Il male minaccia la ragione umana, mette in dubbio la possibilità che la vita abbia un senso, sradica le nostre interpretazioni del mondo.
«Ci chiediamo se spiegare le cose si avvicini troppo a giustificarle e, se è così, dove dovremmo fermarci. Ci preoccupiamo su come mantenere un impegno di giustizia quando il mondo intero non lo fa. Ci chiediamo quale sia lo scopo di dare senso teorico al mondo quando non possiamo dare un senso alla miseria e al terrore. Possiamo farlo con ironia, asciuttezza o passione, ma in ogni caso troviamo il modo per considerare una parte trascurata del problema come il senso stesso della vita. Concentrarsi su tali questioni non consiste nel sostituire il pensiero critico con il buonismo. Al contrario: i testi qui discussi dovrebbero rivelare che poche cose danno adito a un pensiero di profondità e rigore tali da togliere il fiato e che, soprattutto, danno adito al dialogo, il vero inizio della filosofia»: da queste considerazioni prende avvio la riflessione di Susan Neiman sul problema del male. Che senso ha un mondo dove gli innocenti soffrono? Quale fede in un potere divino o nell'umano progresso resiste a non catalogare il male? Il male è forte e radicato o banale e mediocre? Fino a quando l'impossibile può divenire possibile in termini di brutalità e violenza?
In un serrato confronto con molte voci della filosofia degli ultimi tre secoli – da Voltaire e Rousseau a Kant, da Leibniz a Schopenhauer, passando per Nietzsche e Freud, fino a giungere ai contemporanei Adorno, Camus, Arendt e Rawls – Susan Neiman dimostra come il male non abbia una essenza costante. Al contrario, cambia nel tempo e noi nel rapporto con esso. Cercare di comprenderlo significa accettarlo come una parte del mondo da indagare.
«Questo libro nasce da un'idea semplice, condivisa da molti: Norberto Bobbio manca alla cultura e alla vita civile del nostro presente. Manca la sua proverbiale chiarezza, che non è soltanto uno stile, una dote di nitore nella scrittura: è un modo di pensare, di affrontare i problemi andandovi al cuore, superando equivoci e confusioni, involontarie o interessate. Tuttavia – anche questa è un'idea condivisa – l'opera sterminata che Bobbio ci ha lasciato è in grado, per la sua misura 'classica', di offrire orientamenti per la comprensione della nostra realtà, in parte già mutata rispetto al tempo, anzi ai diversi tempi, in cui è stata elaborata.»
Michelangelo Bovero muove da queste considerazioni per riflettere su molte grandi questioni del nostro tempo insieme ad altri studiosi partecipanti a un convegno internazionale in occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio. In discussione sono le condizioni presenti della democrazia, dei diritti umani, della pace; il destino del diritto, dello stato di diritto e della Costituzione in tempi di globalizzazione; le sorti delle grandi correnti politiche del Novecento, come il liberalismo e il socialismo, e il rapporto tra politica e cultura nel nuovo secolo.
"L’uomo non è che una canna, la più debole di tutta la natura, ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua basta per ucciderlo. Ma quando pure l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe ancora più nobile di ciò che lo uccide, poiché egli sa di morire e quale vantaggio l’universo ha su di lui. L’universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. È di qui che dobbiamo risollevarci e non dallo spazio e dalla durata, che non sapremmo colmare. Adoperiamoci dunque a pensar bene: ecco il principio della morale."
La filosofia è sorta con la celeberrima divisione tra essere e apparenza: un atto che ha separato ciò che sta, immutabile e incontrovertibile, da ciò che da questo essere è retto. Il mondo dell'apparenza, interpretato come luogo del divenire, ha assunto i tratti del non essere, imponendo ai filosofi l'esigenza di mettere in relazione il non essere con l'essere ovvero di trovare una compatibilità tra contraddittori. La soluzione di Severino, qui ripercorsa in sei dense lezioni, ha il pregio della semplicità e il rigore di un ferreo argomentare logico. Egli nega al divenire l'evidenza fenomenologica che comunemente gli si attribuisce. È certamente vero che i fenomeni entrano ed escono dalla percezione della coscienza mortale, ma senza che questo debba essere attribuito a un loro presunto divenire. Che l'apparenza sia il luogo del divenire è piuttosto un modo filosofico per rendere ragione dell'apparire dell'apparenza. Su queste basi la proposta di Severino offre un superamento del dualismo essere-apparenza e aiuta a leggere l'apparenza come manifestazione necessaria ed eterna dell'essere.
