Per i Greci e per i Romani il pane era simbolo di civiltà, per altri popoli lo era la carne; in molte culture mangiare con voracità era un segno di forza e di prestigio, per altre esistevano i giardini dell'Eden o i paesi di Cuccagna dove il cibo era a volontà... Come dal pentolino magico dei fratelli Grimm esce tanto porridge da soddisfare l'intera città, così da questo libro si riversano sui lettori, grandi e piccoli, i disegni di Emanuele Luzzati e i racconti di Massimo Montanari, piccoli racconti gustosi, dalla preistoria agli hamburger. Età di lettura: da 10 anni.
Nelle Scritture il pasto più semplice è già un grande atto umano, segno di cortesia (cf. Gen 1S.1-5; Le 24,29) o di riconoscenza (cf, Mt 9,11): segno di gioia per l'arrivo di un parente (cf. Tb 7,9) o per il ritorno di un figlio scapestrato (cf. Le 15,22-32), oppure motivo di ringraziamento a Dio salvatore (cf. At 16,34). È arcinoto come anche i culti dell'Oriente antico comportassero banchetti sacri di carattere misterico, in cui si riteneva che mangiare parte delle vittime assicurasse un'assimilazione delle potenze divine a cui erano dedicate.
Ogni atto religioso solenne esigeva, secondo le Scritture, un pasto sacrificale (cf, 1Sam 1,4-18; 9,12s.), per confermare un'alleanza (cf. Gn 26,26-31; 31,53s.), per celebrare la Pasqua (cf. Es 12-13), ecc. Gesù non si sottrae al mangiare e al bere: lo si incontra a tavola non sempre con gente raccomandabile (cf. Lc 10,38-42), è presente al banchetto nuziale di Cana (cf. Gv. 2,1-11), accoglie l'invito a pranzo del fariseo (cf. Lc 7,36-50).
È così spesso a tavola da essere definire con l'appellativo dispregiativo: «È un mangione e un beone» (Mt 11,19). Ma la realtà più elevata di cui il banchetto è un segno, di cui l'Eucaristia è preludio, è la gioia del Regno di Dio.
Tutti coloro che hanno risposto all'invito del re prenderanno posto al suo banchetto (cl: Lc 22,30), per bere il ,alno nuovo (cf. Mt 26,29) con Abramo, Isacco e Giacobbe. Allora il padrone «passera a servirli. (Lc 12,37).
Lettere riservate a capi di governo, telefonate segrete alle più alte cariche di Stati sovrani, pressioni esercitate in mille modi da poteri forti che si muovono al di fuori e al di sopra delle elementari regole democratiche. La storia del ruolo svolto in questo inizio secolo dalla Germania in Europa, e in particolare nell'Unione europea, è ancora tutta da raccontare, soprattutto in relazione alle vicende politiche dell'Italia, il paese che per decenni è stato suo partner amichevole ma anche temibile concorrente economico sui mercati mondiali. Di questa storia, Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano tracciano qui il quadro generale e non esitano a parlare di "Quarto Reich", una formula che, lungi dall'essere una banalizzazione giornalistica, è la sintesi estrema, e forse inquietante, della situazione venutasi a creare nell'area euro. In un decennio, infatti, grazie alla moneta unica e alla gabbia istituzionale dell'Unione, la Germania è riuscita a costruire sul Vecchio Continente una condizione di predominio economico e di egemonia politica. L'impossibilità di dissentire sulle leggi del rigore dettate dagli euroburocrati e ispirate da Berlino ha privato gli altri paesi membri di ogni reale sovranità economica e ha concentrato tutto il potere decisionale nelle mani delle élite e delle strutture comunitarie. Ma se per i cittadini tedeschi l'"era del Quarto Reich" significa benessere, lavoro e crescita, per le altre nazioni, soprattutto del Sud Europa, vuol dire povertà, disoccupazione e recessione.
Il 21 dicembre 1988, John Wood cancellò la sua prenotazione sul volo Pan Am 10 - che sarebbe esploso di lì a poco sopra la cittadina di Lockerbie, in Scozia - perché si era lasciato trascinare a una festa aziendale; il 26 febbraio 1993, l'avvocato era nella sua stanza al trentanovesimo piano di una delle Torri Gemelle quando un'autobomba deflagrò alla base dell'edificio; l'11 settembre 2001 lasciò il suo ufficio appena prima degli attentati. È innegabile: a volte si verificano fatti che appaiono così improbabili, inattesi e inverosimili da far pensare che nell'universo ci sia qualcosa che non comprendiamo. Di sicuro ci fanno dubitare del fatto che a spiegarli sia sufficiente un'accidentale confluenza di eventi, e spesso ci inducono a ipotizzare l'esistenza di forze invisibili che governano il corso delle cose. Ma perché ciò che è universalmente riconosciuto come molto improbabile accade di continuo? A prima vista sembra una contraddizione, ma non è così: ci sono persone che vincono la lotteria più volte, fulmini che colpiscono ripetutamente lo stesso, sfortunatissimo uomo... A chi non è mai capitato di pensare a una persona e subito dopo ricevere una sua telefonata? O di avere un sogno premonitore? In questo saggio, David Hand ci conduce attraverso il territorio assai sfuggente della probabilità, e lo fa parlandoci di economia, di psicologia della percezione e di fisica contemporanea, ma anche di obbligazioni, di lotterie e gatti neri.
