"Secondo Gabriel García Márquez, la vita si vive per raccontarla. E secondo Elias Canetti, la vita che si vive per raccontarla sta negli incontri interessanti che la punteggiano. Questo libro è appunto un racconto, o un resoconto, di incontri con persone che valeva la pena incontrare e ascoltare, e che hanno reso la mia vita più piena e degna di essere vissuta." L'intenzione dell'autore, provocatorio e ironico come sempre, è quella di trovare punti di contatto tra le due culture, scientifica e umanistica, per mostrarne la sostanziale unità dietro l'apparente separazione. Il politico Giulio Andreotti, il religioso Dalai Lama, il filosofo Jacques Derrida, l'attore Dario Fo, il matematico John Nash e lo scrittore José Saramago sono solo alcuni dei numerosi personaggi, ventuno dei quali premi Nobel, che con le loro passioni e le loro curiosità insospettate ci mostrano in questo libro, una volta di più, che le divisioni culturali sono spesso, se non sempre, fittizie.
Nel corso della storia, la comparsa e la diffusione su larga scala di tecnologie che hanno contribuito a riplasmare la rappresentazione di sé e del mondo hanno sempre generato paure e previsioni "apocalittiche". È andata così con la scrittura alfabetica, con la fotografia, con il cinema, con la televisione e anche con Internet. Senza eccezione, ogni rivoluzione tecno-scientifica ha partorito profeti di sventura e cantori dei disastri che le "macchine" avrebbero prodotto sugli individui e sulla società. Oggi l'atteggiamento prevalente non è cambiato. Sul banco degli imputati abbiamo il digitale - e in particolare la sua declinazione ritenuta più pericolosa, soprattutto per i giovani: lo smartphone. Disattenzione, ansia, isolamento sociale, sindrome da ritiro sono solo alcuni dei sintomi con cui si tende a diagnosticare la morbosa dipendenza dalla tecnologia più temuta e più utilizzata. C'è chi rimpiange un'umanità perduta e chi invece rincorre "patenti" o divieti. Saranno queste le soluzioni più efficaci? E, ancor prima, sono attendibili le analisi, le argomentazioni e le narrazioni che sembrerebbero legittimare questi rimedi? Gli autori di questo libro partono da qui. Smascherando false ideologie e inutili scorciatoie, fanno il punto sullo stato dell'arte della ricerca neuroscientifica per arrivare a prospettare orizzonti culturali e educativi in grado di fare i conti con le sfide e le criticità che una società digitalizzata inevitabilmente porta con sé.
Alla galleria del realismo politico possono essere ricondotti pensatori tra loro molto lontani, da Tucidide a Sant'Agostino, da Machiavelli a Max Weber, da Thomas Hobbes a Carl Schmitt. A contrassegnare questa tradizione sono soprattutto due elementi: l'idea che la "natura umana" rappresenti un dato costante e la convinzione che una simile "natura" renda gli esseri umani perennemente insoddisfatti della loro condizione e tra loro irrimediabilmente in conflitto. Proprio in virtù di tale antropologia negativa, i realisti ritengono così che gli esseri umani puntino sempre a perseguire la sicurezza, a estendere la loro ricchezza e a difendere il loro onore. Il volume intende invece esaminare più in profondità questo pessimismo antropologico. E, in particolare, si propone di mostrare come, dietro un'apparente coerenza, si nascondano divergenze piuttosto nette. L'obiettivo è dunque esplorare le molteplici antropologie del realismo politico, riconoscendo e distinguendo le diverse modalità con cui è stata rappresentata e spiegata quell'inquietante "natura" - più o meno invariante - che conduce gli esseri umani a desiderare il potere e a inseguire la gloria. Contributi di: Oro Tapia Luis René;Patapan Haig;Continisio Chiara;D'Andrea Dimitri;Castellin Luca G.;Raschi Francesco;Zambernardi Lorenzo;Stefanachi Corrado.