Descrizione
María Novo propone in questo libro una serie di idee e strategie per riappropriarsi del proprio tempo e liberarsi dalla schiavitù della produttività. Scorrendo senza fretta le pagine, rifletterete sulle cause dell’accelerazione responsabile dello stress che affligge la società moderna. Scoprirete strade alternative per continuare a produrre, pur conducendo una vita più serena e soddisfacente. L’autrice ci racconta le sue personali vicissitudini nel «caos organizzato» di Roma; ci parla di progetti innovativi collegati a una nuova cultura del tempo, come quelli avviati a Ferrara, la Città delle biciclette, o a Fano, la Città dei bambini; ci descrive le esperienze concrete di individui singoli, gruppi, città o organizzazioni (come Slow Food, Città Slow e le Banche del Tempo) che hanno cominciato a cambiare, rallentando i ritmi e riducendo la velocità. Una riflessione sul tema dello sperpero di tempo, che rientra in una problematica più ampia: la ricerca di un benessere collettivo, fondato sull’equilibrio ecologico e l’uguaglianza sociale.
Destinatari
Chi ha cominciato a preoccuparsi dell’impatto dei comportamenti quotidiani sull’ambiente naturale. Chi vuole sottrarsi alla folle corsa a produrre e consumare senza limiti imposta dal mercato. Chi è stanco di lasciarsi dominare da irraggiungibili traguardi di produttività e competitività, perdendo di vista la capacità di gioire di ciascun istante e di assecondare i ritmi personali.
Viene qui presentata una rilettura delle questioni cruciali della metafisica del “Platone russo” e sottolineata la centralità del “mitologema sofiologico”, considerato nelle sue implicazioni gnostiche ed esoteriche, con una messa a fuoco di tematiche poco note al lettore occidentale, quali l’impersonalismo, il misticismo, l’elemento medianico-spiritico alla base della scrittura delle sue opere. Elementi questi che non attenuano per nulla il grande merito da parte del filosofo- poeta di esser stato antesignano del dialogo tra Occidente cattolico e Oriente ortodosso, ma che permettono una considerazione più realistica e più prossima al libero spirito di indagine di Solov’ëv, che nella sua tensione all’affrancamento dal “dogmatismo”, fiducioso nelle potenzialità della ragione, perviene all’elaborazione di un sistema teosofico autonomo rispetto alla tradizione e all’autorità della Chiesa (sia ortodossa che cattolica).
La seconda parte del volume è dedicata alla concezione estetica di Solov’ëv, e in particolare alla sua ascendenza e al suo influsso sui poeti simbolisti (Blok, Belyj, V. Ivanov). Si è parlato, a proposito dell’estetica soloveviana, di “utopismo”; certamente si può dire che egli abbia sovrinnalzato il fine dell’arte, pur essendo essa per lui un mezzo, mai un fine. Sovrinnalzando quel fine Solov’ëv ha eliminato l’arte come fine; sovrinnalzando la realtà, l’ha oscurata, mostrandone la vera luce nella prospettiva della trascendenza. Ciò nondimeno, egli non è riuscito a sfuggire al miraggio dell’illusorietà del reale, testimone in questo della crisi di fin de siècle, ma anche punto di riferimento imprescindibile di tutta la storia del pensiero e dell’arte russa del Novecento.
Immunizzarci dalla morte: a cos’altro tende, l’intera storia della filosofia occidentale, se non a rassicurarci che tutto ciò che esiste non è destinato a finire per sempre? Certo, è la meraviglia, lo stupore dell’esistenza a suscitare la curiositas dei filosofi. Ma all’ombra di quella meraviglia c’è il terrore, la paura, l’angoscia per l’annientamento di tutto ciò che esiste.
Ecco perché l’intera storia della filosofia può essere riletta non a partire dallo stupore di fronte all’essere, alla natura, al divenire, alla vita. Ma – rovesciando la consueta prospettiva analitica e interpretativa in questa sorta di “controstoria” della filosofia occidentale - dalla paura che ciò che è diventi nulla. Dal terrore che la vita sia inghiottita per sempre dalla morte.
