Non è facile come sembra, nella Chiesa, essere laici, e non perché il concetto di laicità sia stato «rubato» da coloro che si dicono «laici» invece che estranei alla comunità dei fedeli, ma perché il sostantivo «laico» indica, di fatto, un residuato, un credente incompleto, che prega su un gradino più in basso rispetto al chierico e al religioso. La «vocazione» sembra ancora a molti una chiamata riservata a una minoranza privilegiata di battezzati, a coloro che hanno un sacramento o qualche «voto» in più. Il cristiano che non diventa presbitero o frate o suora sembra «rimanere» laico, un «semplice fedele», quasi sempre non consapevole del dono della laicità, come se fosse un cristiano di serie B.
Questo volume vuole riportare il laico al centro della Chiesa e del mondo, come insegnano la Lumen Gentium e la Gaudium et Spes; aiutarlo a scoprire se stesso, individuando la sua particolare vocazione laicale che esiste e vale come le altre vocazioni cristiane, ma è un po’ nascosta dalle tonache e dai veli dei consacrati.Vorrebbe indicare, insomma, «come si diventa laici» nella pienezza della laicità cristiana e suggerire la consapevolezza del proprio stato e l’itinerario per raggiungerla, perché il cristiano laico possa vivere con gioia la propria condizione nella Chiesa.
Destinatari
Cristiani che vogliono vivere la loro fede nel mondo, nella vera e autentica “vocazione laicale”.
Autore
Pier Giorgio Liverani, veronese, laurea in giurisprudenza, giornalista e scrittore. È stato direttore di «Avvenire», di cui è attualmente opinionista. È direttore responsabile del mensile «Sì alla vita» del Movimento per la Vita Italiano e dei «Quaderni di Scienza & Vita» e membro del direttivo del Centro di Orientamento Pastorale e della Redazione di «Orientamenti pastorali». Collabora a varie riviste cattoliche. È membro del Consiglio Nazionale degli Utenti presso l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Tra i suoi libri: Aborto anno uno, Dizionario dell’antilingua, La società multicaotica con il Dizionario dell’Antilingua (tutti con l’Editrice Ares); Essere o non essere telegenitori? (Dehoniane) e Tutti i giorni della vita eterna (Edizioni San Paolo, 2010).
Il treno sfreccia silenzioso in una mattinata grigia. Pedro sta guardando le nuvole che lentamente si aprono, quando all'improvviso un raggio di sole entra dal finestrino e illumina la ragazza seduta di fronte a lui. Barbara ha gli occhi grandi, un viso da bambina e un sorriso puro. I due si innamorano a prima vista. E decidono che ogni giorno insieme deve essere come la prima volta. Sono separati da centinaia di chilometri e centinaia di difficoltà, ma non rinunciano. Per questo faranno in modo di incontrarsi sempre in un luogo diverso. Per riscoprire tutte le volte la meraviglia e dimenticare la distanza. Per toccare insieme la sabbia rovente di una spiaggia affollata e l'erba fresca bagnata di rugiada di una collina in primavera. Per stupirsi di fronte alla gioia della normalità nel primo caffè del mattino, dell'ennesimo bacio reclamato da una briciola di biscotto. Finché un giorno prendono una decisione. Quella di scegliersi ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo. Come un lunghissimo sorriso che si rinnova a ogni risveglio. Perché l'amore è fatto di attese e di lunghi abbracci, di scherzi e lacrime, di fragilità e protezione. E il più bello dei viaggi, e la destinazione è la vita.
Cinquecento giorni trascorrono, nella vita di Napoleone Bonaparte, tra il crollo dell'Impero, l'esilio all'Elba, i Cento Giorni e la partenza, infine, per Sant'Elena. Al loro inizio c'è un tentativo di togliersi la vita, a Fontainebleau, nelle stanze vuote di un palazzo vuoto da cui tutti si sono prudentemente allontanati, lasciando solo l'Imperatore in disgrazia. Alla fine, ancora la tentazione di un suicidio, sul vascello inglese che lo conduce, ormai prigioniero, a Sant'Elena. In mezzo, un tempo per così dire intermedio - 500 giorni non sono né pochi né molti - scandito da scelte obbligate: partire, restare, combattere, fuggire. Scelte che si sbaglierebbe a immaginare rivolte solo alla vittoria, o peggio alla rivincita. Esse sono, più spesso, dettate, al contrario, dall'idea della sconfitta, dall'incubo del congedo. Come uscire di scena è, per Napoleone, in questo finale di partita, molto più importante che restare a tutti i costi sul palcoscenico. Come uscire di scena, rendendo per sempre indimenticabile ciò che egli ha fatto nei giorni della fortuna, evitare di negarlo con un comportamento poco appropriato, fare che la propria vita, e la storia che in essa si è scritta, non perda di significato, come molti, troppi, intorno a lui vorrebbero fare e provare a fare in quei lunghi, brevi 500 giorni.
