
La pandemia ha rivelato tutta la fragilità di un'idea che ci martella da decenni: il pubblico è spreco, il privato è bello. Oggi scopriamo che la nostra sanità parla di clienti e non più di cittadini con diritti; che il nostro ambiente è stato sacrificato all'altare della crescita infinita; che ricerca e scuola sono scarnificate dai tagli; che il mondo del lavoro è spaccato in due, tra chi continua a dare ordini da casa e chi deve stare a contatto con i macchinari, fare consegne in bicicletta, raccogliere ortaggi nei campi. Scopriamo la perversione di un modello che ha venduto la globalizzazione come un processo in cui vincono tutti, ha trasformato l'economia in finanza e ha reso i poveri dei «consumatori a debito dei sogni dei ricchi». E che infine, dopo la crisi dei sub-prime (accertato che no, non vincono tutti), ha favorito la proliferazione dei sovranismi: tutti contro tutti. Andrea Ranieri ha scritto una storia breve del capitalismo degli ultimi cinquant'anni, per orientarsi nella prossima fase di revisione dei trattati europei tenendo a mente le lezioni del New Deal di Roosevelt e del disastro dell'austerity: non può darsi rilancio economico senza aumentare le tasse ai più ricchi.
Con il Coronavirus e la pandeconomia che ne è derivata siamo di fronte a un bivio: riprendere la vecchia strada, con tutto quello che ne consegue in termini di disuguaglianze sociali, inquinamento e distruzione dell'ecosistema, o procedere verso un'equonomia, ovvero la ricerca di un equilibrio tra uomo e habitat, fondato sull'equità, sugli insegnamenti e i valori positivi che questa crisi ha fatto emergere.
Difficile sbagliare le previsioni a brevissimo termine, perché il futuro immediato è già qui. Meno coinvolgente il vaticinio su ciò che capiterà nel lungo periodo, quando non ci saremo più. Così la vera sfida è centrare i pronostici a medio termine. L'hanno persa con disonore coloro che appena l'altro ieri facevano a gara a rassicurarci sulla ripresa dell'economia mondiale. È da tutt'altra prospettiva che muovono quattro tra i maggiori "obiettori di crescita" nel ragionare sul decennio che ci aspetta. Serge Latouche, Yves Cochet, Jean-Pierre Dupuy e Susan George giudicano ineluttabile il declino dell'ordine economico neoliberale e non distolgono lo sguardo dal baratro che si sta spalancando. Anzi, tra loro c'è chi rivendica il "catastrofismo illuminato" come l'unico esercizio previsionale all'altezza della situazione. L'idea è che non si possa sfuggire all'alternativa: decrescita o barbarie.
Come riuscire a passare dalla cultura del PIL (Prodotto Interno Lordo) alla cultura del BIL (Benessere Interno Lordo)? Bastano pochi semplici gesti quotidiani: gesti da cittadino, da genitore, da imprenditore, da figlio, da educatore, da politico. Comportamenti che non richiedono grandi sforzi, nessuna rinuncia, nessun sacrificio, solo buona volontà e consapevolezza. Per superare il circolo vizioso del PIL superfluo basta riflettere, evitare gli sprechi e attuare un consumo delle risorse consapevole dei bisogni delle generazioni che verranno. Utilizza la mappa del BIL, contenuta nel libro, scegli una direzione e scoprirai come ogni percorso genera un circolo virtuoso, orientato al vero benessere. Le schede, semplici e divertenti, ti aiuteranno a capire come è facile contribuire al BIL. Cerca gli altri effetti positivi non tracciati nella mappa, ipotizza nuovi percorsi, inserisci nuovi elementi e collegali a quelli già esistenti.
Il dibattito sull'economia sociale di mercato, come soluzione alla crisi del sistema italiano, è stato recentemente protagonista sulle principali testate giornalistiche. Autorevoli commentatori hanno argomentato pro o contro questo modello. Ma quali sono le caratteristiche e gli sviluppi storici e teorici che lo renderebbero proponibile nel contesto attuale? L'Autore ne ripercorre la genesi, a partire da quel filone del liberalismo europeo chiamato ordoliberalismo, fino all'originale interpretazione di don Luigi Sturzo in Italia. Basata su alcuni capisaldi quali l'economia di mercato, la libera iniziativa, la lotta ai monopoli (pubblici e privati) e la stabilità monetaria, l'economia sociale di mercato è distante sia dalle dottrine interventiste come dal capitalismo selvaggio. Al centro c'è l'idea che il sistema economico, per esprimere al meglio le proprie funzioni produttivo-allocative, dovrebbe operare in conformità con una "costituzione economica" che lo Stato stesso pone in essere.
