
Un testo sullo storico organo conservato oggi nella collegiata di San Quirico d'Orcia. Fu costruito tra 1606 e il 1607 da Cesare Romani, esponente di spicco di una famiglia di organari fioriti a Cortona tra Cinque e Seicento.
"Sono un musicista. Più precisamente, sono un violoncellista della tradizione musicale classica europea. Nella mia quotidianità di studio, esercizio, viaggi, prove, concerti e riposo, non vivo nel mondo comune. O almeno: non ci vivo allo stesso modo di coloro che lo abitano lasciandosi guidare e istruire da prodotti e fabbricati che cambiano forma, aspetto e valore giorno dopo giorno. Ciò che è classico, per definizione, dovrebbe essere immutabile, cioè mutare solo per effetto del nostro sguardo, non nella sua intrinseca verità. Ed è proprio da quella separazione, da quello stato di annichilente esilio dal tutto e dall'infinito, che io, come musicista, ho sempre cercato di fuggire, giungendo ad appellarmi non più al solo linguaggio dei suoni ma ancora a quello della parola, anzi: della narrazione, sebbene questa, nella sua più intima essenza, sia per me null'altro che uno dei nomi della musica."
“L’architettura è un’arte di frontiera. Solo se si accetta la sfida di farsi contaminare, di farsi costantemente provocare da tutto ciò che è vero, ha ragione di essere. Altrimenti è roba da salotto, da accademia. L’abbiamo già detto, c’è una profonda somiglianza fra la musica e l’architettura, così immateriale l’una quanto è materiale l’altra. La splendida esecuzione della Terza Sinfonia di Mahler diretta da Abbado al Lingotto (la cui sala rettangolare consente una delle migliori acustiche) era pura poesia, ed è svanita nell’aria. Penso all’Auditorium di Parma realizzato nella vecchia fabbrica dell’Eridania, di cui su quel tavolo vedi il modellino. Sì, nella musica come nell’architettura ritrovi la stessa voglia di precisione, di ordine matematico, geometrico, le stesse certezze, magari le stesse disubbidienze…”
“Sento molto gli elementi immateriali, come sono la luce, le trasparenze, le vibrazioni, il colore, tutti elementi che interagiscono con la forma dello spazio, ma che non sono riconducibili ad esso. Nella ricerca della leggerezza e della trasparenza, nel lavoro sulla luce, c’è una continuità logica e poetica. La luce naturale (spesso diffusa dall’alto) è una costante del mio lavoro. L’immaterialità è anche di Calvino, appartiene alla sua fantasia. Calvino non è solo lo scrittore delle Lezioni americane, ma è anche l’autore de Le città invisibili. Credo che in una delle prime edizioni avesse scritto di una città fatta di tubi, che in qualche modo richiamava il Beaubourg. Solo che i muratori in quella città non arrivarono mai e le Naiadi se ne impossessarono. Nella fantasia di Italo Calvino, insomma, il Beaubourg era diventato una città di tubi”.
Ormai giunto alla sua settima edizione, questo affascinante racconto-intervista di Renzo Piano con il giornalista Renzo Cassigoli si arricchisce di una inedita intervista di Enzo Siciliano al grande architetto. Altro tassello, dunque, di questo libro singolare che nelle sue sette edizioni si è progressivamente arricchito non solo dei commenti di Piano ai lavori che andava affrontando – dalla Potsdamer Platz di Berlino all’Auditorium di Roma, da Nouméa in Nuova Caledonia al museo di Sarajevo, dalla nuova sede de “Il sole 24 ore” al progetto per la Collina degli Erzelli, a Genova – e di riflessioni più generali sulla sua professione, sul concetto di “architettura sostenibile”, sulla responsabilità dell’architetto, su architettura e arte, sull’idea di città ma anche su temi più “eccentrici” quali il ricordo di Italo Calvino o il commento sull’attribuzione del Premio Nobel a Günter Grass.
Come è noto, la nozione di romanico "lombardo" supera largamente i confini amministrativi dell'attuale Lombardia, a marcare uno dei centri propulsori a raggio europeo del rinnovamento architettonico e artistico dopo l'Anno Mille. Al punto che quasi un secolo fa un grande storico dell'arte americano, Arthur Kingsley Porter, tentando con una monumentale catalogazione sinora insuperata di censirne i monumenti conosciuti, inglobava nel concetto l'intera Italia centro-settentrionale. Per non parlare della diffusione di formule architettoniche e soluzioni decorative, come quella degli archetti pensili, che ne proiettano anche a grande distanza i presunti effetti. Essa ne individua comunque il baricentro, che nella triangolazione tra Milano, Como e Pavia segna i raggiungimenti più alti del fenomeno, oltre a registrare la fitta trama di esperienze diffuse nel territorio, con densità e coerenza non comuni. Quale sia la ragione di tale situazione privilegiata è difficile dire. Si è fatto appello, non impropriamente, alla lunga tradizione di maestranze specializzate nella lavorazione della pietra (estratta dalle vicine cave prealpine) che si è voluta far risalire ai "magistri comacini" di età longobarda (ma si discute ancora sulla corretta etimologia del nome), o meglio ai maestri intelvesi e poi campionesi, che percorsero le strade dell'Italia centro-settentrionale tra il XII e il XIV secolo.