L'annuncio della pubblicazione dei "Quaderni neri" di Heidegger, finora inediti, ha scatenato in tutta Europa un acceso dibattito sull'antisemitismo del filosofo tedesco rivelato dalla lettura dei suoi taccuini. Le idee antisemite sembrano assediare in particolare "La storia dell'essere" e sono state influenzate dai Protocolli dei savi di Sion, la principale fonte antiebraica della modernità e della postmodernità. Peter Trawny, il curatore dell'opera omnia di Heidegger, entra nello studio del grande filosofo per rispondere, senza giustificazioni e sensazionalismo, alla domanda che tutti si pongono: il pensiero heideggeriano può resistere a questo "naufragio spirituale"?
Con la consueta lucidità di analisi ed estrema chiarezza, in queste pagine Giovanni Sartori affronta alcuni temi cruciali del nostro tempo: la crisi della politica, i labili confini tra libertà e dittatura, il "conflitto di culture e di civiltà" fra Islam e cristianesimo, la "guerra terroristica" e la "guerra al terrorismo". Come in molti suoi editoriali sul "Corriere della Sera", il noto politologo scrive inoltre di questioni di vitale importanza per la nostra Repubblica, come il sistema elettorale "perfetto", l'ondata migratoria e il diritto di cittadinanza, e - in ultimo - il delicato quesito su quando la vita biologica diventa propriamente umana. "Gli uomini, una volta scesi dagli alberi e diventati bipedi implumi, si sono organizzati in piccole tribù dedite alla caccia e all'agricoltura" ricorda Sartori. "Il salto è avvenuto con la scoperta della macchina, che ha creato una nuova società, la società industriale. Tutto bene, finché non ci siamo resi conto che anche le macchine potevano essere prodotte dalle macchine, togliendo lavoro a un mondo sovrappopolato, sempre più tele-diretto." "La corsa verso il nulla" offre stimolanti spunti di riflessione e raccoglie le amare considerazioni di un grande saggio della cultura politica sul lento declino a cui l'Italia e l'Europa sembrano destinate per non aver saputo salvaguardare i valori fondanti di una società realmente liberal-democratica.
Ogni giorno decine di migliaia di persone abbandonano il loro paese, in fuga da conflitti, guerre civili, scontri etnici o religiosi, da condizioni di vita insostenibili. Partono da città e villaggi dell'Africa e del Medioriente, da luoghi così remoti che non sono neanche segnalati sulle carte geografiche. Vanno a ingrossare il flusso dei migranti che si riversa nel Mediterraneo, diretto verso un futuro diverso e, forse, migliore. In questo esodo, le coste della Sicilia costituiscono uno snodo per il traffico di esseri umani, gestito da organizzazioni criminali senza scrupoli. Una volta raggiunta l'Italia via mare, su barconi fatiscenti o gommoni, i migranti verranno poi ceduti ad altri trafficanti, i cosiddetti scafisti di terra, per raggiungere i paesi ricchi del Nord Europa, la meta più ambita. Di questa realtà complessa e sotterranea a noi arriva solo una minima parte, attraverso le immagini tragiche che quasi ogni giorno invadono i servizi dei telegiornali e le pagine dei quotidiani. E la liturgia mediatica, quasi sempre la stessa, fa sì che le scene degli sbarchi e dei naufragi si assomiglino tutte, così come ogni nuova strage (a Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle, Catania...) assomiglia alle precedenti e ne cancella il ricordo. Ma che cos'è che non vediamo? Che cosa succede dopo i salvataggi e gli atti di eroismo dei militari di Marina militare e Guardia costiera, che sottraggono i migranti al mare e alla morte?
Nella pianura emiliana un Comune con un'alta percentuale di stranieri si è guadagnato il titolo di "capitale dell'integrazione". Grazie a politiche nuove ha trasformato il "problema" dell'immigrazione in risorsa per la competitività del territorio.Uno degli spazi più cruciali è il mondo della scuola. Qui si gioca una delle sfide più avvincenti: saper accogliere l'esperienza del multilinguismo e della multiculturalità e avviarla sulla strada della cittadinanza.
