In queste pagine ci occuperemo dell'estasi non tanto come esperienza religiosa ma come esperienza emotiva. Ne parleremo come stato di coscienza umano, dal risvolto emotivo peculiare ma di dominio sostanzialmente comune. "Il nuovo mistico ha le sue estasi all'interno di aeroplani, tra la folla caotica e muta delle metropoli, sulla rampa di una scala mobile".
L'occasione dei 65 anni del professor Maurizio Gronchi è stata salutata da alcuni amici, compagni di viaggio, colleghi e studenti. Per anni don Maurizio Gronchi si è distinto nella ricerca teologica con oltre 260 titoli tra monografie, collaborazioni e articoli, offrendo il proprio contributo come ordinario di Cristologia nella Pontificia Università Urbaniana. Nonostante l'impegno a servizio della Chiesa Universale come Consultore per il Dicastero per la Dottrina della Fede dal 2012 e come Consultore della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi dal 2015, Gronchi non ha mai smesso di orientare la propria vita al servizio di persone con disabilità fisica, psichica e socialmente svantaggiate, come nell’edificazione di un sogno: Casa Ilaria. In questa miscellanea ciascuno, nello spazio delle proprie competenze ed esperienze di vita, ha voluto ringraziarlo lasciando così uno scorcio delle relazioni, degli affetti, delle sfide che con don Maurizio sono state vissute e condivise.
La vicinanza, recita il titolo di questo libro, è "lo stile di Dio", che Gesù è venuto a svelarci con la sua vita. È anche, come ricorda papa Francesco, la strada maestra per portare Dio agli uomini e alle donne del nostro tempo, a partire dai poveri e dagli ultimi. E poi, insieme alle persone di buona volontà, per promuovere la giustizia e la pace. Tutto ciò si riflette nella vita di Chiara Lubich. Investita dalla luce di Dio che le fa comprendere come Egli sia Amore e ami ciascuno immensamente, ella comunica questa luce a più persone possibili. Dà così inizio a un Movimento ecclesiale che vuole contribuire alla fraternità e all'unità della famiglia umana. Il libro approfondisce dunque il tema della vicinanza nell'orizzonte dell'esperienza della Lubich. Parte del volume presenta una ricca raccolta di scritti e discorsi che ella ha tenuto negli anni, tratta dell'eredità anche letteraria che ci ha lasciato.
Nella società attuale l'idea cristiana di Dio sembra aver perso ogni potenziale di provocazione, condannata all'indifferenza e all'inattività. è necessario liberarla da tutto ciò che, nel corso di secoli, l'ha paralizzata fino a soffocarla per conferirle un senso nuovo e riscoprirne le implicazioni per l'esistenza. L'autore propone allora, sulla base del Vangelo di Giovanni, l'idea che Dio è de-coincidenza: non può essere ridotto al dogma o all'ideologia, lo si può pensare solo disfacendo ogni definizione, ogni significato attribuitogli dalla tradizione, per intenderlo invece come l'apertura da cui scaturisce l'inaudito. Questo genera inevitabilmente nel pensiero un senso di vertigine. Come noi viviamo solo se de-coincidiamo dal già vissuto, se apriamo nella nostra vita nuovi "possibili", così Dio è vita se è de-coincidenza.
Pubblicata a Mosca nel 1914, Stolp i utverzdenie istiny (La colonna e il fondamento della verità) suscitò immediatamente ammirazione, stupore e sconcerto, ma già all'inizio degli Anni Venti e per tutto il periodo sovietico, essa scomparve da qualsiasi circuito editoriale. Nonostante la sua assoluta rilevanza nella storia della cultura europea, tanto da essere considerata una «Summa del pensiero ortodosso », «una delle opere fondamentali del pensiero cristiano del secolo XX», per una sorta di drammatica ironia della storia lo Stolp resta ancora in gran parte un capolavoro sconosciuto della filosofi a russa al culmine della sua fioritura. Oggi, come allora, risuonano emblematiche le parole pronunciate dal filosofo Evgenij Trubeckoj a seguito della prima lettura di quest'opera: «Forse, in tutta la letteratura mondiale, se si fa eccezione per Le Confessioni di sant'Agostino, non c'è analisi più illuminante e tormentata dell'animo umano, lacerato dal peccato e dal dubbio, e nessun'opera ha saputo manifestare con tanta chiarezza la necessità di un aiuto dall'alto per soccorrere il dubbio, come quella di Pavel Florenskij».