La Storia dell'Archeologia della Mesoamerica si fonde con la storia stessa del Messico. Dopo lo scontro coloniale che ha distrutto le antiche civiltà, dagli Aztechi ai Maya, i nuovi arrivati, mescolandosi agli indigeni, hanno lentamente cercato di ricostituire il mondo pre-colombiano.
Il grande antropologo ed archeologo Eduardo Matos Moctezuma da anni lavorava a questo progetto che va dai primi codici fatti rifare dai missionari agli indigeni nel '500, all'archeologia scientifica ed ai musei e siti archeologici dei giorni nostri. Il Messico durante 500 anni ha cercato, tramite l'Archeologia, di ritrovare la sua identità meticcia.
L'opera ha un corredo illustrativo che va da documenti antichi ed inediti sino al presente ed esce nel bicentenario dell'indipendenza e nel centenario della Rivoluzione Messicana.
“Conversazione con la morte”, “Interrogatorio a Maria” e “Factum est” sono opere di vera poesia teatrale, nelle quali Giovanni Testori, il più forte e provocatorio drammaturgo italiano del Novecento, fa i conti con il mistero della propria fede. Una poesia caratteristica e inconfondibile, in cui sofferenza umana e religiosità sono inseparabili, e lo sperimentalismo – non solo linguistico – dello scrittore si mostra ormai maturo. Nelle parole dette dialogando con la morte, o interrogando Maria, e nel balbettio potente della vita che preme per nascere, Testori concentra e in qualche modo rivisita tutta la sua vasta esperienza di artista e di uomo. E pone sotto spietata inchiesta la cultura oggi dominante, indagandola con la sua lucida visione, la sua sincerità. E con il senso drammatico della sua personale speranza.
Nella periodizzazione tradizionale della storia dell'arte esiste un lungo intervallo oscuro tra l'architettura dell'età imperiale romana e quella del primo Medioevo. La vecchia tesi di un progressivo declino della cultura classica e di timidi accenni di rinascita nel primo Medioevo appare tuttavia superata da tempo. Piuttosto i concetti chiave di questo momento storico sono: continuità, cristianizzazione e innovazione. Fulcro di tale sviluppo è la creazione dell'edificio di culto cristiano, che si rivelerà poi uno dei temi più fecondi della storia dell'architettura europea. Ma anche il permanere del patrimonio monumentale ereditato dall'antichità e gli impulsi scaturiti dallo stanziarsi dei Longobardi, gli influssi bizantini e la nuova dimensione europea dell'impero carolingio caratterizzano questo periodo. Tutti questi argomenti sono nel presente volume oggetto di trattazione da parte di studiosi di fama internazionale. Si illustra la prima fioritura dell'edilizia chiesastica nei centri principali dell'Italia tardoantica: Roma, Milano e Ravenna e nelle altre città e territori dell'Italia settentrionale e meridionale. Si prende inoltre in esame la permanenza dell'eredità urbanistica e architettonica del mondo antico, sotto l'aspetto sia della continuità d'uso che dell'influenza esercitata come fonte di rievocazione e d'ispirazione. All'altra estremità della trattazione si profilano i nuovi abitati del primo Medioevo.
Trent'anni di lettere, cartoline, telegrammi. Trent'anni di parole e colloqui a distanza. Trent'anni di amicizia tra due delle più importanti personalità della musica contemporanea. Massimo Mila, musicologo e critico musicale di fama internazionale, e Luigi Nono, il grande compositore veneziano, uno dei massimi protagonisti della storia musicale del xx secolo. La corrispondenza che i due intrattennero dal 1952 al 1988, conservata presso la Fondazione Archivio Luigi Nono di Venezia e la Fondazione Paul Sacher di Basilea, disegna il percorso evolutivo di un rapporto umano e intellettuale di straordinaria intensità. Esperienza privata, certo, ma che dialoga e si intreccia continuamente con le più importanti vicende culturali della seconda metà del Novecento, qui illuminate dalla prospettiva privilegiata di chi quelle vicende le ha vissute da protagonista. Come un flusso ininterrotto di parole e pensieri, che ci vengono offerti senza filtri e intermediazioni, in Nulla di oscuro tra noi le personalità di Mila e Nono emergono in tutta la loro complessità, calate come sono in un contesto in continuo movimento, scosso da mille trasformazioni e, anche per questo, puntualmente ricostruito nel commento dei curatori. Il carteggio è completato da una corposa scelta degli scritti di Mila su Nono e molte delle lettere scambiate tra Nono e l'editore Giulio Einaudi, ad arricchire di documenti la storia del profondo legame tra il compositore veneziano e l'ambiente culturale torinese.