"La pietra fu usata prima per i sepolcri che per le abitazioni". Con arguzia epigrafica le parole di Miguel de Unamuno riaffermano una verità incisa su millenni di storia umana: la paradossale antecedenza della morte sulla vita. Dalla consapevolezza della fine biologica, stigma della nostra specie, muovono infatti le civiltà per allestire il loro apparato materiale e immateriale, i monumenti che sfidano la caducità, le grandiose visioni religiose che prefigurano l'inconoscibile, i sistemi di pensiero che elaborano il senso della finitezza, i codici morali che regolano la condotta personale e il vivere associato. Senza l'onnipervasività della morte non esisterebbe nulla di tutto ciò. William M. Spellman rende omaggio a questa signoria insieme drammatica e feconda, ripercorrendone i tempi e i modi dal Paleolitico a oggi. Convoca concezioni dell'aldilà e idee di immortalità, incarnata, disincarnata, sociale, ossia affidata al solo ricordo, e reincarnazione, teorie mortaliste, pratiche di congedo dei morenti, culti degli antenati, riti funerari, espressioni del lutto. Ma il grandangolo di Spellman inquadra anche un'assenza. Adesso, nel pieno di una "rivoluzione della mortalità" che ha invertito la spaventosa percentuale di morti premature o violente tipica dell'intera vicenda dell'uomo, è proprio il morire a venire occultato culturalmente. Negare la morte non ci aiuterà a vivere meglio.
Nel corso che tiene nel 1983, Michel Foucault, già malato, continua la sua rilettura della filosofia antica e inaugura la ricerca sulla nozione di parresia (dire la verità, parlar franco). L'attività della parresia si configura come pratica di libertà, collocata in uno spazio di "esteriorità" rispetto alle istanze di potere. Attraverso lo studio di questa nozione, Foucault torna a interrogarsi sul significato di cittadinanza nella Grecia antica e mostra come il "coraggio della verità" - assolutamente evidente nella posizione antagonista dei cinici - costituisca il fondamento etico dimenticato della democrazia greca. Con la decadenza della polis, il coraggio della verità si trasforma e diventa il modo con cui il filosofo esercita la sua direzione sulla formazione dell'anima del principe e quindi sul governo degli altri. Nel rileggere i pensatori greci, Foucault costruisce una figura di filosofo in cui si riconosce: ciò che va definendo è la propria appartenenza alla modernità, il proprio ruolo di filosofo, il proprio modo di pensare e di essere.
L'ombra e la grazia si possono considerare categorie esistenziali, metafore, per esprimere la dignità ferita e quella salvata. L'ombra è l'altra faccia della luce, come la pesantezza lo è della grazia. Vi è qualcosa di misterioso in tale intrinseca relazione tra lacrime e sorrisi, tra tristezza dell'anima e apertura alla speranza, a cui Eugenio Borgna presta attento ascolto e dà voce, riflettendo sulla dignità della persona, sul suo valore, nelle sue varie declinazioni, umbratili e luminose. La dignità è un valore etico fondamentale ed è la fonte dei diritti umani, tuttavia è stata crudelmente lacerata nel corso della storia, non ultima da quella psichiatria che ha distinto le vite degne di essere vissute da quelle che non lo sarebbero. Il problema del rispetto dell'altro si ripropone nell'ambito della cura, al centro della quale sta la fragilità del malato, fisico o psichico, esposto alla sofferenza della malattia e all'angoscia della morte. Il discorso sulla dignità non concerne solo l'aspetto doloroso dell'ombra, riguarda anche l'attesa del futuro e dell'ignoto. Le attese altrui vanno riconosciute e rispettate, per non fare al prossimo quanto non vorremmo fosse fatto a noi. Siano esse le attese di chi sta male o di chi per qualche ragione sia vulnerabile, occorre rispettarne la fragilità e la sensibilità, le quali non potranno proteggere la dignità dai colpi inferti dalla vita, ma consentono una più acuta e umana comprensione del lato oscuro dell'essere, della parte invisibile delle cose...
Conseguito il diploma da sommelier e l'attestato da degustatore ufficiale, Andrea Scanzi decide di partire alla scoperta dei luoghi e delle persone dalla cui passione nascono i più grandi vini italiani, con la convinzione che analizzare il mondo del vino è un modo per capire cosa proviamo per il nostro passato e cosa stiamo preparando per il futuro. E cosi si trova ad attraversare il Belpaese, dalle Langhe all'Alto Adige, dalla Franciacorta a Montalcino, per raccontare dove e per mano di chi nascono i nostri vini migliori. Scanzi ci insegna a riconoscere, insieme a chi li produce, il Barolo, il Pinot Nero, il Sassicaia, l'Aglianico e altri capolavori di una lunga storia fatta di lavoro, pazienza e dedizione. Non senza ironia ci svela i piccoli e grandi segreti che ogni sommelier e ogni buon intenditore hanno messo a punto nel tempo. E soprattutto, ci insegna a riconoscere la vita segreta dei vini e ad apprezzare quella sottile arte che ne fa spesso dei capolavori: l'arte di invecchiare. Divenuto un piccolo classico nel suo genere, apprezzato dagli intenditori e da chi, semplicemente, ama il buon vino perché il vino ha vita.