Rivista culturale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
"Assalto all'Oceano Cosmo" è il titolo del quarto volume di Limes del 2025, in edicola, libreria e online dal 10 maggio. Il numero esplora la sfida tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese tra mare e Spazio, teatri sempre più legati sul piano civile e militare. L'America guidata da Donald Trump ha battezzato la Cina suo principale sfidante. Quindi usa i dazi e i suoi colossi tecnologici per danneggiarne l'economia (che dipende ancora fortemente dalle esportazioni) ed escluderla dalle principali filiere produttive. Soprattutto quella dell'intelligenza artificiale, ambito in cui la Repubblica Popolare sta accorciando rapidamente il divario con l'America. Storicamente l'approccio strategico al mare condiziona l'esplorazione dello Spazio. Le rotte marittime rappresentano diramazioni di unico sistema circolatorio dell'Oceano Mondo consentendo il fluire di merci, traffico Internet e risorse energetiche. Le tecnologie spaziali accrescono le capacità di comunicazione, navigazione e osservazione della Terra. Inoltre, rappresentano infrastrutture critiche per la sicurezza e la connettività. Dalla prospettiva delle grandi potenze, presidiare le orbite basse attorno al nostro pianeta è necessario per dominare le onde. Tutto ciò vincola il duello per l'Oceano Mondo a quello per l'Oceano Cosmo. La guerra in Ucraina, il tentativo americano di arginare Russia e Cina nell'Artico e la partita tra Washington e Pechino per Taiwan sono prove concrete di questa dinamica. Il volume si divide in tre parti. La prima (L'America tra Oceano Mondo e Oceano Cosmo) analizza il duello sino-statunitense dalla prospettiva di Washington, con degli approfondimenti specifici sul ruolo delle imprese tecnologiche a stelle e strisce e sul significato dell'esplorazione della Luna e di Marte. La seconda parte (Cina e Russia cercano Spazio) è dedicata ai piani di Pechino e Mosca nel campo spaziale e dell'intelligenza artificiale. Inoltre, analizza le mosse di Giappone e Corea del Sud, pure loro impegnate a integrare l'Ai nelle proprie attività belliche. La terza parte (Italia ed Europa nelle guerre cosmiche) si concentra sulle conseguenze del duello tecnologico tra Usa e Cina per il nostro paese e include alcune proposte su come può ancora affermarsi nel campo spaziale insieme all'Europa.
Un classico nel catalogo Morcelliana, la cui prima edizione fu nel 1936 e la seconda, a cura di Massimo Marcocchi che ne ha mostrato l'importanza dal punto di vista storiografico, nel 1977. Scrive Mario Bendiscioli, nell'Introduzione: "le vicende religiose della Germania odierna oltrepassano la sfera della politica ed investono la cultura e la coscienza religiosa in generale. È appunto questo il senso del significato universale delle controversie culturali e religiose del Terzo Reich che ha ispirato il presente tentativo di una esposizione e illustrazione pacata e al possibile obiettiva delle controversie stesse". Proprio per questa loro dimensione culturale e spirituale, oltre che storica, queste pagine conservano oggi la loro sorprendete attualità. Prefazione di Francesco Torchiani.
Nel mondo occidentale odierno molti pensano che i credenti dovrebbero rinunciare alla loro rivendicazione di verità. Che si possa uccidere in nome di Dio l'abbiamo infatti riscoperto con gli atti di terrorismo e le nuove guerre di religione, in Europa e altrove. Ma, se l'esclusivismo, per il quale un'unica religione è vera, porta con sé, inevitabilmente, l'intolleranza religiosa, rendendo la coabitazione impossibile, in che misura invece il pluralismo e il relativismo, così presenti nell'esigenza di laicità, rispettano quello che le credenze religiose veramente sono? Queste domande, così importanti per la nostra vita sociale, sono affrontate per mezzo di una riflessione sulle credenze religiose, la verità, la tolleranza e il problema di sapere se abbiamo tutti lo stesso Dio. Questo libro difende un esclusivismo della verità religiosa che non porta a mettere i non credenti contro i credenti e le religioni le une contro le altre.
