Negli ultimi anni sembra che la politica abbia subito un'inquietante accelerazione. Nei paesi in cui l'adesione di tutti i cittadini al sistema di valori della democrazia era considerata un'ovvietà, il consenso per i partiti di estrema destra e per i populismi aumenta a ogni tornata elettorale. Per di più, la degenerazione del discorso politico è sopravvissuta alla fine della crisi economica. In Europa e negli Stati Uniti, infatti, sono chiari i segni della ripresa eppure la richiesta di costruire muri, di respingere i flussi migratori, di ripristinare misure protezionistiche è sempre più forte da parte dei cittadini. Il legame tra liberalismo e democrazia, spiega Yascha Mounk, non è più così indissolubile come credevamo. Siamo entrati in una nuova era politica, con la quale chi ancora crede nella sovranità del popolo in democrazia dovrà fare i conti. Come dimostra l'elezione di Donald Trump, la divaricazione della cultura dei diritti dal sistema della partecipazione democratica è possibile. Mentre le istituzioni si riempiono di milionari e tecnocrati, i cittadini conservano i propri diritti civili e le proprie libertà economiche, ma vengono esclusi dalla vita politica. D'altra parte, il successo di Orbán in Ungheria, di Erdo?an in Turchia e di Kurz in Austria è il segno di una democrazia che si priva sempre più della capacità di garantire diritti ai propri cittadini e si trasforma in una tirannia della maggioranza.
La «via italiana al socialismo» inaugurata da Togliatti è stato uno degli esperimenti politicamente più ambiziosi del dopoguerra europeo. In questo ampio studio Giuseppe Vacca, il maggiore studioso della storia politica comunista italiana, ne ripercorre la parabola teorica e di azione, tenendo sempre a mente il rapporto conflittuale ma vitale con l'unica altra forza popolare dell'Italia repubblicana, la Dc, e il resto del mondo cattolico. Dalla responsabilità democratica, costituzionale e antifascista della ricostruzione postbellica e la necessità da parte di Togliatti di fondare una tradizione di pensiero sull'opera di Gramsci, al complesso rapporto con il mito di Stalin e il lascito politico di De Gasperi, attraverso la stagione dei governi di centro-sinistra fino all'eurocomunismo di Berlinguer e al tentativo, tragicamente interrotto dalla morte di Moro, di un compromesso storico tra i due grandi partiti di massa italiani, quello di Vacca è il ritratto più completo di un periodo fondamentale della storia d'Italia.
L'ipotesi di Latour è che non si possono comprendere le posizioni politiche degli ultimi cinquant'anni se non si attribuisce un posto centrale alla questione del clima e della sua negazione, di cui Donald Trump non è che il simbolo più conosciuto. È questo che spiega l'esplosione delle ineguaglianze, l'ampiezza della deregulation, la crescita del populismo. Siamo entrati nell'epoca di un profondo disorientamento, che vede la terra sottrarsi a noi umani come terreno di vita, reagendo alle nostre azioni con sconvolgimenti climatici globali. Per contrastare tale politica, occorre tracciare una nuova rotta e dunque disegnare una mappa delle posizioni imposte da questo nuovo paesaggio, avendo come obiettivo un mondo diversamente abitabile per sé e per i propri figli.
«"Supernova" è un noir politico. È la storia di come nasce, cresce e viene ammazzata la pazza idea di Gianroberto Casaleggio di costruire il primo movimento politico che utilizzi Internet come strumento di propaganda e organizzazione. È una storia raccontata da un osservatorio unico e privilegiato: abbiamo fatto parte, in momenti diversi e decisivi, della macchina organizzativa del Movimento 5 stelle. L'abbiamo vista nascere, l'abbiamo fatta crescere, ce ne siamo allontanati...»
Sono trascorsi dieci anni dalla fondazione del Partito Democratico, il 14 ottobre 2007.
Un decennio in cui il mondo, l’Europa, l’Italia sono cambiati radicalmente. Dieci anni fa Obama lanciava la sua candidatura alla guida degli Stati Uniti in un clima di speranza, oggi il mondo osserva con inquietudine le politiche di Trump. Fresca di allargamento l’Europa guardava con fiducia al suo futuro, oggi si interroga incerta su come uscire dall’impasse. Dieci anni fa iniziava la più lunga crisi economica conosciuta dal dopoguerra. Dieci anni segnati dal terrorismo di al-Qaida e dell’Isis e dagli attentati che hanno colpito l’Occidente nel cuore delle sue capitali. Dieci anni nei quali l’Italia ha visto succedersi governi guidati da Prodi, Berlusconi, Letta, Renzi e Gentiloni. Allora “populismo” era vocabolo per esperti, oggi è fenomeno che raccoglie vasto consenso, mettendo in tensione cittadini e istituzioni.