Se nella teologia cristiana è la fede nella resurrezione dei corpi ad immunizzarci per sempre dalla morte, nella filosofia è la “fede” nel logos a garantirci che niente, di ciò che esiste, andrà definitivamente perduto. O almeno, questo disperatamente sperano – con gli occhi pieni di lacrime - i filosofi.
GLI AUTORI
Giuseppe Cantarano insegna storia della filosofia all’Università della Calabria. Ha studiato all’Università “La Sapienza” di Roma e all’Albert-Ludwigs Universitüt di Freiburg. Dove ha approfondito le implicazioni politiche ed estetiche del nichilismo moderno e contemporaneo. E’ segretario generale del Centro per la filosofia italiana e fa parte del comitato scientifico e di redazione di varie riviste. Collabora regolarmente con L’Unità, Il Riformista e Il Giornale. Tra i suoi libri: Immagini del nulla. La filosofia italiana contemporanea (Milano 1998), L’Antipolitica. Viaggio nell’Italia del disincanto (Roma 2000), La comunità impolitica (Troina 2003), I giorni della vita. Risposte della filosofia alle nostre quotidiane domande (Milano 2010).
Giovanni Paolo II ha usato l’espressione “nefasta separazione” per indicare il processo, iniziato nel tardo Medio Evo e accentuato nell’età moderna, in cui la legittima distinzione tra teologia e filosofia è stata sostituita da una filosofia separata autonoma e fredda nei confronti della fede. L’idea che il moderno si sia costituito come una frattura rispetto alla cultura medievale, così fortemente caratterizzata dalla presenza di Dio, è divenuta una linea interpretativa classica quando si considera che, da Descartes in poi, il concetto di Dio finisce col perdere centralità e diventa funzionale alle speculazioni dei filosofi: per i razionalisti esso garantisce il sistema deduttivo e l’applicazione di questo alla realtà, per gli empiristi Dio non è più il garante del sistema e quindi può essere escluso.
Nell’età moderna assistiamo ad un lento percorso di distacco tra ragione e fede, che servirà come base per le grandi teorie atee del XIX secolo. Questo percorso comincia con lo sviluppo di quelle linee critiche già interne all’ultima Scolastica, che portarono ad una netta divisione degli ambiti tra teologia, filosofia e scienze positive. L’Autore cerca di ricostruire i vari tasselli del mosaico, tenendo presente che si può parlare di due vie, una “ufficiale”, più lenta ed indiretta, ed una “clandestina”, più diretta ed esplicita.
L'Ethica, l'opera di Spinoza che così profondamente ha segnato il pensiero contemporaneo, fu pubblicata postuma dai "suoi amici" proprio così come era stata lasciata per la stampa dallo stesso autore. Non è lecito chiedersi, una volta constatata la presenza di alcuni passaggi "anomali" nell'opera spinoziana, se gli stessi amici, dopo la scomparsa di Spinoza, siano intervenuti sul testo che il filosofo aveva apprestato. In altre parole, l'Ethica di Spinoza è a tutti gli effetti l'Ethica di Spinosa. Questi gli interrogativi sui quali si concentra il volume di Di Vona, scrutando l'uso delle categorie di Spinoza e sciogliendo le ambiguità mediante un'acuta analisi concettuale dei testi e un'indagine storico-filologica del pensiero spinoziano.
Il testo è una breve introduzione ai temi fondamentali della filosofia del linguaggio e si rivolge soprattutto ai giovani che si avvicinano per la prima volta a questa disciplina. Scritto in uno stile chiaro ed elegante, il lavoro si propone come una guida maneggevole per affrontare una materia che nel Novecento ha conosciuto sviluppi di cruciale importanza.
Anthropologica è un annuario di filosofia legato alle attività di ricerca del Centro Studi Jacques Maritain che si propone un duplice obiettivo: la comprensione dei molteplici aspetti che attengono alla cosiddetta "questione antropologica" e una riflessione teorica che al di sopra delle singole discipline metta in luce il significato dell'umanesimo occidentale e delle radici culturali che lo sostengono. In questo secondo numero la riflessione si svolge intorno al rapporto interpersonale, riconosciuto già da Aristotele come elemento strutturale dell'essere umano.