L'invasione dell'Ucraina rafforza l'equazione Russia uguale Putin, e viceversa. Fusione quasi totale tra capo e paese e con pochi precedenti al mondo. Dinamica che si riverbera anche sulla conduzione della guerra. Capire chi è davvero il signore del Cremlino e perché combatte l'Occidente. I contraccolpi della contesa raggiungono il teatro dell'Estremo Oriente. L'editoriale dal titolo "Platov non ha paura" apre il volume, a cui segue una corposa prima parte ("Putin è la Russia?") dedicata a tratteggiare la figura del presidente russo e la percezione che se ne ha dentro e oltre i confini della Federazione. La seconda parte del numero ("Lezioni di guerra") è centrata sulle dinamiche del conflitto, sulle sue prospettive e sulla visione storica e odierna della crisi in corso anche da parte degli Stati Uniti. Chiude il numero la terza parte ("Cina e altri fronti asiatici") dedicata a conseguenze e percezioni della guerra in Ucraina per questa parte del mondo, e soprattutto per Pechino, sfidante numero uno dell'egemonia americana.
A distanza di tre decenni fatichiamo ancora a inquadrare Mani pulite e in che misura abbia creato l'incerto presente politico che viviamo. Se è vero che, come scrive Filippo Facci, «non aveva mai attecchito un vero senso dello Stato, e tantomeno una disposizione a scandalizzarsi per condotte poco etiche», da che cosa ebbe origine il clamore intorno a un'indagine che, in apparenza partita da un comune caso di corruzione, ha cambiato per sempre l'immaginario della nazione? All'epoca giovane cronista, l'autore ha seguito le tracce e le crepe prodotte da quel terremoto, scavando nelle versioni improbabili - la favola del magistrato onesto che smaschera i corrotti, l'epurazione delle mele marce - e in altre non meno improbabili e complottiste legate a scenari internazionali. Da quel lavoro emergono oggi risvolti inaspettati che si ricollegano a eventi e fenomeni vicini e lontani, tra cui il maxiprocesso di Palermo, che avrebbe dovuto essere salutato come la vera svolta e invece venne attaccato da più parti, e il bombardamento mediatico, con giornali e talk show impegnati a tenere vivo il clima emergenziale, spianando la strada all'antipolitica. Tra protagonisti e comprimari, reazioni a caldo e insospettabili derive, rimuovendo ogni patina di ipocrisia, Facci restituisce un impietoso ritratto del paese che siamo stati e che forse siamo ancora, spingendo a domandarci: è giunto il momento di ammettere, con il procuratore capo Borrelli, che «non valeva la pena buttare all'aria il mondo precedente per cascare in quello attuale»?
Lo stivale spezzato è il racconto di un fenomeno storico unico nell'Europa democratica. È la storia di due territori, il Nord e il Sud dell'Italia, divisi, rancorosi e lacerati all'interno della stessa nazione e sotto il manto garantista di una Costituzione comune. È la ricostruzione, anche alla luce dei dati più recenti, della storia della nascita della "questione meridionale", vizio d'origine dell'Unità diventato permanente e in apparenza irrisolvibile. Nunnari propone una possibile via di soluzione, mettendosi in ascolto di tre voci autorevoli della Chiesa italiana di ieri e di oggi: il card. Carlo Maria Martini, che nel 1992 pronunciò parole profetiche, ancora oggi di grande attualità; il card. Marco Zuppi, arcivescovo di Bologna, portavoce della visione della Chiesa italiana posta nelle regioni più ricche e dinamiche del Paese e, infine, mons. Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli e pastore di una delle città più segnate dai forti contrasti economici, sociali e culturali del nostro meridione.
"A partire dagli anni Ottanta l'unico perno della nostra civiltà è diventato l'individuo e la sua ricerca di illimitata libertà e di crescente appagamento materiale. Il Covid-19 e la guerra in Ucraina ci obbligano a un repentino cambiamento di prospettiva. Ma i segnali di fragilità etica dell'Occidente erano già visibili da molti anni: la confusione tra desideri e diritti; la politica ridotta a mutevole stile di consumo; la cancellazione della storia e dunque dell'identità; l'assenza di moderazione in tanti campi dell'agire pubblico e privato; il rifiuto dei valori della competenza, dell'autorità e dell'educazione formale; la difficoltà ad accettare le categorie morali di obbligo, dovere e gerarchia. Si è diffusa una cultura che nega il valore del limite. Abbiamo bisogno di ristabilire dei limiti, anche per essere felici come individui."