Si entra nella sfera pubblica ogni qualvolta usciamo di casa, a piedi, o in auto o con i mezzi pubblici, per raggiungere il luogo di lavoro o di incontro con amici e conoscenti, sedi di istituzioni politiche, amministrative, culturali, di volontariato, comunità di fede religiosa. Entriamo nella sfera pubblica, in maniera del tutto diversa, anche ogni qualvolta usiamo il nostro smartphone o computer per navigare o essere presenti sui social. Tutte queste azioni pubbliche pongono tanti questioni e dubbi etici. Questo saggio cerca di rispondere ad alcuni di essi, delineando un percorso di etica pubblica, ossia una riflessione su come ci comportiamo nelle reti di relazioni che frequentiamo e quali principi etici ci aiutano a risolvere piccoli e grandi dilemmi. Si tratta di scoprire se l'etica pubblica stanca, annoia o infastidisce; oppure se l'etica pubblica si è "stancata" di essere trascurata o maltrattata.
Pietro Valvassori fa l'avvocato e gira su una bici nera con i freni a bacchetta e le borse di pelle. I capelli gli si sono ingrigiti a trent'anni, l'orecchino se l'è messo quando ha detto addio a una onesta ma anonima carriera da rugbista. Ora ha superato i cinquanta e porta cravatte bizzarre. Non è un principe del foro ma ha fama da difensore dei deboli. È diventato anche l'avvocato di riferimento per donne vittime di violenza. Qualche volta, anzi troppe, lavora pro bono. Poi, un giorno, l'avvocato delle giuste cause fa una specie di inversione a U, per la prima volta accetta di difendere un indagato per omicidio, per un femminicidio: Lorena, agente immobiliare di un certo successo, è stata strangolata in un immobile che trattava in esclusiva. Solo poche ore dopo aver salutato il compagno Leandro. Le indagini della polizia virano proprio su Leandro che invece, con determinazione, si dichiara innocente e affida a Valvassori la difesa. La notte prima dell'interrogatorio l'avvocato incontra il suo assistito. Chi è veramente Leandro, chi era Lorena? Qual era il loro rapporto, quali crepe nascondeva, cosa ha in mano la polizia per sospettare del compagno della vittima? L'avvocato fa di tutto per minare la sicurezza dell'indagato, trascinandolo su un ring in cui non si risparmiano colpi proibiti e la realtà dei fatti si rivela un gioco di specchi infranti. Da cui emergerà non solo la verità sulla morte di Lorena ma soprattutto l'enigma delle relazioni sentimentali, della dinamica dell'amore, dal fervore appassionato al disagio dell'assuefazione. In cui una sottile, incorporea crudeltà accomuna chi si insegue e si desira e chi ha smesso di desiderarsi. Giampaolo Simi ci consegna forse il suo romanzo più teso. Una lunga notte, un palcoscenico in cui serpeggia una doppia tensione: credere a un uomo accusato di aver ucciso la compagna o al suo avvocato che pretende dall'assistito una sincerità che sembra coincidere solo con una piena confessione? Alla fine, dopo il buio, sarà l'alba a portare finalmente la luce.
I Wilkins, Ryan e Ray, sono l'uno l'opposto dell'altro. Ray, ispettore in carriera della polizia di Oxford, è bello, elegante, soave nei modi, figlio della borghesia nera in ascesa sociale, e i dirigenti puntano molto sul suo avvenire; l'ex detective Ryan è un bianco cresciuto in un campo caravan, è di aspetto trasandato e con difficoltà a governare la rabbia, tanto che è stato allontanato dalla polizia per motivi disciplinari, e adesso lavora come guardia giurata in un parcheggio notturno per furgoni. Capita al bel Ray un caso spinoso, che fra l'altro stride fastidiosamente con la sua situazione matrimoniale. È sparita Poppy, una deliziosa bambina sfuggita al controllo della madre all'uscita dall'esclusivo asilo che frequentava. Non se ne cava un ragno dal buco, ma la fortuna di Ray è che Ryan, in privato, s'è intestardito dietro la morte di un suo vecchio compagno di scuola che, appena prima di essere travolto da un pirata della strada, gli ha lanciato uno strano messaggio. Mentre Ray annaspa, Ryan imbocca una linea d'indagine tortuosa e irregolare che conduce per vie traverse a connettere le due brutte verità. C'è un destino che unisce i due poliziotti, simboleggiato anche dalle vicissitudini della loro vita familiare e sentimentale. Queste scorrono sullo sfondo del romanzo (Ray è un ragazzo padre di un bambino per il quale va pazzo; Ryan aspetta due gemelli ma il suo matrimonio vive un momento difficile) e danno un quadro un po' malinconico della vita quotidiana della città inglese, che ricorda le atmosfere e l'intelligenza dell'ispettore Morse di Colin Dexter.