Nella percezione e concezione odierna il Diritto appare a molti come uno strumento utile a porre limiti e separazioni, prima di tutto tra le persone: uno strumento per difendere posizioni ed interessi individuali. Non è questa, però, la vera natura e funzione del Diritto; esso infatti nasce per unire, per creare relazioni, proprio laddove ciò non appare immediatamente possibile per assenza o carenza di rapporti. La natura del Diritto è l'accoglienza e questa è anche la sua funzione primaria: il Diritto non è rivendicazione ma riconoscimento, soprattutto quando i motivi spontanei per accogliere l'altro sono insufficienti o non convincono più. Non solo la Filosofia e la Teologia lo riconoscono, ma anche il Diritto amministrativo, quello penale, quello internazionale. Il Diritto canonico, per parte propria, si autocomprende come norma communionis affinché ogni persona possa sedere a mensa nel Regno dei cieli.
Lui sta cercando se stesso, ma trova lei. La incontra su un tram, per caso come succedono certe cose. Lei scivola via alla fermata, ma lui sente che deve fare di tutto per ritrovarla. Allora si trasforma in un investigatore privatissimo e scopre che la sorgente della sua tempesta emotiva e ormonale è partita per New York. Non gli resta che salire su un aereo diretto alla Grande Mela e fare di tutto per incrociare di nuovo quello sguardo.
Gli otto giorni che passano tra il suicidio di Hitler e la resa della Germania sono tormentati da due chimere: la catastrofe violentissima della fine dell'impero e l'invasione simultanea di due nemici - con i russi più minacciosi degli alleati atlantici. Diari e lettere danno una voce ai numerosi protagonisti di questa raffica di eventi: Hitler e Eva Braun, i Goebbels, il nuovo Führer Dönitz, che fa durare la guerra una settimana in più, fino a Marlene Dietrich, che cerca sua sorella a Bergen-Belsen travestita da ufficiale americano. Un grande racconto romanzesco della settimana più importante della Seconda guerra mondiale. Gli ultimi giorni sono quelli decisivi: la spartizione della Germania tra Oriente e Occidente sarà la stessa che dividerà il mondo. La Guerra fredda è già cominciata. Con il nuovo libro di Volker Ullrich si rivivono gli orrori della guerra e il paradosso del suo epilogo: non è più possibile distinguere tra vittime e carnefici. È una storia che ci riguarda da vicino, perché su quella distruzione comincia la nostra epoca. Come dice Maximilien Aue, il protagonista delle Benevole: "Non mi sono più mosso prima della parola 'fine'."
A Gerusalemme il soffio caldo dello Sharav accarezza gli oleandri dei viali, le sinagoghe e le moschee, la vita quotidiana di una città all'apparenza pacifica. Così come sembra serena la vita di due donne, due musiciste, giunte in Israele per tenere un concerto: Elisheva, una famosa violoncellista, e Rachel, la sua allieva prediletta, vengono da New York e resteranno a Gerusalemme solo tre giorni. Per entrambe, però, quello è un viaggio nel passato: Rachel, la più giovane, torna in famiglia, combattuta tra l'affetto per il padre, il senso di colpa (sente di aver tradito le sue aspettative di ebreo ortodosso) e il desiderio di fuggire da lui e dalla sua cultura. Anche la più anziana Elisheva è fuggita da qualcosa, anzi sopravvissuta: al campo di concentramento di Majdanek. E scampata alla morte, ma non ai ricordi che non hanno smesso di ossessionarla un solo giorno. A Gerusalemme incontra il suo figlioccio, Daniel, la cui madre era internata insieme a lei. Daniel, che è diventato un agente del Mossad, le consegna una valigia: all'interno c'è un'arma con cui la musicista vuole uccidere l'uomo noto solo come "Henker", il boia di Majdanek. Fuggito in Sudamerica, Henker si è costruito una nuova identità e proprio in quei giorni è a Gerusalemme con una comitiva di turisti. In un romanzo in cui ogni personaggio presenta la sua verità, Chochana Boukhobza intreccia due storie che segretamente risuonano l'una nell'altra, due storie di ferite mai rimarginate, di promesse fatte ai morti, di vendetta.
