Esiste una ricchezza altra dal denaro, dalla proprietà, dalla merce di scambio. Una ricchezza di enorme potenziale composta di virtù e relazioni che nascono e si muovono all'interno di comunità coese, società caratterizzate da un alto livello di comunione. Beni che non si sottraggono o comprano, ma si moltiplicano e intrecciano. Relazioni e rapporti alla base della buona vita di ogni cittadino, e perfino alla base di un fecondo mercato. Ma cosa significa, in questa prospettiva, essere ricchi?
A criticare la costruzione europea, dall'euro alla BCE, dal fiscal compact all'unione bancaria, sono spesso gli stessi che hanno firmato gli accordi a Bruxelles e li hanno poi ratificati nei rispettivi paesi. Fare dell'Europa il capro espiatorio di tutti i mali è però una strategia autolesionista che non solo alimenta i vari populismi, ma espone le forze politiche e i governi che l'adottano all'accusa di essere incapaci di battere i pugni sul tavolo a Bruxelles, di sapere cosa andava fatto e di non averlo fatto. Sembra infatti più coerente, e quindi più efficace, la posizione di chi rimette in discussione l'intera costruzione europea rispetto alle tesi, né carne né pesce, di chi si dichiara "a favore dell'Europa, ma non di questa Europa". La crisi dell'Europa è in realtà la crisi degli stati nazionali che in un sistema sempre più integrato non riescono più ad agire individualmente in maniera efficace e nel contempo sono riluttanti a trasferire poteri a livelli di governo sovranazionali. In questo quadro il volume smonta alla luce dei fatti alcune "false verità" sull'Europa, senza necessariamente assolverla dalle sue responsabilità, ma senza nemmeno tacere quelle degli stati che ne fanno parte, che sono di gran lunga maggiori.
Com'è possibile che l'umanità, che ha raggiunto un progresso tecnologico senza precedenti, non riesca a fare in modo che ogni uomo sul pianeta possa disporre di una casa, di cibo, degli indumenti essenziali, di cure adeguate, di un lavoro dignitoso commisurato alle sue possibilità? A questa domanda fondamentale - e sempre più urgente visti il degrado della nostra società e l'acuirsi delle disuguaglianze fra poveri e ricchi - la lettura di questo libro fornisce alcune risposte. Per l'autore la società potrà cambiare soltanto quando un'etica diversa guiderà le nostre azioni, sapremo instaurare un nuovo rapporto con la natura e abbandoneremo l'odierna "logica della crescita e della produttività", che si è rivelata rovinosa e incapace di risolvere i problemi, per una logica economica alternativa, davvero a misura d'uomo (con la creazione di fattorie e di piccoli centri abitati in cui si pratichi un'agricoltura di sussistenza, ad esempio, e una produzione industriale limitata ai beni veramente necessari). Con il suo stile semplice e diretto, Pierre Rabhi trasmette ai lettori una profonda simpatia per la terra e per il suo ideale di una sobrietà felice.
"Una volta chiesi a Steve Jobs quale riteneva fosse la sua creazione più importante. Ero convinto mi rispondesse l'iPad o il Macintosh, invece disse la Apple. Fondare un'industria che durasse nel tempo, spiegò, era più difficile e più importante che fare un bel prodotto." A tre anni dalla sua scomparsa, Steve Jobs continua a essere studiato in tutte le business school come un modello unico di creatività, capace di coniugare in modo innovativo tecnologia e bellezza, strategia economica e fantasia. Imprenditore geniale, ma anche uomo dal carisma spietato, di lui spesso si sono messi in luce gli aspetti più ruvidi della personalità, senza considerare che questi erano parte integrante del modo in cui ha portato la sua azienda a raggiungere traguardi straordinari. Con la Apple, Jobs è riuscito a creare prodotti vincenti e a sviluppare nuove occasioni di business, rivoluzionando in pochi anni differenti settori, dall'informatica alla telefonia, dall'editoria alla musica. E questo grazie alla propria inventiva e alla determinazione con cui ha guidato la sua squadra. Partendo dai colloqui che hanno ispirato la biografia best-seller del creatore della Apple, Walter Isaacson torna a parlarci di lui, in un testo che riassume le regole e i segreti dell'eccezionale successo del geniale imprenditore che ha rivoluzionato in pochi anni il mondo dell'economia e del business.
