
La trilogia "Sfere", opera maggiore di Peter Sloterdijk, propone una storia filosofica delle culture umane attraverso una figura, la sfera, che rappresenta il cuore del progetto di razionalizzazione dell'immagine del mondo e dell'uomo nella filosofia classica. Le sfere al centro del progetto indicano più di semplici figure geometriche. La capacità di creare forme sferiche implica sin dalle origini della civiltà umana la possibilità di accedere a costruzioni di senso capaci di orientare l'intera esperienza dell'uomo, nella dimensione dell'intimità e in quella definita dagli orizzonti della civilizzazione. In tale prospettiva, "Sfere" esprime il tentativo di definire una visione della storia umana e della condizione contemporanea a partire da una teoria dello spazio animato. Il primo volume, "Bolle", elabora una filosofia dell'intimità, contrapponendo all'immagine autosufficiente dell'individuo il concetto di diade originaria. Si presenta, in questo modo, come un esperimento "micro-sferologico", teso a decifrare i piccoli mondi del vincolo di coppia o della partecipazione simbiotica, ovvero a disegnare figure di animazione che, pur non potendo avere forma sferica in termini geometrici, sono assimilate a sfere metaforiche, cioè appunto a bolle. Con un saggio introduttivo di Bruno Accarino.
Il secondo volume della trilogia "Sfere" indaga le dinamiche di passaggio dalle microsfere (bolle) alle macrosfere (globi): sotto i riflettori sono Dio e il mondo, e con essi tutte le figure "macrosferologiche", di natura sia politica sia metafisica, che hanno dato vita a costruzioni simboliche e istituzionali di grandi dimensioni. Sloterdijk traccia un itinerario che, partendo dalle città mesopotamiche, arriva fino alle società contemporanee, interpretando tali costruzioni come dispositivi "immunitari" mediante i quali i collettivi umani erigono difese contro l'insensatezza e l'esteriorità del mondo. Il volume si chiude con un'ampia teoria della globalizzazione, presentata come un monito contro le semplificazioni imperanti nel dibattito contemporaneo: è impossibile comprendere la globalizzazione terrestre moderna, sostiene Sloterdijk, ignorando il fatto che è stata preceduta dalle globalizzazioni metafisiche di matematici, filosofi e teologi, a partire da quella che ha dato vita, con la figura del cosmo, alla prima geometrizzazione filosofica dell'universo.
Oltre che essere "banale", il male può diventare "abituale", fino a diventare "vera cultura, con capacità dottrinale, linguaggio proprio, maniera di procedere peculiare". Queste le parole di papa Francesco, che ha sorpreso un po' tutti dicendo che "la corruzione non può essere perdonata". Ma allora cosa ne è del perdono instancabile di Dio? Cosa intende il papa affermando "peccatori sì, corrotti no"? La sua riflessione, coltivata e maturata fin da quando era arcivescovo di Buenos Aires, si concentra sulla differenza qualitativa tra peccato e corruzione, e su come per guarire dalla corruzione ci voglia una svolta di vita qualitativamente alternativa. Il discorso ha grandi risvolti anche sul piano civile, dove il dibattito su questo tema è ormai consunto e quasi disarmato. È necessario leggere la corruzione in modo nuovo, fuori da un moralismo che produce solo effimera indignazione. Occorre piuttosto puntare diritti alla "struttura interna" della corruzione, per tentare di far compiere un salto di qualità alla nostra coscienza civile.
Le relazioni internazionali continuano ad essere una lotta per la potenza tra attori indipendenti in uno stato di anarchia. Ciò frustra il raggiungimento degli scopi supremi dell'azione politica tra cui l'abolizione della guerra e la garanzia della pace. La conferma viene da un'analisi della geopolitica attuale: i rapporti internazionali si trovano in una situazione di pericolo prodotta da un disordine mondiale che ha rialzato la testa. Vi è una via di uscita da questa situazione? Kant, Maritain e l'enciclica "Pacem in terris" si sono posti questo interrogativo. Il volume esamina le loro soluzioni per comprendere quale strada sia da percorrere per giungere ad un'autorità politica mondiale garante della pace, ed il ruolo che il personalismo può svolgere.