Per un secolo, il Novecento, la sinistra ha affermato i suoi valori grazie a quattro parole – sviluppo, lavoro, protezione sociale, democrazia – che oggi appaiono lesionate. Di fronte a tutto questo, cosa deve fare una sinistra che non si rassegni a una condizione di minorità? Come si affermano i diritti in una società flessibile? Come si costruisce una società multiculturale che non chieda rinunce all’identità e renda ciascuno sicuro e libero da paure? E come gestire le nuove dicotomie: occidente / oriente, sovranità / globalizzazione, lavoro / tecnologie, integrazione / identità?
Una riflessione necessaria, condotta da chi il Pd ha contribuito a fondarlo, ne ha vissuto in prima persona ogni passaggio ed è tuttora impegnato sul fronte del rinnovamento della sinistra italiana ed europea.
Piero Fassino, nato ad Avigliana (Torino) nel 1949, inizia la sua attività politica negli anni settanta e ottanta a Torino. Nel 1987 viene chiamato nella segreteria nazionale del Pci ed è uno dei giovani dirigenti che, con Achille Occhetto, gestisce la trasformazione del Pci in Pds. Nel 1994 viene eletto alla Camera dei Deputati, dove siederà fino al 2011. Dal 1996 al 2001 ricopre incarichi di Governo: Sottosegretario agli Esteri e agli Affari europei, Ministro del Commercio Estero, Ministro della Giustizia. Dal 2001 al 2007 è Leader dei Democratici di Sinistra e guida i Ds a fondare il Partito Democratico. Dal 2007 al 2011 è Inviato speciale dell’Unione Europea per la Birmania. Dal 2011 al 2016 è Sindaco di Torino e dal 2013 Presidente dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci). Attualmente è Presidente del Gruppo Socialista al Congresso dei Poteri Locali del Consiglio d’Europa e membro della Presidenza del Partito Socialista Europeo e della Global Progressive Alliance. Presiede il Centro Studi Politica Internazionale (Cespi). Autore di un’ampia produzione saggistica e giornalistica.
La guerra siriana, la divisione tra sunniti e sciiti e il terrorismo alimentato dall'Islam radicale, l'annosa questione di Israele e della Palestina, la minaccia nucleare della Corea del Nord e la lezione della Baia dei Porci, i rapporti tra Stati Uniti e Cina, la nuova presidenza americana, il difficile cammino dell'Europa verso l'integrazione, i nuovi populismi e le migrazioni innescate dalle guerre e dalle rivoluzioni in Medio Oriente e Nordafrica, l'attivismo imperiale della Russia di Putin: sono le coordinate principali della complessa "mappa del disordine mondiale" che Sergio Romano disegna nelle pagine di questo libro. "Ogni crisi internazionale ha la sua logica e la sua razionalità o, se preferite, la sua assurdità" scrive in apertura alla prefazione, e, con l'acutezza di osservazione a cui ci ha abituato nei suoi articoli, saggi e libri, ci guida alla scoperta dei "fattori che contribuiscono a rendere la società internazionale sempre più litigiosa e insicura". È una lettura del presente - alla luce del passato e aperta sul futuro - non condizionata dalle ideologie, che permette di interpretare la Storia al di là dei luoghi comuni e di ogni vulgata, e ricca dell'esperienza diretta di chi ha vissuto in prima persona, da diplomatico, molti importanti eventi internazionali. Non a caso, l'"Atlante delle crisi mondiali" si conclude con una pagina di ricordi, in cui Romano spiega com'è diventato un "patriota europeo". La sua è un'Europa che, come aveva indicato de Gaulle, non deve includere per forza gli Stati Uniti e la Gran Bretagna: "La politica di coloro che hanno veramente a cuore l'unità dell'Europa dovrebbe essere simile a quella dei Paesi che negli anni della Guerra fredda scelsero per se stessi il 'non impegno'. Potremo allora fare della Russia il nostro principale partner economico e parlare di una Europa 'dall'Atlantico agli Urali'".
Dopo il trauma della fuga dalla Germania nazionalsocialista, Arendt si dette anima e corpo a un’idea di politica che non smise mai di teorizzare come espressione di creatività e gioia, intendendo il potere come potenzialità e possibilità di agire, di esprimersi insieme e con i propri pari nell’esaltante consapevolezza di poter cambiare il mondo, e ciò in netta contrapposizione alla condizione umana di isolamento, impotenza e superfluità sperimentata sotto i regimi totalitari. D’altro canto, Arendt non risparmiò critiche asprissime verso un movimento che, nato nella gioia dell’agire insieme per cambiare il mondo, ella vedeva spegnersi nella violenza, impolitica espressione di frustrazione, disperdendosi nei mille rivoli della società dei consumi, nuovo non-luogo in cui le masse postmoderne sperimentano ancora una volta quell’isolamento e quell’impotenza che solo la gioia dell’agire comune può trasformare da destino a possibilità.