Il risveglio personale di Arianna Huffington è arrivato con uno zigomo rotto e un brutto taglio sull'occhio, risultato di una caduta causata dalla spossatezza e dalla mancanza di sonno. Co-fondatrice e direttore dell'Huffington Post Media Group, celebrata come una delle donne più influenti del mondo e consacrata dalle copertine delle riviste internazionali, Arianna era, in base a tutte le metriche classiche, straordinariamente di successo. Tuttavia, trovandosi a peregrinare da un dottore all'altro, da un esame clinico all'altro, ha cominciato a chiedersi che cosa significa veramente "essere arrivati", se era davvero quella la vita che voleva. E la risposta è stata no: abbiamo bisogno di un nuovo modo per andare avanti e prosperare. La verità è che l'attuale modello di successo, che si identifica con superlavoro, esaurimento da stress, mancanza di sonno, lontananza dalla famiglia, connessione 24 ore su 24, non funziona. Non funziona per le aziende, né per le società in cui è il modello dominante, né per il pianeta. Non funziona per le donne, e neanche per gli uomini. Da questa consapevolezza parte la sfida per "cambiare passo" e ridefinire il concetto stesso di successo: oltre il binomio potere e denaro, includendo nei parametri che lo definiscono una "terza metrica" che tenga conto del benessere, del buonsenso, della nostra capacità di meravigliarci e di fare la differenza nel mondo.
Il saggio di Cecotti rompe il silenzio costruito dalla cultura cattolica" italiana degli ultimi decenni attorno alla figura e al pensiero sociale di Carlo Francesco d'Agostino. "
"Ogni giorno milioni di investitori, dilettanti e professionisti, provano che non puoi battere il Mercato. Poi c'è Warren Buffett." Warren Buffett è la seconda persona più ricca d'America e uno dei più grandi finanzieri del mondo: il suo fondo d'investimento, nato nel 1956 con un capitale di 105.000 dollari, oggi ne gestisce 142 miliardi, ed è uno dei più solidi e profittevoli sul mercato mondiale. L'autore ricostruisce l'ormai proverbiale "metodo Buffett" analizzando in dettaglio la sua vita privata, la sua formazione professionale, i grandi successi finanziari (Coca-Cola, IBM, Heinz), i "12 paradigmi" alla base della sua filosofia di lavoro, la psicologia dietro ogni decisione finanziaria, il valore della pazienza e la sua predilezione per gli investimenti a lungo termine.
Questa edizione - la terza a quasi dieci anni dalla prima - consegna all'analisi del rapporto tra mercati e istituzioni una fase storica. Una fase caratterizzata, da un lato, da nuovi interventi correttivi pubblici e dall'altro, dal ripiegarsi delle politiche pubbliche su schemi vincolistici di bilancio. La "fear of debt" appare giocare un ruolo prevalente nelle strategie pubbliche, in netto contrasto con le aspettative di sviluppo con cui aveva preso l'avvio il decennio precedente. Ne sono conferma le costruzioni europee che con i Trattati del 2012 "Fiscal compact" e "European Stability Mechanism" mirano a stabilizzare la moneta comune, con la cui introduzione si era aperto questo secolo, e ciò nel tentativo di contrastare le incrinature dell'edificio europeo eroso nelle sue fondamenta da egoismi nazionali e logiche di arroccamento. Non si intravedono segnali di solidarietà finanziaria se non quelli attesi dalla finestra di opportunità verso un "reshaping" del processo di integrazione europea costituito dall'avvio dell'Unione Bancaria prevista per la fine del 2014. D'altro canto il pendolo delle relazioni tra mercati e istituzioni registra, nell'arco di pochi anni, oscillazioni che fino allo scorso secolo richiedevano periodi ben più lunghi. Cercare di ordinare in schemi sistematici l'impianto di queste relazioni si fa meno facile sotto gli urti della "contemporaneità". Ma questo è il compito che questo libro si è assunto e a cui - si spera - possa adempiere anche in questa terza edizione.
