
Questo libro, pubblicato da Gillo Dorfles oltre mezzo secolo fa, costituisce il compendio decisivo dell'originale concezione estetico-antropologica coltivata dall'autore in un periodo in cui ben altri erano gli orientamenti degli studi italiani sulle arti. Rivolgendosi agli aspetti tecnici dei singoli linguaggi artistici, Dorfles assume una posizione in netto contrasto con l'idealismo crociano, ancora dominante nell'immediato dopoguerra. Lontano da qualsiasi interesse per "l'ineffabile", lo studioso triestino indirizza la sua riflessione alle specificità tecniche e linguistiche delle varie arti, sebbene propenso a situarle in una prospettiva complessa al centro della quale vi sono il concetto di formatività e le costanti formative che ne dipendono.
Il Novecento ha permesso di superare una visione rigida e ristretta dei rapporti fra teatro e letteratura, riassumibile in buona sostanza nella formula: il teatro consiste (esclusivamente) nella rappresentazione di testi drammatici. La vera e propria "esplosione" a cui la contemporaneità ha sottoposto questi rapporti ha permesso di svelare la ricchezza delle relazioni esistenti fra questi due campi dell'arte e dell'immaginario, agendo retroattivamente anche sulla loro comprensione storica. Il presente volume si situa nello spazio letterario del teatro, o meglio, è dentro quello spazio che abitano gli "oggetti" di cui parla: testi drammatici ma anche, e soprattutto, trattati, saggi critici, teorie, racconti e romanzi, memorie e autobiografie.
Il "Diario del ritorno al paese natale" è stato ed è il diario della faticosa presa di coscienza non solo di cosa significa essere "negro", negli anni '40, ma anche di ciò che significano oppressione e sfruttamento colonialista. In Césaire tale presa di coscienza assume un carattere profondamente rivoluzionario che, uscendo dal carattere fisiologico del colore della pelle, assume una dimensione universale: causa ed effetto della sua grandezza poetica. Breton che lo incontrò in Martinica riconobbe immediatamente nella terra di cui parlava Césaire la sua terra, la nostra terra; il negro che incontrò non era soltanto negro, ma l'uomo tutto.
Nell'oscurità più totale si accende una lampadina. Alla sua debole luce vediamo un ragazzo, Paul, che si esercita a fare giochi di prestigio. La lampadina, infatti, gli si è materializzata sulla punta delle dita ed è alimentata da chissà quale energia magica. Non è attaccata al muro nè collegata a una presa o a qualche filo. Presto comincerà a galleggiare misteriosamente nell aria...
"In verità non so mai cosa rispondere perché non so chi è che stai interrogando; voglio dire che l'aspetto più imbarazzante e schizofrenico dell'intervista è che chi la subisce deve accettare di essere un altro, uno cioè che sa, che ha idee generali, una visione del mondo e dice la sua sull'esistenza, la religione, la politica, l'amore, le bretelle. A molte domande non risponderò, ad altre mi sottrarrò con racconti più o meno inventati". Un ritratto a tutto tondo del regista, che parla di sé senza ambiguità. Racconta della sua vita e dei suoi film, ma anche di politica, di terrorismo, di musica e letteratura. E del suo modo di fare cinema, "un modo divino di raccontare la vita, un modo di fare concorrenza al padreterno".

