
Bacone selezionò dal copioso repertorio mitologico della tradizione classica e rinascimentale un manipolo di "favole" con cui avviò il suo primo, compiuto progetto di rinnovamento della cultura e della società del tempo. Concepite all'insegna dell'antiaristotelismo e di una inflessibile contestazione delle dottrine scolastiche, le "favole" baconiane prospettarono un esercizio di pensiero sui temi della filosofia, dell'etica, della religione e della politica che si tradusse in una vigorosa e nuova avventura intellettuale e nell'auspicio di un concreto e responsabile progresso dei costumi e delle menti. Qui se ne fornisce una ordinata ricostruzione, nel quadro delle dinamiche presenti nella cultura inglese e in quella europea del sec. XVII, fortemente debitrici nei confronti del sapere umanistico e rinascimentale; si fornisce anche una nuova versione del testo, condotta sulle fonti filologicamente più attendibili.
"Considerando che tutti i pensieri che abbiamo da svegli possono venirci in mente anche quando dormiamo senza che, peraltro, nessuno sia vero, decisi di fingere che tutto ciò che mi era passato per la mente non fosse più vero delle illusioni dei sogni. Ma subito dopo mi resi conto che mentre io volevo pensare così, che tutto era falso, bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E osservando che questa verità, penso dunque sono, era così salda e certa che tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici non erano capaci di scuoterla, giudicai di poterla accettare senza scrupolo come il primo principio della filosofia che cercavo" (G. Mori).
Cento anni separano il "Tractatus theologico-politicus" di Spinoza (1670) dal "Système de la nature" di d'Holbach (1770), alba e tramonto di un'epoca. Un'epoca in cui si è cercato di dare una veste filosofica nuova a quella ribellione contro la teologia che è sempre stata latente, in varie forme, nella cultura occidentale, ma che soltanto tra Sei e Settecento ha raggiunto una piena visibilità e una piena consapevolezza di sé. Meteora della modernità, l'ateismo filosofico ha una sua storia, non indegna di essere raccontata, che si dipana spesso nell'ombra e quasi sempre in forma parassitaria come reazione all'imperante pensiero teologico. In realtà, c'è stato un vero e proprio ateismo filosofico, nel pensiero moderno, soltanto finché c'è stata una teologia filosofica degna di questo nome, e cioè dall'età cartesiana fino a Kant. Rompendo con una tradizione millenaria, Cartesio aveva rivendicato la possibilità di una conoscenza "chiara e distinta" di Dio, aprendo la strada a una teologia nuova, che intendeva assurgere al ruolo di scienza al pari della fisica e della matematica. Ma così come si era reso Dio oggetto di scienza, lo si era anche reso oggetto di analisi e critiche prettamente scientifiche; e così come, da quel momento in poi, lo si poteva affermare scientificamente, lo si poteva negare con altrettanta scientificità: Dio era diventato falsificabile.
L'opera di Hannah Arendt prende corpo tra Europa e Stati Uniti, nello sforzo costante di comprendere gli eventi storici più rivelatori delle migliori possibilità e delle peggiori miserie della condizione umana. Riflettendo sul concetto di "politico" dopo Auschwitz, Arendt ha evidenziato i limiti dei precedenti tentativi di afferrarne il significato senza considerare che non l'Uomo al singolare, ma gli esseri umani abitano la Terra. La pluralità che Arendt ha in mente è quella che riesce a trovare piena espressione, attraverso discorsi e azioni, soltanto qualora esista uno spazio pubblico-politico in cui sia possibile condividere un mondo comune, come accadde, in modi differenti e per un breve periodo, nella polis democratica dell'antica Grecia e con il "nuovo inizio" della Rivoluzione americana. Dell'opera di Arendt il libro propone una ricostruzione dettagliata, attenta a cogliere motivi e modalità del suo profondo ripensamento del nesso tra filosofia, politica e storia, compiuto quando appariva ormai inesorabilmente spezzato il "filo della tradizione" risalente alla Bibbia e a Platone e Aristotele.
Camminare può significare cose molto diverse per chi cammina. Può essere un modo per pensare meglio o per sentire il linguaggio del corpo scandito dal movimento dei muscoli e del respiro. Oppure un modo di fare un viaggio, per scoprire paesaggi e mondi nuovi. Per entrare in contatto con la natura attraversando boschi, prati, monti o per flâner per le strade di una città. Possiamo camminare per raggiungere un obiettivo o vagare senza meta. Lo si può fare da soli, in compagnia di un amico, di un amore, di un figlio o con tanta gente insieme. Si può camminare all'aperto o in casa, e perfino soltanto nella nostra immaginazione. Di tutte queste «figure» dell'andare a piedi dà conto l'autore, vagabondando tra le testimonianze di filosofi, scrittori, poeti ed esploratori che in diversa forma hanno lasciato traccia delle loro esperienze di cammino.