Il 12 settembre 1919 un poeta, alla testa di duemila soldati ribelli, conquista una città senza sparare un colpo. Vi rimarrà oltre un anno, opponendosi alle maggiori potenze sotto gli occhi di un mondo ancora sconvolto dalla Grande Guerra. Lo scopo di Gabriele d'Annunzio e dei suoi legionari non era solo rivendicare l'italianità di Fiume: il Vate sognava di trasformare la sua «Impresa» in una rivoluzione globale contro l'ordine costituito, e nell'avveniristica Carta del Carnaro - una costituzione avanzatissima - teorizzò un governo della cosa pubblica lontano da quello dello Stato liberale, socialista, fascista. Per sedici mesi Fiume fu teatro di cospirazioni, feste, beffe, battaglie, amori, in un intreccio diplomatico e politico sospeso tra utopia e realtà. Militari, scrittori, aristocratici, industriali, femministe, sovversivi, politici, ragazzi fuggiti di casa componevano l'esercito del «Comandante», inconsapevoli di quanto avrebbero influenzato l'immaginario del Novecento. Nelle luci e nelle ombre dell'Impresa ritroviamo, a distanza di cento anni, molti aspetti del mondo di oggi: la spettacolarizzazione della politica, la propaganda, la ribellione generazionale, la festa come mezzo di contestazione, la rivolta contro la finanza internazionale, il conflitto tra nazionalismi, il ribellismo e la trasgressione. Mussolini, che a Fiume tradì d'Annunzio, saccheggiò quell'epopea adottandone la liturgia della politica di massa: i discorsi dal balcone, il dialogo con la folla, il «me ne frego», l'«eia eia alalà», riti e miti: così l'Italia democratica ha voluto dimenticare che la «Città di Vita» fu anzitutto una «controsocietà» sperimentale, in contrasto sia con le idee e i valori dell'epoca sia - e tanto più - con quelli del fascismo. Eppure, se molti legionari aderirono al regime, come Ettore Muti, molti altri furono irriducibilmente antifascisti, confinati o costretti a morire in esilio, come il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. Giordano Bruno Guerri ricostruisce quei sedici mesi attraverso migliaia di documenti custoditi negli Archivi del Vittoriale, intrecciando la grande storia con le vicende degli uomini e delle donne che hanno vissuto quell'irripetibile avventura, e portando alla luce un aspetto inedito della poliedrica personalità dell'uomo che ne fu l'ispirato animatore e l'indiscusso protagonista.
Quando concepì Dante la stesura della Commedia? Davvero gli ultimi tredici canti del Paradiso erano andati perduti? Qual era la reale visione politica dell'autore? Chi era Beatrice? Perché il sommo poeta si sentiva investito di una missione? L'indagine di Fighera risponde a tante domande e curiosità. Soprattutto, però, una domanda attraversa il libro: perché dovremmo leggere la Commedia a settecento anni dalla sua composizione? Tradotta in tutte le lingue del mondo, essa è apprezzata ovunque. Eppure i dati sullo studio del capolavoro dantesco nelle scuole superiori e nelle università in Italia denunciano già un grave abbandono, a fronte di un interesse da parte del pubblico che non è mai scemato in questi anni. Per questo c'è la necessità di un testo come "Tre giorni all'Inferno" che permetta di affrontare l'intero percorso di Dante (dalla selva oscura alla visione delle stelle dell'emisfero australe) con un'attenzione ai versi del capolavoro, ma, nel contempo, con uno sguardo vivo al significato esistenziale del viaggio che l'autore ci suggerisce di affrontare, oggi, con lui.
La spiritualità ortodossa della Terra Russa troppo spesso è ingiustamente trascurata dal mondo occidentale. Perciò questo saggio si propone di farcela scoprire e di condurci nel cammino lungo e affascinante dell’ecumenismo, perché – secondo una frase molto cara a Giovanni Paolo II – la Chiesa possa nuovamente respirare con entrambi i suoi due polmoni.
La conoscenza più approfondita dei vari aspetti della cultura russa, come l’arte e la letteratura, ci potrà aiutare a comprendere non solo lo stretto legame fra i canoni estetici bizantini e l’icona russa, ma anche e soprattutto la profonda spiritualità della letteratura russa del XIX secolo.
Infine, seguendo l’evoluzione storica del monachesimo russo potrà cogliere anche il perché dello stretto legame esistente fra Chiesa Russa e società civile e politica, così come appare ancora bene evidente ai nostri giorni il legame esistente fra Chiesa e Stato in Russia.