La capacità di affrontare il conflitto come confronto, gestione di forti contrasti e risoluzione di problemi in maniera efficace è un fattore determinante del successo o del fallimento di un’organizzazione. Il conflitto è motore e propulsore delle relazioni per la sopravvivenza e l’evoluzione dei sistemi organizzativi, un potente strumento di cambiamento organizzativo di cui vanno comprese origini, dinamiche e funzioni per una sua corretta gestione. L’obiettivo di questo lavoro è quello di fornire un contributo allo studio del conflitto nelle scienze organizzative, analizzando e rielaborando la letteratura sul tema relativa a un orizzonte temporale di circa cinquant’anni, al fine di attuare un processo di schematizzazione e giungere a una possibile chiarificazione terminologica e a un approccio del fenomeno per livelli organizzativi. Il tentativo è di dare una “visione schematica” del fenomeno senza avere la pretesa di essere completi ed esaustivi, data la moltitudine dei contributi presenti a riguardo.
«Non è difficile individuare le politiche economiche necessarie per invertire la rotta. Abbiamo bisogno di maggiori investimenti nei beni pubblici; di una migliore governance aziendale, leggi antitrust e antidiscriminazioni; di un sistema finanziario più regolamentato; di un rafforzamento dei diritti dei lavoratori; di sistemi di tassazione e trasferimenti più progressivi. 'Riscrivendo le regole' che disciplinano l'economia di mercato sulla base di queste esigenze potremo ottenere una maggiore uguaglianza nella distribuzione del reddito sia prima che dopo le tasse e i trasferimenti, e di conseguenza risultati economici migliori.»
Oggi si parla tanto della crisi economica, ma siamo certi che, quando la crisi non c’era, stavamo bene? E quando terminerà (perché sicuramente un giorno terminerà), siamo certi che staremo bene? Vivremo senza ansia, senza angoscia, senza paura per il domani? E se la colpa della nostra infelicità non fosse da ricercare nella crisi, ma altrove?
Sullo sfondo del mercato globale, tenebrosi personaggi tirano i dadi decidendo la vita o la morte per fame di milioni di persone. È "Il Grande Gioco della Fame": le mani della finanza internazionale muovono sul terreno di gioco pedine inconsapevoli. L'avido speculatore, il perfido hedge fund, la potente banca manovrano risparmiatori ignari e il contadino del Sud del mondo. Questo manuale d'istruzioni ci spiega i rudimenti per divertirsi con "Il Grande Gioco della Fame" e racconta con disarmante chiarezza l'intreccio tra speculazione finanziaria e cibo. Un perverso ma affascinante meccanismo per guadagnare tantissimi soldi scommettendo sulla vita altrui. La differenza tra questo e gli altri giochi? Semplice: "Il Grande Gioco della Fame" è reale.
Bollettino di Dottrina Sociale della Chiesa - Numero 3 anno IX, incentrato sul tema del fisco.
Perché?
Nulla di scientifico, nulla di impegnativo, in queste poche pagine. Solo il tentativo di rispondere con semplicità alle domande dei semplici: «Ma come è potuto capitare?». All’altra domanda: «E adesso che cosa fare?» la risposta è incerta, ma la intuiamo: «Fare il contrario di quel che si è fatto sino ad ora». Regole dove c’era sregolatezza. Redistribuzione a rovescio, a carico di chi ha profittato. Solo che noi “piccoli” non abbiamo gli strumenti per attuarla. Gli strumenti li hanno i politici: i quali – è stato detto – «sanno benissimo che cosa andrebbe fatto; ma non sanno come fare a farsi rieleggere qualora lo facessero». Allora?
Elvio Fassone nato a Torino nel 1938, ha svolto il compito di magistrato a Pinerolo ed a Torino, dove ha rivestito l’incarico di consigliere della Corte d’Appello, e poi di presidente della Corte d’Assise. È stato membro del Consiglio superiore della magistratura negli anni 1990-1994. È stato eletto al Senato della Repubblica nel 1996 e nel 2001. Ivi ha fatto parte della Commissione Giustizia e, dal 2001 al 2006, è stato vice-presidente della Giunta per le immunità parlamentari. È autore di circa 90 pubblicazioni in materia processual-penale e penitenziaria, edite da Il Mulino, CEDAM, Giuffrè ed altre editrici. Ha collaborato e collabora con le principali riviste specializzate del settore.