Nella filosofia occidentale la coppia di concetti potenza/atto ha una storia millenaria che comincia con Aristotele e arriva, con Heidegger, sin dentro il Novecento e oltre. La tradizione intende la potenza, rispetto all'atto, come luogo della possibilità, della facoltà e della capacità, oltre che come ciò che precede la realizzazione compiuta. Esiste però anche un'altra linea di pensiero che, soprattutto in età moderna, concepisce la relazione potenza/atto in senso deterministico, come qualcosa di simile alla coppia causa/effetto. Il volume ripercorre la lunga contrapposizione filosofica tra i due modelli sottolineando le implicazioni antropologiche, morali e politiche del binomio potenza/atto, così come emergono nelle categorie di possibilità e necessità, contingenza e mutamento, immaginazione e utopia.
Dopo una prima parte critica verso una visione filosofica che ci ha portati dalla ricerca di una morale provvisoria alla provvisorietà della morale, il presente lavoro analizza il problema dei valori morali sociali cercando di arrivare a una morale sociale condivisa. Si scoprono così una serie di presupposti irrinunciabili - come il lavoro, la persona, la responsabilità, il pluralismo, l'etica del conflitto, il diritto alla verità, il senso del limite, la fiducia sociale, la cittadinanza, la fratellanza e loro corollari: libertà, dignità, eguaglianza, giustizia, solidarietà, e altri ancora - che costituiscono i cardini di una vita sociale nella quale tutti possono realizzare le proprie più legittime aspirazioni. Tali valori sociali, in un clima di crescente sicurezza, consentono lo sviluppo dell'intelligenza e l'accrescimento della cultura, aspirazioni caratterizzanti della natura umana. Il libro si chiude con un brevissimo itinerario per un'analisi storica, canovaccio per ulteriori ricerche, nell'intento di sottolineare come, nonostante alcune ricorrenti visioni pessimistiche, il cammino dell'umanità sia costellato da un costante sforzo di miglioramento, anche se questo viene, a volte, infranto da frustranti e pericolose fasi di anormalità politica.
Platone, Hitchcock, l'Essere e il Nulla, Fichte, la fisica quantistica, la realtà delle finzioni, il Nirvana, Marx, Freud, la plebe, la follia, il sesso... e soprattutto Hegel e Lacan, anzi, più precisamente, la riscrittura lacaniana della dialettica di Hegel. "Meno di niente", l'ultima fatica filosofica di Slavoj Zizek, è un libro sterminato, che sembra voler parlare di "tutto quanto si trova sotto il cielo". Ma è anche un'opera destinata a far ricredere quanti considerano Hegel come il filosofo del "Sapere assoluto" che fagocita ogni cosa e la filosofia post-hegeliana (che spesso è filosofia anti-hegeliana) come ciò che pone rimedio a questa follia idealista. Perché la nostra situazione è identica a quella con cui doveva fare i conti Hegel e, forse, l'unico modo che abbiamo oggi di prevenire la catastrofe, di fermare l'accelerazione capitalistica, animata da un'implacabile pulsione di morte, è ripetere Hegel. Tuttavia, che cosa accadrebbe se per questa via approdassimo a una semplice, quanto sconvolgente, conclusione? "Se c'è qualcosa anziché il nulla, ciò non avviene perché la realtà ecceda il mero nulla, ma perché la realtà è meno di niente".
Tra il 1923 e il 1937 il filosofo giapponese Nishida Kitaro tenne una serie di otto conferenze per i membri di una piccola società filosofica attiva nella zona di Shinano (oggi Nagano), nel centro del Giappone. Nelle ultime quattro conferenze di questo ciclo, qui tradotte per la prima volta in una lingua occidentale, anziché introdurre il pensiero di qualche altro filosofo, come aveva fatto fino ad allora, Nishida cerca di illustrare gli esiti della propria riflessione. Propone così all'uditorio ragionamenti che gravitano attorno ad alcuni dei problemi fondamentali della filosofia su cui stava scrivendo in quegli anni, ovvero la coscienza, il luogo, il tempo, la persona, il mondo e l'agire umano. Queste conferenze costituiscono perciò non solo un'"introduzione al pensiero di Nishida", introduzione composta dallo stesso autore negli anni decisivi della fase mediana e più tarda della sua filosofia, ma invitano anche ad affrontare una delle questioni cruciali che il suo pensiero pone, vale a dire la possibilità per la filosofia occidentale di rimettersi ancora una volta radicalmente in gioco, aprendosi a un orizzonte più ampio di quello della storia e del destino dell'Europa.