Il nazionalismo va combattuto con intransigenza perché esalta l'omogeneità culturale ed etnica, giustifica il disprezzo per chi non appartiene alla nostra nazione e, come ha già fatto in passato, può distruggere i regimi democratici e aprire la strada al totalitarismo. Se vuole porre freno al nazionalismo, la sinistra democratica deve in primo luogo rispondere al bisogno di identità nazionale, di cui ha sempre lasciato il monopolio alla destra. Per farlo, deve apprezzare la cultura nazionale e i legittimi interessi di ciascun cittadino ma anche elevare l'una e gli altri agli ideali del vivere libero e civile: è il patriottismo repubblicano, che tiene unite nazione, libertà politica e giustizia sociale.
«Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov'è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l'ho con un tipico cekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino» (l'autrice)
Zelenskij è l'uomo del momento, ma se ne parlerà ancora a lungo: verrà ricordato come colui che ha compiuto la costruzione dell'identità nazionale ucraina, come il primo "leader online in tempo di guerra", che si è rifugiato nei social network anziché nei bunker, e come il presidente che ha trasformato la comunicazione in un'arma letale quanto i carri armati nemici. Con le sue dirette, infatti, è diventato la "variabile impazzita" capace di ribaltare un risultato dato per certo. Zelenskij ha applicato alla guerra competenze acquisite negli anni del cabaret e si è circondato di strateghi militari, di social media manager e di spin doctors, facendo di una propaganda innovativa, modellata sui canoni pubblicitari, lo strumento in grado di smuovere l'intero Occidente. Una cosa è certa: se nelle relazioni internazionali ci saranno un prima e un dopo Ucraina, nelle guerre ibride ci saranno un prima e un dopo Zelenskij. Prefazione di Salvatore Santangelo.
In politica la realtà non è mai quella che appare. La narrazione dei vincitori «riscrive» la nuda trama dei fatti. Sugli ultimi trent'anni di storia italiana, paradossalmente, si è imposto il racconto dei vinti della storia. È la sinistra di matrice comunista e statalista - la grande sconfitta del secolo scorso, divenuta il sorprendente alfiere del liberismo selvaggio e del conseguente capitalismo finanziario - a raccontare cosa è successo, in sintonia con una parte della magistratura inquirente. Paolo Cirino Pomicino fa il controcanto alla storia «ufficiale» e - a forza di fatti, documenti e ragionamenti - offre una nuova e convincente lettura del passato prossimo e del presente. L'Italia vive una profonda crisi della democrazia, con la crescente invadenza del grande capitale finanziario e la progressiva trasformazione del ceto medio spaccato in due tronconi, il più piccolo dei quali è diventato una nuova classe dominante grazie alla finanza ingegnerizzata, mentre il ruolo dei corpi intermedi è pressoché scomparso. Serve una nuova rivoluzione borghese capace di rilanciare cultura e democrazia nel sistema politico italiano, «anonimo» e sempre più personalizzato. In questo quadro ha fatto irruzione, a fine febbraio, la guerra in Europa Orientale, con l'invasione russa dell'Ucraina. Migliaia di morti, milioni di profughi e danni materiali incalcolabili hanno commosso il mondo e compattato l'Europa e l'Occidente nel sostegno politico e materiale all'Ucraina e nelle sanzioni, durissime, alla Russia. Una svolta tragica, per un nuovo ordine mondiale.
Le immagini dei carri armati russi, che hanno invaso l'Ucraìna e che travolgono persone e cose sono così drammatiche da attirare tutta la nostra attenzione. Ma nel conflitto russo ucraino ci sono altri aspetti che vanno considerati tra i quali spicca quello della dimensione religiosa, legata in particolare alla tradizione cristiana maggioritaria, cioè l'ortodossia, con la quale si identifica il 71% dei russi e il 78% degli ucraini. In questo volume l'autore, partendo dalla cooperazione pragmatica tra il Patriarca di Mosca Vladimir Michajlovic Gundjaev (Cirillo I) e il Presidente Vladimir Vladimirovic Putin, entrambi nati a San Pietroburgo, esplora e illustra il modo in cui il "fattore R" (il fattore religione), come lo definisce Paolo Naso nella Prefazione stia condizionando non solo la drammatica evoluzione del conflitto ma anche le dinamiche del panorama geopolitiche di questo frangente storico. Il volume contiene anche una ricca documentazione che testimonia la pluralità delle voci delle confessioni e chiese cristiane che si stanno elevando e che stanno tentando di superare il fragore della guerra.
