
L’esistenza a Barcellona di un monumento come la Sagrada Familia nel cuore del XX secolo resta un’eccezione e insieme una sfida per la cultura architettonica contemporanea. Questo libro - attraverso un repertorio inedito di immagini e gli interventi di studiosi e degli stessi protagonisti del cantiere - testimonia come nella Sagrada Familia si materializzi un’originale saldatura fra la componente tecnica e quella del significato, fra la dimensione creativa individuale ed il lavoro collettivo, fra il contesto civile di una città e lo spazio sacro di una chiesa. Senza nulla togliere al genio di Gaudì, anzi a conferma della sua inventiva, il volume testimonia perciò l’esistenza di un cantiere vivo animato da architetti, ingegneri, esperti di tecnologie digitali, artigiani, storici dell’architettura, teologi e iconografi, tutti coinvolti nel progresso del progetto di Gaudì.
Numerose opere sono state consacrate, parzialmente o totalmente, alla scultura romanica; tuttavia è difficoltoso fornire un quadro cronologico coerente di un’arte la cui evoluzione, in un periodo relativamente breve, non ha nulla di lineare. L’approccio scelto fino ad ora è stato essenzialmente regionale e ha posto l’accento sulla reale diversità che caratterizza le principali «province» dell’arte romanica. Questo libro tenta un altro metodo: mettere in rilievo, attraverso un’analisi maggiormente tipologica, ciò che costituisce l’unità della scultura romanica, ossia le fonti di ispirazione comune, il ricorso agli stessi modelli (anche se l’interpretazione non è univoca), l’adattamento ai medesimi schemi iconografici; soluzioni parallele adottate per rispondere alle stesse necessità.
Questa nuova edizione italiana del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti (1404-1472), così come i diversi apparati critici che la corredano, è opera di un architetto, dunque – secondo la definizione di Adolf Loos – di «un muratore che sa il latino». La traduzione, come il commento che l'accompagna, mira anzitutto alla interpretazione e comprensione del problema architettonico, ed è stata volutamente condotta con sobrietà e asciuttezza. Perchè – questa la convinzione di fondo che ha guidato il lavoro della curatrice – il De re aedificatoria resta ancora oggi, a distanza di secoli, non solo un’opera di alto valore letterario e formativo, ma anche una straordinaria fonte di insegnamento dei molteplici saperi che costituiscono l’architettura. Attraverso la riscoperta del linguaggio architettonico
dell’Umanesimo italiano – che Alberti ricodifica dopo Vitruvio – viene riportato all’attenzione del lettore un mondo ricco di fervore e di interessi, in cui lo studio
dell’esperienza costruttiva degli antichi si accompagna all’osservazione dei
cantieri contemporanei nella Roma papale o nella Firenze dei Medici. L’opera è corredata da un apparato esplicativo di note, da un glossario dei termini albertiani (indispensabile per la conoscenza del lessico tecnico del celebre umanista), da un corredo di circa 120 immagini tratte dal manoscritto di Damiano Pieti del 1538 (Biblioteca Panizzi, Mss Vari G3).
Prologo - I lineamenti - I materiali - Il lavoro di costruzione - Le opere pubbliche - Le opere private - L’ornamento - L’ornamento degli edifici sacri - L’ornamento
degli edifici pubblici profani - L’ornamento degli edifici privati - Il restauro delle costruzioni
l'autore
Leon Battista Alberti (1404 - 1472) architetto e umanista, frequentò gli ambienti culturali di Padova, Bologna, Firenze, Ferrara, Mantova e Roma, di cui studiò con interesse e passione antiquaria i monumenti della classicità. Incarnò l'intellettuale dell'Umanesimo italiano eccellendo nel campo delle lettere come in quello scientifico, realizzando architetture monumentali, partecipando alla fervida discussione quattrocentesca sulle arti e sulle tecniche. Si dedicò alle lettere, allo studio della lingua italiana, alla pittura, all'architettura, all'ottica e alla matematica, lasciandoci un corpus di opere molto ricco di cui il De re aedificatoria (1452) può ritenersi il lavoro più imponente.
