
La riflessione sul problema del tempo è uno dei temi fondamentali della tradizione filosofica occidentale. Ma gli ultimi due secoli - l’Ottocento e il Novecento - ne hanno visto una profonda trasformazione. Gli sviluppi dell’indagine scientifica si sono intrecciati con la maturazione di una inedita concezione della soggettività e della coscienza. Sono state riprese e affrontate con nuovi occhi questioni antichissime, in primo luogo quella già posta da sant’Agostino («Cos’è davvero il tempo? Lo so, ma non lo so spiegare »). Ci si è interrogati sui modi in cui il tempo viene vissuto, misurato, narrato, condiviso. È così apparso con sempre maggior chiarezza che il tempo è la realtà dello stesso nostro esistere, che il tempo - come scrive Borges - «è la sostanza di cui sono fatto». Per questo, del tempo, parliamo sempre come di un divenire, di un fluire. Un divenire, un fluire apparso non di rado come una successione di istanti. Istanti in cui fermare il tempo, arrestarlo nell’attimo «così bello» del Faust, riuscire in un’impresa che però, di fronte ai nuovi saperi scientifici, appare destinata a ridursi in speranza, a rivelarsi un’illusione. L’istante non esiste. E, se esiste, forse altro non può essere che l’eternità. Partendo da Hegel e Schelling per arrivare a Bergson, Russell, Heidegger e senza dimenticare i grandi «narratori del tempo» come Proust e Joyce, Stefano Poggi racconta gli episodi di una storia che non ci è presente in tutta la sua decisiva importanza perché è spesso sotterranea, ma che ha inciso nel profondo sulla nostra stessa identità di uomini moderni.
Karl Polanyi è un riferimento fondamentale per comprendere la storia e i problemi attuali della nostra società. Gli scritti qui raccolti chiariscono aspetti del suo pensiero che le opere maggiori, anzitutto "La grande trasformazione", presuppongono soltanto. Si va dall'analisi della crisi epocale, che la Prima guerra mondiale rese manifesta, ai commenti sul fascismo, sulla politica internazionale, sull'Unione Sovietica, fino agli scritti sull'istruzione per adulti, attività a cui Polanyi si dedicò nella convinzione che un'opinione pubblica informata e autonoma sia un fattore essenziale della democrazia. Anche la filosofia politica ha un particolare rilievo, con materiali degli anni Venti e Trenta selezionati dai curatori presso il "Karl Polanyi Archive" di Montreal. Tali scritti rivelano una concezione della natura sociale dell'uomo e della sua libertà, elaborata mediante il confronto critico con il pensiero di Karl Marx e con l'ideale cristiano della persona e della comunità. La sopravvivenza stessa del genere umano esige, secondo Polanyi, la capacità di rinnovare le istituzioni economiche e sociali grazie a una diffusa, consapevole e responsabile partecipazione democratica.
Questo testo (del 1973) è espressione da un lato di uno dei momenti più intensi e creativi del pensiero dell’autore, dall’altro presenta un’immagine dell’impresa scientifica per molti aspetti analoga a quella di molti esponenti della cosiddetta “nuova filosofia della scienza” da Kuhn a Feyerabend.
Un’epistemologia umanistica poiché per Polanyi l’uomo riassume l’universo, portando in sé gli elementi dei livelli più bassi e quelli più alti della gerarchia degli esseri viventi.
Una teoria generale del Significato nella scienza, nell'arte, nel mito, nella religione. Michael Polanyi è l'audace teorico della conoscenza scientifica come "conoscenza personale". In Significato (Meaning), l'ultima sua opera pubblicata nel 1975, realizzata con l'aiuto di Harry Prosch, allarga il suo precedente disegno teorico traducendolo in una teoria generale del significato. Non solo i territori della scienza, ma anche quelli dell'arte, del mito, della religione, l'intero universo degli esseri viventi, sono visti come inesauribili riserve di senso entro le quali l'uomo, attraverso la forza dell'immaginazione, realizza la sua vocazione più autentica, quella di essere creatore e portatore di significati. L'ampia e dettagliata Introduzione di Carlo Vinti ne illustra analiticamente i temi più rilevanti.
Dopo un lungo periodo di oblio, da alcuni decenni l'ontologia è ritornata al centro della riflessione filosofica, da una parte riappropriandosi delle analisi che precedenti generazioni di filosofi avevano mostrato, dall'altra cercando di non rifare gli stessi errori e di far avanzare gli studi verso nuove frontiere. I saggi qui raccolti - di Roberto Poli, Angela Ales Bello, Simona Bertolini, Ferdinando Luigi Marcolungo, Francesco Totaro, Riccardo Manzotti, Carlo Scognamiglio, Giuseppe D'Anna, Cristina Travanini, Patrizia Manganaro, Antonio Pieretti, Claudia Stancati, Timothy Tambassi, Aurelio Rizzacasa, Gianfranco Basti e Claudio Gnoli - offrono una panoramica dei lavori ontologici attualmente condotti in Italia, a testimonianza della diffusione e dell'interesse che i temi dell'ontologia stanno incontrando, presentando prospettive innovative e riaprendo dibattiti che sembravano definitivamente chiusi.
Nietzsche ci insegna che la verità è una illusione. È un gesto critico eversivo, estremo, che colpisce le fondamentali figure della filosofia, che smaschera il gioco di finzioni che ne sostiene il discorso e le pretese. Ma nel momento in cui egli vuole sbarazzarsi della figura del soggetto, forse la più emblematica dall'età moderna a oggi, si ritrova catturato dalla trama del linguaggio filosofico, e costretto a condurre contro di esso una irriducibile lotta. In questo libro vengono ricostruite le tappe e le scansioni di questa lotta, dalla seducente ma ingannevole liquidazione del soggetto - che "non è altro che una finzione" - alla necessaria ricomparsa di questa finzione, e proprio sulla scena dello "Zarathustra", libro che si sforza di decretarne il definitivo superamento. Il soggetto è una illusione, ma una illusione necessaria; come se, nonostante le prese di distanza di Nietzsche e le sue messe all'indice, nel luogo illusorio della soggettività il pensiero non potesse non abitare.
Fra gli anni Sessanta e Novanta la semiotica fu a più riprese attraversata dal cosiddetto "dibattito sull'iconismo", in cui si contrapponevano coloro che sostenevano che i segni iconici (come ad esempio disegni, dipinti, fotografie) fossero "naturali" o, meglio, motivati dall'oggetto che rappresentavano e coloro che invece affermavano che fossero arbitrari o convenzionali, come i segni del linguaggio verbale. Questo libro ricostruisce le linee fondamentali di questo dibattito e, in particolare, le posizioni espresse da Umberto Eco (uno dei suoi principali protagonisti) nell'arco di trent'anni di riflessione. Nella parte finale si propongono alcune modifiche e integrazioni alla teoria di Eco sul riconoscimento e sulla semiosi percettiva.