Il presente testo nasce come manuale base per il corso di Teologia morale fondamentale ed è pensato, in particolare, per quanti si avventurano per la prima volta in tale studio.
Le parabole del Vangelo affascinano e aprono alla comprensione del Regno dei Cieli. La loro immediatezza, tuttavia, più che fornirci risposte, ci dispone all'ascolto di molte domande che il testo stesso suscita. Sono i conti dell'oste, con il quale bisogna sempre ragionare. Da qui, l'invito a ripercorrere, passo dopo passo, il cammino di sequela tracciato nelle parabole per comprendere la novità bella del Vangelo che, se non è per me, per noi, per tutti, è lettera morta.
Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera perché egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto (Sl 33,6.9). A questa espressione del Salmo, che richiama il testo genesiaco della creazione (Gn 1,26-28), fa eco l'evangelista Giovanni quando, nel Prologo del suo Vangelo, afferma: Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste (Gv 1,3). Le due citazioni bibliche rivelano come da sempre Dio abbia preso l'iniziativa: la sua Parola creatrice e la sua Parola incarnata costituiscono la categoria chiave che Lo rivela e che ci conduce a Lui. È il Verbo incarnato a dare senso alla liturgia, a permettere che la Parola si trasformi in azione: la liturgia ha la capacità di trascendere il tempo e di inscriversi nell'eterno hodie del Creatore; ci permette, così, di partecipare alla vita di Dio e alla creazione del mondo mai interrotta. Le pagine che seguono si propongono di ridestare nel lettore la nostalgia dell'Unum Necessarium. Nella frenesia quotidiana, l'uomo contemporaneo trascura l'Essenziale smarrendo se stesso e dando vita a una società sempre più confusa. Proprio a questi uomini e a queste donne che hanno "perso la bussola" il Signore ripete: "Ritornate a me con tutto il cuore" (GI 2,12).
Il pio esercizio della Via Crucis, tanto diffuso in occidente, aiuta a rivivere gli ultimi tratti del cammino terreno di Gesù, da quando, con i suoi discepoli, «dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli ulivi» (Mc 14,26) fino al momento in cui il Signore fu condotto sul Calvario (Mc 15,26), fu crocifisso e fu sepolto.
La storia dei primi pellegrini a Gerusalemme ci rivela, già nei primissimi secoli, la presenza di un itinerario di preghiera attraverso i luoghi fondamentali della Passione. La Via Crucis nel senso attuale risale al Medioevo. Intorno al 1294 un frate domenicano, Rinaldo di Monte Crucis, nel suo Liber peregrinationis afferma di essere salito al Santo Sepolcro e descrive le varie “stationes” che anticipano le stazioni della attuale Via Crucis.
La Via Crucis, così come oggi è vissuta, è nata in Spagna nel XVII secolo, soprattutto negli ambienti francescani e da qui è passata in Italia. Un convinto ed efficace propagatore fu san Leonardo da Porto Maurizio (†1751). Nel 1991 san Giovanni Paolo II ha voluto dare al percorso un particolare riferimento biblico. Non figurano quelle stazioni di cui non si parla nel Vangelo quali le tre cadute, l’incontro di Gesù con la Madre e con la Veronica. Sono invece presenti altri quadri con evidenti richiami evangelici: Gesù nell’orto degli ulivi, il giudizio di Pilato, la promessa del Paradiso, la presenza della Madre e del discepolo presso la Croce.
In questo opuscolo, senza sottovalutare il percorso tradizionale delle stazioni, si è voluto valorizzare questa scelta fatta nel 1991 per la Via Crucis del Colosseo e poi ripetuta in altri anni.
Di Jacopa de' Settesoli, l'amica romana di Francesco - che, con Chiara d'Assisi, era la sola donna di cui Francesco dica: «Dell'una e dell'altra mi è noto il volto» - si sa molto poco, ma quel poco fu esplorato e documentato come frutto di appassionate ricerche alla fine dell'Ottocento da padre Édouard D'Alençon. Definitore generale dell'Ordine dei Cappuccini e storico del francescanesimo, era assai noto in Europa già ai suoi tempi. Il libro, scovato in una Analecta Francescana, venne tradotto nel 2005 e ora viene rieditato con una nuova prefazione. Il testo vuole da una parte rendere omaggio agli studi del D'Alençon, e dall'altra offrire un sobrio e non romanzato apporto alla conoscenza di questa forte donna medievale, così teneramente vicina a Francesco, il quale la chiamò "Frate Jacopa".