Esistono vicende, nella storia umana, che hanno una dirompenza più inappariscente dei grandi sconvolgimenti, ma un rilievo e una durata ben maggiori. Per comprenderne le vere dimensioni sono d’ostacolo gli specialismi non dialoganti e gli arroccamenti sugli spalti identitari. Ce lo insegna in modo esemplare l’invenzione della prospettiva, argomento tra i più studiati di una storia dell’arte che nel Rinascimento fiorentino di Ghiberti, Brunelleschi e Alberti celebra insieme gli atti costitutivi di una rivoluzionaria tecnica culturale e i propri solitari fasti disciplinari. Con mossa felicissima, Hans Belting spariglia le carte e mette in prospettiva la prospettiva stessa. Grazie alla sua indagine si chiariscono fino in fondo le alleanze tra pratiche pittoriche, dottrine artistiche, conoscenze scientifiche, e soprattutto si svela la fecondità di un paradosso: all’apice della sua fioritura, l’Occidente definì il canone percettivo, attraverso il quale ci appropriamo del mondo sotto forma di immagine, attingendo a una teoria della visione concepita quattro secoli prima da un matematico arabo nativo di Bassora, Alhazen, in un contesto religioso islamico che bandiva le immagini perché giudicate contraffazioni blasfeme della creazione di Dio. Lo scarto temporale e i travisamenti dei traduttori propiziarono inopinatamente, sulla questione nevralgica delle consuetudini visive, il cortocircuito tra due civiltà che avrebbero poi acuito la reciproca lontananza. Civiltà dello sguardo, quella occidentale, fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore. Civiltà che privilegia la luce, quella araba, fedele al grafismo non iconico dell’ornamento. Belting riesce a intrecciare le loro differenze, così da renderle vivide per contrasto, come nell’emblema della finestra, che nella nostra tradizione è soglia da cui lasciare spaziare lo sguardo all’esterno, mentre nella cultura islamica è grata rivolta all’interno, dove il chiarore del giorno filtra in geometriche dissolvenze decorative. Che cosa implichi vedere, quanto sia necessario che i dissimili si scambino gli sguardi e vengano guardati nelle loro talora irriducibili peculiarità, poteva mostrarcelo solo un ingegnoso frontaliere degli studi, l’ideatore di un’antropologia delle immagini.
l'autore
Hans Belting, è professore emerito di Storia dell’arte e teoria dei media presso la Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, dove ha fondato il corso interdisciplinare «Immagine-corpo-medium: una prospettiva antropologica». Tra le sue opere tradotte in italiano: Il Medio Oriente e l’Occidente nell’arte del xiii secolo (1982), L’arte e il suo pubblico. Funzione e forme delle antiche immagini della Passione (1986), La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte (1990), Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo (2001) e I tedeschi e la loro arte. Un’eredità difficile (2005). Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato La vera immagine di Cristo (2007).
Un elegante volume in cofanetto che illustra l'opera omnia di Franco Zeffirelli: teatro, opera, cinema.
Gruppi di ragazzi e di uomini si riuniscono in una città greca per bere, cantare, amoreggiare. Ma che cosa sappiamo del simposio – a parte quello indimenticabile narrato da Platone? In questo libro Maria Luisa Catoni ci offre un frammento di una società diversissima dalla nostra. Una ricerca magistrale, che distrugge ogni senso di falsa familiarità con l’antico.
Il libro
"Questo libro racconta storie di mescolanze. Lo fa a partire da quella, fisica, di vino e acqua. Così, infatti, i Greci ritenevano si dovesse bere il vino, mescolato con acqua in proporzioni variabili a seconda del grado di ubriachezza desiderato, in un vaso, il cratere, che porta nel nome la radice del verbo greco keránnymi, cioè mescolare."
Maria Luisa Catoni
Gruppi di ragazzi e di uomini si riuniscono in una città greca per bere, cantare, amoreggiare. Ma che cosa sappiamo del simposio – a parte quello indimenticabile narrato da Platone? Dalla lettura incrociata delle tracce lasciate da chi partecipava al simposio e da chi ne era escluso (come i vasai) emerge un quadro in cui si intrecciano norma e trasgressione, inclusione ed esclusione, mescolanza. Un frammento di una società diversissima dalla nostra. Una ricerca magistrale, che distrugge ogni senso di falsa familiarità con l’antico.