Il volume raccoglie i discorsi di Papa Francesco sull'Europa. Sono presenti: il discorso al Parlamento Europeo (Strasburgo, Francia, 25 novembre 2014), il discorso al Consiglio d'Europa (Strasburgo, Francia, 25 novembre 2014), il disorso pronunciato in occasione del Conferimento del Premio Carlo Magno /Sala Regia, Vaticano, 6 maggio 2016), il discorso rivolto ai Capi di Stato e di Governo dell'Unione Europea in occasione del 60° Anniversario della firma dei Trattati di Roma (Sala Regia, Vaticano, 24 marzo 2017), le parole rivolte ai partecipanti alla Conferenza "(Re)thinking Europe" (Aula del Sinodo, Vaticano, 28 ottobre 2017). La presentazione è a firma del Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin.
Nel 50ESIMO anniversario dell’uccisione di Robert F. Kennedy, il volume rende omaggio a un grande protagonista del secolo scorso, facendo riecheggiare parole che suonano oggi di un’impensabile potenza “profetica”. I testi, selezionati dai giornalisti Mauro Colombo e Alberto Mattioli, e riuniti in tre aree tematiche (L’uomo, diritti e doveri, Un mondo da cambiare e Per una nuova politica), sono commentati da autorevoli interpreti del nostro tempo: studiosi, uomini e donne di legge, esponenti del mondo accademico e culturale.
Le pagine di Bob Kennedy, scrivono i curatori, «sono ancora capaci di rivoluzionare i cuori e accendere passioni, esattamente come accadde nei giorni esaltanti della sua campagna elettorale e in quelli tragici della sua morte. Il suo pensiero è una porta aperta alle novità, al cambiamento possibile: “Molti uomini vedono le cose come sono e dicono: perché? Io sogno cose che non sono mai state e dico: perché no?” Robert Kennedy metteva in guardia i suoi contemporanei dai pericoli dell’inerzia rassegnata, del realismo di basso profilo, della pavidità e dell’agiatezza, spronando ogni persona a essere una scintilla per il cambiamento: “Pochi avranno la grandezza necessaria a piegare la storia, ma ciascuno di noi può operare per modificare una minuscola parte degli eventi e tutte queste azioni formeranno la storia di questa generazione”.» Un monito e prospettive che ancora interpellano la vita dei nostri contemporanei, che mettono bene in luce i commenti raccolti nel volume.
Con un contributo di Kerry Kennedy, figlia di Robert, e l’introduzione di Marco Tarquinio, direttore del quotidiano «Avvenire».
Con la preoccupante affermazione dei movimenti antiestablishment nelle principali realtà occidentali, tutte le iniziali diagnosi ottimistiche sulla tenuta delle democrazie liberali appaiono meno fondate. Per spiegare cosa sta succedendo, Giovanni Orsina rilegge le vicende dell'ultimo secolo individuando tre momenti fondamentali. I primi due - la trasformazione del rapporto tra Massa e Potere a partire dagli anni trenta e la cesura rappresentata dal Sessantotto, quando entrò in crisi l'idea che la Storia procedesse secondo una logica - sono comuni a tutto l'Occidente. I caratteri peculiari che rendono più grave la situazione del nostro paese vanno individuati, invece, nella svolta di Tangentopoli, con il trionfo dell'antipolitica. Da allora molte cose sono cambiate: basti pensare che, mentre dopo il 1992 la Lega Nord era il principale alfiere dell'antipolitica, oggi è il più vecchio partito in Parlamento. Siamo di fronte a un ulteriore passaggio: l'avanzata dei movimenti antiestablishment si salda alla crisi dei sistemi democratici. Se l'ultimo ventennio non ha visto sorgere proposte risolutive, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?
«Mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella Politica con la maiuscola!».
È l'invito rivolto da papa Francesco agli aderenti dell'Azione Cattolica Italiana il 30 aprile 2017, quando il Santo Padre ha incontrato l'associazione in piazza San Pietro.
Un'indicazione importante, che assume ancora più significato in una stagione in cui il tema del contributo dei cattolici alla vita del Paese è al centro di molti dibattiti.
Nel dialogo agile e serrato con Gioele Anni, giovane giornalista di Lodi, il Presidente nazionale dell'AC offre alcune indicazioni per capire in che modo l'Azione Cattolica, e più ampiamente la comunità dei credenti, sono chiamate a concorrere alla costruzione del Bene comune.
Non stando al di sopra delle parti, ma sotto di esse.