Nessuno vorrebbe essere stressato, inefficiente e con i conti in rosso. Ma spesso lo siamo: come individui e come Paese. Lo dimostrano la recente crisi e la persistente difficoltà dei governi a farci "fare la cosa giusta": inquinare meno, pagare le tasse, andare alle urne, bere con moderazione... Perché siamo così difficili da governare? Perché si parte dal presupposto che siamo esseri economicamente razionali. Peccato non sia così, come rivelano numerosi esperimenti sul campo e le immagini del cervello in azione. In realtà siamo insicuri come Charlie Brown, egocentrici come Lucy, pigri come Snoopy. Il modo per cambiare in meglio i nostri comportamenti non è subissarci di raccomandazioni, norme e burocrazia, ma spingerci gentilmente nella direzione giusta. Come? Ce lo spiega Matteo Motterlini in questo libro, ricco di casi esemplari ed esperimenti curiosi, che delinea una proposta praticabile in tre semplici passi. Il primo è creare un ambiente di scelta più ecologico e salutare: bollette e contratti più trasparenti, termostati più intelligenti, mense scolastiche più sane, informazioni più accessibili. È la rivoluzione del nudge, già adottata negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei. Il secondo riguarda la politica, che dovrebbe abbandonare i provvedimenti dettati dall'improvvisazione e dall'ideologia per basarli sull'evidenza dei dati. Il terzo dipende da noi, perché le "regole di Charlie Brown" valgono per tutti nelle decisioni di ogni giorno.
Da Slow Food al sesso tantrico, dal pilales alla medicina omeopatica, negli ultimi anni la rivoluzione slow si è diffusa negli ambiti più disparati della nostra iperattiva ed efficientissima quotidianità. Contro la tirannia dell'orologio e i ritmi frenetici che riempiono a dismisura ogni minuto dedicato al lavoro, alla salute, alla famiglia, questo manuale ci offre la possibilità di scoprire, e mettere in pratica, un salutare ritorno alla lentezza: ritagliarsi ogni giorno uno spazio in cui spegnere computer, cellulari, radio e tv, concedersi un pasto cucinato con le proprie mani, scegliere un passo meno frenetico e trovare il tempo di guardarsi attorno. Carl Honoré, ormai considerato il profeta della slow life, consegna nelle nostre mani un monito innovativo e rivoluzionario: "Quando ci si dimentica di rallentare, quando si accelerano cose che non vanno accelerate, c'è sempre un prezzo da pagare". Già pubblicato con il titolo "E vinse la tartaruga. Elogio della lentezza: rallentare per vivere meglio".
Venticinque secoli fa, Aristippo di Cirene, allievo di Socrate e fonte di ispirazione per Epicuro, "inventò" il piacere: per diffondere i suoi insegnamenti faceva ricorso al gioco, all'umorismo, all'ironia, sollecitava "il verduraio, il calzolaio, il marinaio, la prostituta" e praticava la filosofia come una terapia, anticipando per molti versi il metodo psicoanalitico. Per aver voluto nobilitare il corpo, il desiderio, il sensibile, il reale, Aristippo (come poi i Cinici e gli Epicurei) attirerà su di sé, nei secoli a venire, il disprezzo dei pensatori cristiani, spiritualisti, dualisti, idealisti, cadendo infine nell'oblio. Michel Onfray, affidandosi ai frammenti e alle testimonianze di amici e nemici di questa figura cardinale della filosofia antica, cerca di portare alla luce un continente sommerso ma alimentato dalla pulsione di vita, come antidoto alla rinuncia, all'autopunizione e all'odio verso sé stessi.
Joseph Beuys, uno dei più importanti creatori del XX secolo, ha sempre considerato l'arte uno strumento di azione sociale, riservando un'attenzione profetica alle tematiche ambientali e di sostenibilità. Questo piccolo volume documenta la discussione tenuta dal Maestro a Bolognano, in Abruzzo, il 13 maggio 1984, momento culminante di un eccezionale lavoro artistico e filosofico, in occasione della piantumazione della prima Quercia italiana, prototipo delle 7000 Lichen di Kassel, nella Piantagione Paradise tuttora attiva a Bolognano. Per Beuys uomo e ambiente sono inscindibili e interdipendenti. Difendere la natura significa difendere l'uomo, ribaltando la logica produttivistica in favore di una creatività libera e diffusa, capace di riscattare ogni essere umano dalla sua condizione di sudditanza e di aiutarlo a ritrovare la propria identità profonda. Il testo è introdotto da un saggio di Lucrezia De Domizio Durini, storica collaboratrice del maestro tedesco e sua massima studiosa.