
Il volume è un contributo giuridico alla disciplina del matrimonio canonico di cui si esamina il bonum coniugum, la cui essenza è individuata dall'Autore " nella mutua formazione interiore dei coniugi, nel loro costante impegno per aiutarsi reciprocamente verso la perfezione, che costituisce un motivo principale del matrimonio, quando esso va inteso nel senso di una comunione che coinvolge la vita intera ".
La proprietà privata, celebrata come base della libertà della persona, fonda il nostro intero sistema giuridico, economico e culturale. Ma è un nodo ideologico: mettiamolo in discussione e ci porremo domande essenziali. Perché la libertà è concepita come accumulo senza limite? Perché l'ineguaglianza è pensata come una condizione naturale e non come un'ingiustizia sociale? Perché nella proprietà privata non abbiamo riconosciuto un potere che sottrae a tutti natura e beni comuni? Sciogliere il legame fra proprietà e libertà obbliga ad avvicinare un vaso di Pandora di contraddizioni della modernità che troppi, anche i più insospettabili, non si sentono di scoperchiare.
Il presente lavoro si prefigge l'obiettivo di ricostruire la riflessione giuridica di Salvatore Pugliatti, con particolare riguardo alla metodologia e alla teoria della interpretazione. A tale scopo, si è tentato di mettere in luce il rapporto tra l'attività del giurista e la imponente cultura del Pugliatti umanista, musicologo, letterato e critico d'arte. Ne emerge il profilo di un personaggio avvincente, "vero uomo del Rinascimento", capace di segnare, con la sua multiforme personalità, il panorama culturale italiano del Novecento.
È possibile che giudici che fanno lo stesso lavoro, hanno seguito gli stessi studi, hanno superato lo stesso concorso, applicano le stesse leggi, approdino, sugli stessi fatti e a fronte di identiche prove, a decisioni non solo diverse o molto diverse, ma del tutto antitetiche: assoluzione o condanna; libertà immediata o carcere a vita; inizio di una nuova esistenza o definitiva negazione di un futuro? Insomma, la giustizia è un orologio di precisione, come ci insegnano, o una macchina capricciosa, regolata dagli umori e dall'arbitrio? Dagli interrogativi che ogni sera l'anziana madre gli poneva alla fine della telefonata quotidiana, gli stessi che assillano milioni di cittadini di fronte ai frequenti paradossi della cronaca giudiziaria, Francesco Caringella - che indossa la toga da oltre venticinque anni - trae lo spunto per spiegare, con linguaggio semplice e taglio divulgativo, cos'è la «giustizia», quella amministrata ogni giorno nelle aule d'udienza in nome del popolo italiano. Lo fa in dieci brevi «lezioni» sui punti salienti dell'attività del giudicare e del rito processuale, cioè i mezzi con cui la società cerca, innanzitutto, di «rendere giustizia» alla vittima di un reato, oltre che di punire il colpevole. Ecco allora che prendono corpo, e trovano puntuale risposta, questioni cruciali come il tipo di verità che è lecito attendersi dalla sentenza di un tribunale e quali sono i maggiori ostacoli che ne insidiano l'accertamento. Quesiti ardui come quelli sulle doti tecniche e caratteriali che deve possedere l'uomo chiamato a decidere della vita di altri uomini o su quando un dubbio è ragionevole al punto da imporre al giudice, malgrado l'intima convinzione della colpevolezza dell'imputato, un verdetto di assoluzione. E, infine, domande scottanti su quale giustizia sia quella che richiede tempi superiori alla capacità d'attesa degli interessati e, talvolta, della loro stessa esistenza; se sia accettabile che il reato si prescriva quando invece le lacrime dei parenti delle vittime sono destinate a scorrere per sempre, o se sia giusto che, nel vuoto legislativo, il giudice si arroghi il potere di decidere anche sulla vita e sulla morte dei suoi simili. Se, come afferma Caringella, ogni cittadino dovrebbe poter capire i meccanismi della giustizia e il significato delle decisioni prese da pochi nell'interesse di tutti, queste pagine costituiscono un concreto contributo perché ciò, finalmente, avvenga.
Nell’immagine della copertina Mosè è rappresentato nell’atto di rompere le Tavole della Legge di fronte all’idolatria del vitello d’oro. Ma con quest’atto i frantumi dei principi di diritto naturale penetrano nelle regole e nelle legislazioni di tutti i popoli seppur in modo confuso, disordinato, caotico e non rare volte contraddittorio. Tuttavia questi principi germinali, nonostante la loro imperfezione, conservano il ruolo di difesa dal vitello d’oro del diritto, cioè dall’idolatria della legge umana in quanto non vincolata da qualsivoglia contenuto, l’idolatria della mera legalità. Questa storia recente del diritto naturale intende illustrare quest’idea mostrando che nel pensiero giuridico sono presenti ragioni che non si sa da dove vengono e che spingono il giurista a guardare oltre le mani dell’uomo.