Questo lavoro di Julian Marias è metodicamente, tematicamente e strutturalmente personalista. L'autore opera una vera e propria svolta ontologica affermando che la difficoltà sta nel pensare, non già la vita umana, bensì la persona che vive.
Con questo nuovo fondamento del pensiero a partire dalla persona vivente, Marias va oltre il suo maestro Ortega y Gasset e delinea un personalismo vitale.
L'obiettivo di Marias è di tracciare la mappa del mondo personale: non di quello umano nel suo complesso, non di tutte le forme di convivenza tra gli uomini, ma solo di quelle dove queste funzionano permettendo agli individui di incontrarsi rigorosamente come persone.
Julian Marias (1914-2005) è stato il primo ed il più celebre discepolo di Josè Ortega y Gasset. Ha dedicato originali ricerche al tema della vita e della persona come emerge dalla sua antropologia metafisica. E' considerato uno degli esponenti della così detta "terza Spagna", avendo contribuito al versante repubblicano, sia pure con un atteggiamento moderato e dalla prospettiva del cattolicesimo liberale, all'edificazione della democrazia nel suo paese.
La razionalità scientifica della medicina è sempre più in difficoltà per tre ragioni fondamentali: il radicale cambiamento culturale della concezione di malattia e di malato; la pressante richiesta di riduzione di sprechi, rischi ed errori nel campo delle pratiche mediche; la forte domanda da parte del cittadino di condivisione delle decisioni mediche che lo riguardano. Per rispondere a tali problemi, in questi anni, si sono adottate politiche di controllo sugli operatori e sui servizi che però hanno creato innumerevoli contraddizioni, tanto in ambito etico quanto in quello finanziario. Una ben ponderata azione di ripensamento della razionalità medica non è più rinviabile. Il titolo sottolinea un mutamento significativo di prospettiva: se sinora la tradizionale "filosofia della medicina" aveva spiegato il modo di pensare della medicina, oggi si avverte l'urgenza di una "filosofia per la medicina". Il libro si conclude con un manifesto, che costituisce un invito alla pubblica discussione delle questioni trattate.
"La bellezza può consolare o turbare; può essere sacra o profana; può essere divertente, stimolante, ispiratrice, raggelante. Può influenzarci in infiniti modi, ma mai viene considerata con indifferenza: la bellezza esige di essere notata." Con queste parole il filosofo inglese Roger Scruton apre il suo ultimo saggio, una ricognizione al tempo stesso profonda e accessibile sul significato della bellezza e sul posto che essa occupa nella nostra vita. Il punto non è tanto trovare una definizione esaustiva di ciò che piace, ma riflettere sulla nostra esperienza della bellezza, trovare il senso delle emozioni che essa suscita. Tuttavia l'autore non si sottrae al confronto con un dibattito culturale e filosofico che ha radici lontane e voci di somma autorevolezza. Egli espone e spiega le idee di Platone, che vede il bello come via che conduce al trascendente; quelle di Tommaso d'Aquino, per cui la bellezza è un attributo dell'essere e un dono di Dio, per soffermarsi poi sulle teorie estetiche di pensatori moderni, primo fra tutti Kant, del quale analizza approfonditamente la dottrina sulla natura del giudizio estetico.
Allievo diretto di Martin Heidegger, Hans Jonas (1903-1993) occupa ormai a buon diritto un posto tra i grandi pensatori del Novecento. Negli ultimi anni la sua opera è divenuta un riferimento d'obbligo per la riflessione che ha per oggetto le implicazioni morali dello strapotere tecnologico dell'uomo. È questo lo sfondo su cui si muove anche il volume qui presentato, che propone alcuni fondamentali interventi del filosofo tedesco su temi tuttora di grande attualità: il legame indissolubile tra profanazione della natura e civilizzazione dell'umanità, la determinazione delle specificità dell'organismo vivente (con quel che ciò comporta sull'idea di vita e di morte), le nuove frontiere dell'etica e dell'agire umano di fronte al progresso tecnologico.
Un ampio studio sull'arte e la bellezza che prende le mosse dall'antichità classica per giungere fino ai nostri giorni.
L'autore fornisce un quadro del complesso rapporto tra rivelazione e filosofia politica che muove dai pensatori e dai problemi classici della tradizione dottrinale cattolica per confrontarsi in maniera originale e feconda con le tesi di alcuni dei più importanti filosofi contemporanei. Una prospettiva nuova su un problema perenne.
