorama della produzione dispersa di Sciascia, il lettore troverà qui un nucleo di mirabili prose e «cronachette»: come I tedeschi in Sicilia, dove è ricostruito l’eccidio, feroce e immotivato, che nell’agosto del 1943 un reparto tedesco in ritirata compì a Castiglione di Sicilia: eccidio rimasto impunito, giacché in Italia «quel che accade in Sicilia è cosa d’altro pianeta». Per Sciascia, non dimentichiamolo, sono le microstorie a conferire senso e significato alla storia: senza contare che «il gusto della supposizione e il ridestarsi dello spirito possono già bastare a chi, come me, scopre nella storia veri e propri romanzi polizieschi».
Romanzo che oscilla tra due mondi, lo storico e il mitico, Il fuoco nuovo prende l'avvio dalla più importante cerimonia religiosa dei Mexica, quando, dopo giorni di drammatica attesa, all'apparire delle Pleiadi un prigioniero di nobile sangue veniva immolato. Dal petto squarciato dal coltello di ossidiana, là dove per Dio padre e Madre natura aveva battuto il cuore, scaturiva la fiamma che ritornava a illuminare ogni angolo dell'impero. Questo avvenne per l'ultima volta nell'Anno del flauto, quando sul mare apparvero i templi galleggianti di Cortés, il conquistador o il dio falso e bugiardo. Incominciava così il principio della fine del mondo. La fine del mondo, il quinto secondo la cosmogonia dei Mexica, nel romanzo è vissuta con l'animo dei vinti. La comparsa dei conquistadores e la loro marcia verso il cuore dell'impero sono viste o immaginate con gli occhi di Montezuma. Stupito, attonito, dubbioso, incomprensibilmente arrendevole, il Signore dei Mexica e di altri popoli è forse più chiaroveggente dei suoi indovini. Se anche avesse distrutto Cortés dal principio, cosa sarebbe cambiato? Di quanto avrebbe potuto allungare l'agonia del suo mondo? Quali pensieri agitavano l'animo di Montezuma quando inviò a Cortés il copricapo e i paramenti sacri al Serpente Piumato? Chiuso nel suo mondo, nel suo palazzo, nel cuore di una città sull'acqua, tanto bella da farci pensare a una Venezia delle Indie, Montezuma emerge come figura solitaria e tragica, in tutta la nudità della condizione umana.
Napoli non sarà più la stessa. I Campi Flegrei stanno per esplodere e la città sarà presto invasa dall’acqua e dal fuoco. Nessuno ne è al corrente, tranne Diego Ventre – avvocato, affascinante e raffinato affabulatore, amico di politici potenti e di boss della camorra. Trenta giorni non sono molti, ma a Ventre sono sufficienti per progettare l’affare del secolo: vendere e comprare immobili strategici. Una volta superata l’emergenza, i profitti saranno eccezionali. Napoli sarà un’altra città, sarà la Las Vegas del Mediterraneo. Diego Ventre si muove con agilità, convince imprenditori, camorristi e affaristi, ridisegna il piano regolatore e determina il futuro di Napoli. Ricatta, ammalia, seduce, e trova il tempo per corteggiare la bellissima Luce, figlia di nobili decaduti e attratta da quest’uomo sicuro di sé e colto, che dice sempre le cose giuste e sa sorprenderla regalandole un libro rarissimo o facendo aprire per lei le residenze più inaccessibili. Ma Diego Ventre è anche la coscienza della città: ama Napoli e la vuole vedere in cenere, distrutta e purificata, liberata finalmente dall’ingordigia umana e dalla violenza estetica che per secoli l’ha devastata. Intorno a Diego e Luce, ruotano personaggi che sembrano interiorizzare le ombre che tra poco copriranno la città. Donne in cerca di affetto ma che trovano corpi che sublimano questo bisogno con il sesso, capiclan alla resa dei conti, pittori che tentano un ultimo assalto all’immortalità inseguendo sfumature impossibili.E poi c’è il silenzio, c’è il prima e il dopo. Napoli è irriconoscibile e la macchina operativa di Diego Ventre si mette in moto. Per la città e i suoi abitanti è arrivato il momento di risorgere. O di scomparire per sempre.