Immane Atlantide sommersa, le quasi duemila pagine dei Textos recobrados - recuperati e radunati dopo la scomparsa di Borges - rivelano le molteplici linee di forza di una riflessione critica di sconcertante novità. Rispetto ai fervori iconoclasti degli anni Venti (documentati in Il prisma e lo specchio, 2009), si colgono qui, già a partire dai primi anni Trenta, una tonalità e nuclei di pensiero e di interesse del tutto inediti: l'inconsistenza dell'io, giacché una persona «non è altro che ... la serie incoerente e discontinua dei suoi stati di coscienza» e «la sostanza di cui siamo fatti è il tempo o la fugacità»; la letteratura poliziesca, che riesce a conciliare «lo strano appetito d'avventura e lo strano appetito di legalità»; le immagini dell'incubo, «la tigre e l'angelo nero del nostro sonno», disseminate nella letteratura da Wordsworth a Kafka; il gaucho, «amato territorio del ricordo» e «materia di nostalgia»; il tramonto del concetto di testo definitivo, che «appartiene alla superstizione e alla stanchezza»; la rivelazione che Buenos Aires, un tempo oggetto di caparbie trasfigurazioni poetiche, può essere descritta solo «per allusioni e simboli». Ma quel che più affascina è la perfetta architettura di questi scritti, capaci, quale che sia l'argomento prescelto, di espandere il nostro orizzonte (talora con un semplice inciso: «Nel mondo immaginato da Walpole, come in quello degli gnostici siriani e in quello di Hollywood, c'è una guerra continua tra le forze del male e quelle del bene») e di ravvivare il dialogo fra due interlocutori che «lo scorrere del tempo avvicina e allontana, ma non separa»: il testo e il lettore.
«La gravidanza, poi il parto, e - soprattutto - il primo periodo della maternità semplicemente non combaciavano con gli insegnamenti ricevuti; non riuscivo a ricollegare la mia esperienza personale alle nozioni che avevo assimilato riguardo a corpo, mente, individuo e io relazionale, e alle nostre strutture di vita collettive. All'inizio credevo di essere impazzita. Cercavo disperatamente di comprendere che cosa mi stesse succedendo. Poi ho cominciato a capire che la mia mente era stata colonizzata da idee inadeguate sull'essere donna, sulla maternità, sul valore e persino sull'amore. Avvertivo un cambiamento inquietante. Sprizzavo di felicità perché ero incinta, e una creatura cresceva dentro di me, ma con il passare delle settimane mi accorgevo di essere più sommessa, più introversa, sempre più confusionaria. Era come se qualcuno si fosse trasferito dentro di me, avesse messo casa nel mio utero e nel mio cervello. Di certo era solo frutto della mia immaginazione, pensavo; credevo che la gravidanza fosse un processo fisico relativamente lineare, con qualche giornata 'ormonale' qua e là. Pensavo che il bambino sarebbe cresciuto dentro di me, come in un vaso di fiori, e io sarei rimasta la stessa di sempre. Ma le cose non stavano così. Scoprire la matrescenza mi ha dato il coraggio di parlare apertamente con altre madri, e ho scoperto che molte erano colte alla sprovvista dall'esperienza quanto me. Molte credevano che le difficoltà fossero colpa loro». Attingendo a vari ambiti di ricerca - neuroscienze e biologia evolutiva, psicoanalisi e terapia esistenziale, sociologia, economia ed ecologia - Lucy Jones racconta in prima persona la sua esperienza di questo periodo di trasformazione, paragonabile quanto a complessità solo all'adolescenza.