Il fidanzato vi ha lasciato? Avete litigato con vostra suocera? Il vostro capo è un bastardo? Il computer vi fa impazzire? Vorreste tanto essere James Bond o Carrie Bradshaw?
Ogni stato d’animo, ogni occasione della vita, ogni umore, ogni incontro, ogni disavventura ha un suo film. Anzi, non un solo film, ma un mucchio di film che rispecchiano esattamente quello che sentite, sperate, desiderate, amate o detestate. Magari li conoscete già, i film che vi parlano dei vostri amori o delle vostre delusioni, della vostra famiglia o dei vostri sogni, dei vostri passatempi e delle vostre passioni. Oppure vi farebbe comodo qualche consiglio. Questo è il libro nel quale trovarli: suddivisi per categorie che corrispondono ad altrettanti “stati d’animo”, i film da vedere o rivedere in dvd, da soli, in coppia o in compagnia, per trovare altre parole per esprimere quello che sentite.
E, magari, piangere un po’ o, finalmente, riderci su.
Non un dizionario, ma una guida di “film del cuore”, elaborata con ironia, intelligenza e precisione critica, con un tanto di cattiveria ma, sempre, con molto affetto per gli oggetti di cui si parla, rivolta al comune e delicato “materiale umano” di cui tutti siam fatti... Un gioco e insieme uno strumento, questo è un libro da tenere accanto al televisore, da regalare per scherzo o per affetto... o da tenere per sé!
Dall’introduzione di Emanuela Martini: “Film Therapy”? Più o meno: perché, come dicevano nel secolo scorso François Truffaut e Woody Allen, i film non possono cambiare la nostra vita, ma certamente ci possono aiutare a vivere meglio. O, per i più “ottimisti”, aiutarci a sopravvivere. (...) Questo libro è una piccola guida ai film “giusti” per quelle sere in cui avete voglia di sentirvi raccontare il vostro problema con parole diverse dalle vostre, oppure volete condividere un sentimento, un dubbio, una felicità, un dolore. Che so, se proprio vostra sorella è un’arpia, consolatevi con le sorelle Bette Davis e Joan Crawford in Che fine ha fatto Baby Jane?; se non riuscite a trovare un lavoro decente, potreste sentirvi solidali con i ragazzi del call center di Tutta la vita davanti; o se pensate che il nostro clima sia degenerato, controllate le previsioni meteo (piovose) per il 2019 di Blade Runner. E, qualche giorno prima delle nozze, potrebbe esservi utile scoprire cosa capita all’eterna fidanzata di Kevin Kline in In&Out...
Cosa vedere se...
... ti hanno lasciato
... ti piace cucinare
... il tuo capo ti tratta a pesci in faccia
... sei una casalinga disperata
... vuoi cambiare vita
... viaggi spesso in aereo
... certe mattine non vorresti mai svegliarti
... ti senti una vamp
... ti senti un sopravvissuto
... hai problemi con i vicini
... non riesci a smettere di fumare
... il rock ti ha salvato la vita
... cerchi idee per un viaggio
.... e molte altre ancora!
Con la collaborazione di Pier Maria Bocchi, Silvia Colombo, Gualtiro De Marinis, Mauro Gervasini, Luca Malavasi
Con questa pièce del 2007, rappresentata con successo nel 2008 a Praga e a Londra, Václav Havel ritorna al mestiere di drammaturgo dopo la lunga pausa dovuta all'impegno di uomo politico e capo di Stato. Nell'opera, cadenzata da un ritmo ascendente, un politico di primo piano lascia la scena. L'azione si svolge su due livelli: la dinamica delle relazioni e della comunicazione tra le persone, uno dei temi prediletti nel teatro di Havel, viene rappresentata sia nell'ambito di politica e potere, sia su un piano più intimo e familiare. In scena la residenza che l'ex capo di governo deve lasciare, circondata dai ciliegi; nell'azione si intrecciano citazioni che rimandano al 'Giardino dei ciliegi' di Cechov e a 'Re Lear' di Shakespeare.