Napoli non sarà più la stessa. I Campi Flegrei stanno per esplodere e la città sarà presto invasa dall'acqua e dal fuoco. Nessuno ne è al corrente, tranne Diego Ventre - avvocato, affascinante e raffinato affabulatore, amico di politici potenti e di boss della camorra. Trenta giorni non sono molti, ma a Ventre sono sufficienti per progettare l'affare del secolo: vendere e comprare immobili strategici. Una volta superata l'emergenza, i profitti saranno eccezionali. Napoli sarà un'altra città, sarà la Las Vegas del Mediterraneo. Diego Ventre si muove con agilità, convince imprenditori, camorristi e affaristi, ridisegna il piano regolatore e determina il futuro di Napoli. Ricatta, ammalia, seduce, e trova il tempo per corteggiare la bellissima Luce, figlia di nobili decaduti e attratta da quest'uomo sicuro di sé e colto, che dice sempre le cose giuste e sa sorprenderla regalandole un libro rarissimo o facendo aprire per lei le residenze più inaccessibili. Ma Diego Ventre è anche la coscienza della città: ama Napoli e la vuole vedere in cenere, distrutta e purificata, liberata finalmente dall'ingordigia umana e dalla violenza estetica che per secoli l'ha devastata. Intorno a Diego e Luce, ruotano personaggi che sembrano interiorizzare le ombre che tra poco copriranno la città. Donne in cerca di affetto ma che trovano corpi che sublimano questo bisogno con il sesso, capiclan alla resa dei conti, pittori che tentano un ultimo assalto all'immortalità inseguendo sfumature impossibili.
Sulla linea tracciata da "Per voce sola" e "Rispondimi", Susanna Tamaro, in questo libro, affonda la lama della sua scrittura in storie senza salvezza, senza via d'uscita. L'incalzare del ritmo di questi quattro racconti lunghi è modulato sul tema dell'emarginazione, della separazione, del difficile dialogo tra culture diverse che si risolve sempre in uno scontro crudele. Storie senza scampo, prive del respiro di una luce. Con una nuova introduzione dell'autrice.
"Quando è scoppiata la guerra, eravamo tutti contenti." Jolanda detta Jole, tredici anni nell'estate del 1914, non ci metterà molto a capire e subire le conseguenze di un conflitto che allontana gli uomini da casa e lascia le donne sole. Separate dalla mamma, sconvolte dai bombardamenti, lei e la sorellina viaggeranno per la campagna alla ricerca di una nonna che non sapevano nemmeno di avere. Da Udine a Grado, e poi in fuga dopo Caporetto, vivranno appese al desiderio di ricomporre la famiglia dispersa, salvate sempre dalla forza e dallo spirito indipendente che è il loro tratto distintivo. Narrate dalla voce di Jole, una prima persona vivida e pungente, le loro vicende sono quelle di tutte le donne che restano fuori fuoco, lontano dal fronte, come sfumate, quasi invisibili, mentre la Storia procede impietosa. Tredici immagini raccontate, come foto perdute di un album di famiglia, scandiscono una narrazione basata su diari, testimonianze, cronache e documenti. Per parlare di guerra dal punto di vista di chi non la fa.
C'è una storia d'amore importante, durata un anno e osteggiata da tutti, il primo grande amore e la sua fine. Perché Antonio è nero e per i genitori di lei il ragazzo sbagliato. E poi c'è la famiglia di Antonio, gli amici, la scuola e altri attimi del cuore. Ci sono incontri, amori, momenti che fanno crescere, istanti indimenticabili. "Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti?" è la vita di un ragazzo raccontata di getto, inseguendo le emozioni, passando da un'immagine all'altra. Pagine cariche di sentimento, frasi che colpiscono il cuore e destinate a essere scritte e riscritte. Un racconto fatto di momenti singoli, come singole canzoni, che insieme fanno la playlist di una vita.