Partorita nel 1943, nella sanguinosa temperie della Seconda Guerra mondiale, l'opera si presenta come una riflessione organica sulle cause che hanno condotto l'Europa al collasso, sino ad un ripensamento complessivo intorno alle fondamenta stesse della modernità occidentale. La retorica dei diritti, le storture del capitalismo, l'abominio del nazismo tedesco e del comunismo sovietico, il declino delle comunità, il dominio della tecnica, la perdita della trascendenza, l'idolatria dello Stato e della forza bruta sono solo alcuni dei fenomeni connessi alla "malattia" dello sradicamento. Magistralmente offerti al lettore quale potente affresco di una intera vicenda umana, nel Radicamento Simone Weil tenta di mettere a punto un progetto di modernità alternativa, costruita sul rispetto della dignità di tutti, sulla responsabilità personale, sul dovere verso l'essere umano, sull'empatia con il prossimo, sulla rinuncia alla forza.
Fin dalla Seconda guerra mondiale è apparso evidente che solo una consolidata e condivisa unione avrebbe potuto preservare i Paesi europei da nuovi, sanguinari conflitti. È nato dunque innanzitutto con questo intento il progetto europeo quando, nel 1957, sei Paesi fondatori hanno firmato in Campidoglio il Trattato di Roma. Motivato originariamente dal desiderio di pace, il cammino dell'UE è stato lungo e travagliato: dapprima come unione politica, poi economica, e via via con obiettivi sempre più ambiziosi sui diritti civili, il welfare, l'accoglienza. Le vicende narrate attraverso le cento immagini iconiche di questo libro parlano al cuore e alla memoria del lettore: dalla ricostruzione postbellica alla caduta del muro di Berlino, dall'abolizione delle frontiere alla moneta unica, dal suffragio universale ai referendum, dalla ricerca scientifica all'Erasmus, fino alla recente, dolorosa uscita della Gran Bretagna. Nessuno meglio di Romano Prodi, già presidente della Commissione europea - "padre" dell'euro e convinto sostenitore dell'allargamento dell'UE - poteva raccontare le tappe di quel cammino, i valori condivisi, le conquiste e le disillusioni; ma anche come l'Europa è entrata a fare parte della vita quotidiana dei suoi cittadini ampliando le prospettive delle nuove generazioni. Pur non risparmiando uno sguardo lucido sulle contraddizioni e gli errori commessi negli anni, traspare dalle sue parole una fiducia indefessa nel progetto che lui stesso ha contribuito a costruire. Oggi più che mai la traumatica esperienza della pandemia globale ci ricorda che l'Unione Europea rappresenta una grande forza e non solo: è il nostro futuro.
Nello Scavo, tra i più esperti e premiati corrispondenti di guerra italiani, raggiunge la capitale ucraina a metà febbraio 2022, quando la minaccia di un attacco russo si fa sempre più insistente, ma ancora in pochi credono possibile un'invasione militare da parte di Vladimir Putin. Da quel momento, registra senza censure il rapido tracollo di una situazione che si fa sempre più pericolosa: la dichiarazione dello stato di emergenza, il trasferimento delle ambasciate, e poi le esplosioni, le colonne di carrarmati, il disperato esodo dalle città. Giorno dopo giorno descrive i movimenti delle truppe russe e la resistenza degli ucraini; approfondisce le conseguenze politiche ed economiche dei combattimenti; svela le ragioni ideologiche alla base delle decisioni dei leader. Allo stesso tempo non dimentica la dimensione umana del dramma in corso, raccogliendo le testimonianze dirette di chi da un momento all'altro ha dovuto abbandonare la casa, ha perso la famiglia, ha scelto di imbracciare un fucile. "Kiev" è il diario personale di un conflitto nel cuore dell'Europa, scritto sul campo da un giornalista chiaro nello spiegare le ragioni di quanti la guerra la decidono, ma soprattutto capace di dare voce a coloro che questa tragedia sono costretti a subirla.