È possibile cambiare il sistema economico attuale? Esso è tanto un complesso di pratiche e di tecniche, quanto una cultura diffusa, radicata nel mito dell'homo oeconomicus. Chiunque non sia ipnotizzato dalla propaganda neoliberista vede che il capitalismo globale è nocivo all'umanità e alla natura. Quella che però sembra ancora impossibile da vedere è la via per il cambiamento del sistema. Il libro individua questa via nell'interazione di tre svolte essenziali. La prima è la svolta spirituale che conduce oltre il mito del capitalismo e scaturisce dall'incontro tra le sapienze antropologiche delle culture del mondo. Ciascuna di esse coltiva la memoria della dignità umana e la loro convergenza sa dare senso e orizzonte all'impegno per cambiare la società. La seconda svolta è metodologica e implica la riorganizzazione dell'economia. Un nuovo pensiero a riguardo potrà fiorire grazie all'apporto dei modelli alternativi sia al capitalismo che al socialismo reale. L'ultima svolta è culturale e politica. È la svolta che si nutre del potenziale motivazionale di un'etica del bene comune e della forza trasformativa di una politica che sviluppi la democrazia attraverso la prassi della giustizia restitutiva dei diritti. A quanti non vogliono rassegnarsi a subire la situazione esistente questo libro propone una via inedita di cambiamento, che permetta alla società di respirare e all'economia di servire tutta l'umanità senza distruggere la natura.
La crisi finanziaria e la crisi del debito hanno determinato un peggioramento delle condizioni economico-finanziarie delle banche e una brusca riduzione dei flussi di credito concessi alle imprese, e hanno innescato profondi mutamenti degli assetti organizzativi e regolamentari delle banche, dei modelli di valutazione dei rischi e del merito di credito e dei processi selettivi delle imprese, delle specializzazioni produttive e dei processi innovativi. Questo volume offre un ampio spettro di analisi e riflessioni sui problemi delle banche italiane e sul loro comportamento durante la crisi: sull'andamento del credito alle imprese in Italia nel confronto con altri paesi europei, sull'impatto che la distribuzione e l'organizzazione spaziale delle banche, il grado di concorrenza nei mercati locali del credito e l'adozione delle tecnologie di "credit scoring" hanno avuto sull'accesso al credito delle imprese e sulla rischiosità delle banche; sul ruolo svolto dagli intermediari di garanzia e dalle politiche di promozione dell'accesso al credito durante la crisi e ai loro possibili effetti sistemici; sulle scelte e i problemi di gestione della liquidità delle banche, i connessi rischi sull'economia reale e la stabilità del sistema bancario.
Oggi che i profitti delle multinazionali tornano a salire, il nostro Paese resta impantanato nella recessione. I poteri della grande industria svaniscono, sacrificati al mito dell'italianità (Alitalia), svenduti alla concorrenza estera (Telecom), decapitati da inchieste e arresti (Eni e Finmeccanica) o salpati direttamente oltreoceano (Fiat). Non va meglio ai poteri storti dell'alta finanza, che negli scandali Montepaschi e Fonsai hanno saputo aggirare anche la vigilanza di Consob e di Bankitalia. In questo stato di decomposizione, l'opinione pubblica ha trovato il capro espiatorio nella casta politica. In realtà stiamo vivendo l'eclissi di un'intera filiera del potere, che nel pubblico come nel privato non ha saputo né voluto affrontare il cambiamento e cavalcare la modernità.
Wall Street, settembre 2008: il fallimento della banca d'affari Lehman Brothers segna l'inizio della grande crisi che in questi anni ha causato tanta sofferenza. Si è trattato di un vero e proprio infarto del cuore del sistema finanziario mondiale. La metafora è semplice e immediata. Nella riflessione del sociologo Mauro Magatti, attento da sempre ai rapporti tra mondo economico e società, la figura dell'infarto diventa strumento efficace per capire la crisi e immaginare una prospettiva per il suo superamento. Come l'infarto si cura in prima battuta con un farmaco salvavita per evitare la morte del paziente, così il collasso del sistema è stato evitato dall'immissione di liquidità da parte degli Stati: un intervento tampone, però, insufficiente a rimuovere le cause. Occorre invece, come nel caso del paziente infartuato, analizzare con lucidità le cattive pratiche comportamentali che hanno portato alla crisi, l'infernale congegno del capitalismo tecno-nichilista che riduce l'uomo a una sorta di 'macchina desiderante' mai appagata e mai felice, quel consumatore insaziabile che dovrebbe alimentare una crescita senza fine. Se si vuole evitare lo schianto finale del sistema anche sotto il peso di un'ingestibile infelicità collettiva, vanno individuati, oltre a logiche economiche diverse, nuovi stili di vita, nuovi paradigmi mentali che permettano di recuperare quella relazione tra economia e società, tra efficacia tecnica e sviluppo umano, sistematicamente negata...