Eccentrico, pigro, contraddittorio, smemorato, Montaigne è il filosofo che infranse un tabù e parlò di sé in pubblico. Dopo oltre quattrocento anni, i lettori continuano a tornare da lui in cerca di compagnia, saggezza, intrattenimento - e di se stessi. Nella sua avversione per la crudeltà, e in generale per qualunque ambizione sovrumana, Montaigne ci esorta a salvaguardare la nostra umanità nelle epoche buie: rappresenta una mai spenta vocazione alla libertà e un antidoto contro ogni forma di esaltazione. E una fonte preziosa di piccoli consigli: leggere molto, mantenendo però la mente sgombra; essere conviviali, riservandoci però un "retrobottega" tutto nostro; guardare il mondo da angolazioni diverse, evitando così di irrigidirsi nelle proprie convinzioni. Non trovò mai una risposta definitiva, ma non smise di porsi la domanda: Come vivere? Ossia: come relazionarsi agli altri? Come affrontare la violenza? Come superare la paura della morte? Come rassegnarsi alla perdita di qualcuno che amiamo? Attraverso Sarah Bakewell, Montaigne ci ammaestra nell'arte più ardua di tutte: vivere bene quest'unica vita. Rifiutandosi di lasciarlo confinato nel suo tempo, Bakewell inaugura un nuovo modo di scrivere biografie e ci mostra che capire Montaigne è un po' come capire noi stessi.
Un testo a modi manuale, un'introduzione al pensiero filosofico-giuridico con una panoramica sulla storia della filosofia del diritto e i problemi fondamentali in rapporto dialogico con la storia della filosofia e con la domanda teologica.
Questo volume vede diverse e molteplici professionalità e personalità impegnate in un comune sforzo interpretativo sul concetto/termine di “Logos”. Ciò conferisce particolare ricchezza al libro che spazia dalla ricerca linguistica, a quella storico-filosofica sul paganesimo greco romano, sul pensiero giudaico alessandrino e proto cristiano e poi sulla filosofia cristiana in particolare di Dionigi, S. Agostino e Gregorio Magno. Non mancano anche interventi di storia delle religioni rivolti al periodo imperiale e valutazioni complessive sulla funzione religiosa del “Logos”. Ne risulta un quadro ampio e convincente delle innumerevole valenze del “Logos” e della sua ricchezza concettuale.
Prendendo atto della difficoltà nel caratterizzare univocamente l’approccio narrativo all’etica, che pure è auspicato da più parti e in diversi ambiti del dibattito contemporaneo, il volume prende in esame alcune matrici filosofiche dell’etica narrativa, allo scopo di evidenziarne la specificità e le risorse. In particolare, vengono analizzate e proposte teoriche di Alasdair Maclntyre, lris Murdoch, David Carr, Charles Taylor e Paul Ricoeur, che attribuiscono alla categoria di “narrazione” una valenza pratico-etica; dal loro confronto emerge un profilo teorico dell’etica narrativa, del quale viene vagliato il contributo ai fini di una fondazione antropologica della norma etica. Tra le risorse dell’approccio narrativo vengono individuate l’esplorazione della soglia tra antropologia ed etica (mediante la tematizzazione della vita come unità narrativa) e l’approfondimento del rapporto tra universale etico e storie di vita particolari; quale limite ditale approccio, invece, si riconosce la non-autosufficienza della narrazione ai fini della fondazione etica.
La storia dell'opposizione bene/male coincide con la storia stessa dell'umanità. Non solo, ma bene e male sono sempre stati assunti in una costellazione di concetti affini e interdipendenti: da un lato bene, vero, innocenza, ordine, benessere, felicità; dall'altro male, falso, malvagità, disordine, sofferenza. A partire dal pensiero antico (Platone e Aristotele) e da quello cristiano (Agostino e Tommaso), l'autore ripercorre tutta intera la riflessione filosofica che l'Occidente ha svolto su tale opposizione, per approdare infine ai pensatori contemporanei del "dopo Auschwitz", fra i quali Jonas, Arendt e Ricoeur.
Divenuta tema centrale del dibattito contemporaneo, la questione dell'alterità ha via via assunto una dimensione trasversale producendo contaminazioni tra saperi, linguaggi e tradizioni di pensiero. In questo profilo l'autore riesce nel compito non facile di mostrare e illustrare i mille volti dell'alterità, dal pensiero classico, in cui era perlopiù oggetto di indagine metafisica, alla fase contemporanea, dove la riflessione sull'alterità investe anche la maniera di pensare noi stessi in rapporto ad altre culture, la differenza tra i sessi o, infine, i meccanismi cognitivi che consentono la comprensione dell'altro.