Fraternità perché? E quale fraternità? Queste le domande che Edgar Morin, intellettuale tra i maggiori del nostro tempo, ci pone in questo denso pamphlet. Domande rese urgenti dalla drammatica crisi, insieme ecologica, sociale, politica e spirituale, nella quale siamo immersi su scala locale e planetaria.
Condensando in poche pagine decenni di ampi studi transdisciplinari, Morin evidenzia come nella triade democratica libertà-uguaglianza-fraternità sia l’ultimo termine a dover oggi prevalere, pena l’aggravarsi ulteriore della crisi in atto. La «comunità di destino terrestre» che coinvolge ormai tutti gli esseri umani necessita più che mai di quel «sentimento profondo di una maternità comune» che nutre le fraternità. E che ci chiede di saper dare vita a concrete «oasi di fraternità».
Edgar Morin, nato nel 1921, ha scelto di riunire qui tutti i ricordi riaffiorati alla sua memoria che, a 99 anni, è rimasta intatta e gli permette di dispiegare davanti a noi l'epopea viva e caleidoscopica di un uomo che ha attraversato i grandi eventi del XX secolo e che continua a occuparsi con brio e acume di quanto accade nel nuovo millennio. Nel libro la grande storia è punteggiata degli episodi di una vita traboccante di viaggi, incontri con persone affascinanti, in cui l'amicizia e l'amore rivestono un ruolo centrale. Edgar Morin è il "filosofo della complessità". Ma è noto e apprezzato in tutto il mondo, dall'Africa all'Asia all'America Latina, anche per la sua capacità di enunciare pensieri complessi con una semplicità e una piacevolezza uniche. "Questi ricordi non sono emersi in ordine cronologico, come avviene di solito nelle Memorie. Mi sono venuti incontro a seconda dell'ispirazione e delle circostanze. Interpellandosi reciprocamente, alcuni ne hanno fatto scaturire altri dall'oblio".
Non riuscendo a dare un senso alla pandemia, impariamo da essa per il futuro. Un minuscolo virus in una città molto lontana della Cina ha scatenato lo sconvolgimento del mondo. L'elettroshock sarà suffi ciente per rendere fi nalmente tutti gli umani consapevoli di una comunità di destino? Per rallentare la corsa frenetica allo sviluppo tecnico ed economico? Siamo entrati nell'era delle grandi incertezze. Il futuro imprevedibile è in gestazione oggi. Assicuriamoci che tenda a una rigenerazione della politica, alla protezione del pianeta e a un'umanizzazione della società: è tempo di cambiare strada.
Spirito indipendente e originale, Edgar Morin conserva un gusto e un piacere intatti per le cose della vita e gli oggetti del pensiero. Dall'eleganza del volo di una rondine all'umanesimo di Montaigne, dalla missione dell'intellettuale alla lotta delle donne iraniane, niente di ciò che è umano gli è estraneo. In questo insieme appassionante di testi personali, letterari, storici e filosofici, Edgar Morin sfrutta il suo immenso sapere, accumulato in un secolo di vita, per interrogare la complessità del reale e pensare il futuro della nostra società.
Questo saggio è il manifesto di un gigantesco progetto transdisciplinare di filosofia e antropologia della complessità. Edgar Morin sostiene che bisogna porre fine alla riduzione dell'uomo a homo faber e homo sapiens. Homo, che apporta al mondo magia, mito, delirio, è dotato nello stesso tempo di ragione e sragione: è sapiens-demens. Rifiutando una concezione ristretta e chiusa della vita (biologismo), una concezione insulare e sopra-naturale dell'uomo (antropologismo), una concezione che ignora la vita e l'individuo (sociologismo), Edgar Morin delinea una concezione complessa dell'uomo come a un tempo specie, società e individuo. È una visione radicalmente ecologica della nostra condizione terrestre, che raccoglie la sfida di inventare una nuova immagine dell'umano, nell'avventura spaesante dell'era planetaria.
"Non sappiamo che cosa ci sta accadendo, ed è precisamente questo che ci sta accadendo." La celebre frase di José Ortega y Gasset, posta da Edgar Morin a epigrafe di questo pamphlet, vale a maggior ragione per il nostro tempo. La nostra miopia nella comprensione del presente dipende da una crisi del pensiero? O da una sorta di sonnambulismo generalizzato? In questo nuovo saggio, il grande filosofo francese sottolinea la necessità di trovare una bussola per orientarsi nell'oceano dell'incertezza in cui siamo dispersi. Una bussola che ci aiuti a comprendere la storia che stiamo vivendo, dalla marea di estrema destra dilagante in Europa alla crisi economica, fino al degrado ambientale del nostro pianeta. Grazie alle riflessioni del filosofo planetario, incalzati dalle sue domande possiamo tentare di comprendere come il mondo si sta trasformando e accogliere la sfida senza precedenti che siamo chiamati ad affrontare. Dunque... svegliamoci!