Il 24 febbraio 2022, con l'invasione su larga scala dell'Ucraina, la Russia ha dato ulteriore sviluppo alla guerra iniziata nel 2014 con l'occupazione della Crimea e il sostegno ai separatisti del Donbass. La mossa rientra in un progetto geopolitico e identitario di tipo imperiale e segue una logica neostalinista. Putin agisce infatti per ottenere il ritorno di Mosca da protagonista sul palcoscenico globale, perché convinto che la Russia sia da sempre e sarà anche in futuro un impero. Per consolidare la "fortezza russa", ha dato vita a un regime illiberale grazie alla rielaborazione di teorie e pratiche ereditate dallo stalinismo: politica da grande potenza, controllo autoritario della società, esaltazione del passato imperiale, rivendicazione di una missione storica. Riscrivendo la storia e statalizzando lo spazio memoriale, il putinismo ha creato una nuova identità fondata su alcuni stereotipi positivi di epoca sovietica ancora radicati in parte della popolazione. Allo stesso tempo ha inglobato, manipolato, censurato o represso le iniziative liberamente nate sui temi del passato russo nella società civile. Sposando una visione catastrofista delle relazioni internazionali, Putin ha dato forma a una Russia postsovietica dalle ambizioni imperiali, decisa a plasmare l'ordine europeo e mondiale. Il libro affronta le tappe della costruzione di questa identità geopolitica, interrogandosi sulla solidità del putinismo e sulle eredità che lascerà ai russi anche dopo l'uscita di scena di Putin.
Chiusure, allarmismi, distanziamento, passaporti vaccinali, violazione delle libertà fondamentali, misure punitive nei confronti dei contestatori della narrazione dominante: la recente pandemia ha prodotto una gestione basata su un'errata concezione di bene comune inteso come assenza di malattia senza considerare la dimensione psicofisica, mentale e spirituale delle persone. Ma cosa c'è dietro? Quale visione di uomo si vuole far emergere da parte di chi ha in mano le leve del potere? Questo libro risponde a tali domande, evidenziando l'emergere di un nuovo tipo di totalitarismo basato sulla manipolazione della paura e sulla continua gestione delle emergenze: un regime che rende suoi complici anche coloro ai quali il totalitarismo è rivolto.
La presenza dei cattolici nella vita politica e culturale è stata significativa e rilevante fino al secondo dopoguerra. Diversamente da allora, oggi si nota una grande assenza. Basti pensare a come l'Europa sia stata varata da tre grandi cattolici e come oggi le sue posizioni si siano attestate su dottrine opposte ai valori per cui è stata fondata. L'autore indica qui una serie di cause di tale logoramento (interne ed esterne al mondo cattolico) e propone diverse possibili piste da seguire per rilanciare una presenza indispensabile alla nostra civiltà.
La marcia del neofascismo italiano verso l'atlantismo più radicale incominciò subito dopo la stipula del patto politico-militare tra gli Stati Uniti e il governo franchista spagnolo. Questo confortevole contesto, collaudato da oltre settant'anni, spiega la naturalezza con cui gli eredi del Movimento sociale italiano (MSI), mutate le denominazioni, giunsero tempestivamente a far parte del governo italiano sin dai primi anni Novanta e, nei mesi scorsi, al vertice di esso. Con quanta dedizione ai fondamenti della Repubblica si può arguire dalla definizione datane da Giorgio Almirante nel gennaio 1988: «Repubblica bastarda». Le premesse remote di questo idillio vanno ricercate nel modo in cui, conclusasi la seconda guerra mondiale, prontamente decollò la guerra fredda. La cui conclusione - crollo del mondo 'socialista' e trionfo dell'alleanza atlantica - ha determinato un ampio schieramento di poteri e di opinioni pubbliche che riconnette la remota contrapposizione 'o Roma o Mosca' agli sviluppi tuttora in atto: all'insegna del «dunque avevamo ragione».
L'autore è estraneo al nostro percorso politico-culturale, ma questo non gli impedisce, anzi forse lo aiuta a rompere i vecchi schemi e a fornire un lavoro completo e organico (Secolo d'Italia, 29 giugno 1989) Alla fine degli anni Ottanta, quando venne pubblicata la prima edizione de II Polo Escluso, il Msi era un partito marginale, quasi un reperto archeologico, cementato da un'inestricabile nostalgia; ora il suo erede diretto, Fratelli d'Italia, è al centro della politica italiana. Cosa è accaduto in questi trent'anni per portare quel mondo dall'irrilevanza al potere? Questo volume, oltre a riproporre la prima, ancora insuperata, analisi del Msi, ci conduce lungo gli eventi del trentennio successivo. Si sofferma sulle svolte ideologiche più o meno convinte intraprese negli anni Novanta, sulle lacerazioni del decennio successivo culminato con l'uccisione politica del leader, Gianfranco Fini, che non accettava, diversamente dai suoi ex sodali, l'egemonia del populismo berlusconiano dopo la diluizione di An in Pdl, e infine sull'ingresso in scena di Fratelli d'Italia. Pur con le sue numerose varianti c'è tuttora un mondo riconoscibile in quel passato, nei suoi riferimenti culturali e nei simboli che non tramontano. La fiamma non si è mai spenta.
Parlare dei costituzionalisti è come parlare di costituzione. Se essere costituzionalisti significa sfornare 'pareri', la costituzione anch'essa diventa un parere, anzi una somma di pareri. E diventa un parere persino che ci sia questa Costituzione e non un'altra. Un tempo, almeno su questo i costituzionalisti erano uniti: quella Costituzione alla quale hanno promesso di dedicare studi ed energie deve essere difesa e promossa. Oggi, un'epoca sembra tramontata e molti lavorano allo scopo opposto: cambiarla, renderla irriconoscibile. Naturalmente, si dice, lo scopo è sempre quello di migliorarla. Sono ancora costituzionalisti? La domanda è lecita. Talora sembrano ideologhi, altre volte politici, se non anche politicanti che usano la Costituzione come un mezzo e non come il fine, il fine ultimo che è la convivenza senza sopraffazione e senza violenza. «Che cosa stiamo diventando?» si chiede un costituzionalista che viene da tempi ormai lontani. È un destino finire tra gli 'opinionisti' da cui si pescano quelli più congeniali a questa o quella area politica, a questa o quella tesi? C'è un'Associazione dei costituzionalisti che riunisce circa 500 persone con il compito di «promuovere e difendere le peculiarità della cultura costituzionalistica». Che cosa sono queste peculiarità? Se c'erano, dove sono finite? Forse un tempo si sarebbe potuto rispondere. Oggi è difficile. «Sia chiaro - si dice in questo libro -, questa non è una critica, ma una constatazione e, insieme, una delusione, un dispiacere e, forse, un rimorso».
Nel conflitto tra Russia e Ucraina diventa sempre più evidente il ruolo essenziale svolto dall'ideologia del Russkij mir - il "Mondo russo", la "Pace russa" - nello scoppio e nella prosecuzione della guerra. Questa inedita ridefinizione del mondo assume un carattere aggressivo in forza di una lettura della realtà che non è più soltanto geopolitica ma anche metafisica, e nella quale non è in gioco soltanto la Russia come Stato, ma anche la sua tradizione religiosa. Così, nel progetto totalitario di teologia politica elaborato da Putin, l'aspirazione è quella di costruire un nuovo ordine mondiale, purificato dagli elementi ritenuti estranei - i "nazisti ucraini", l'Occidente, i nemici della civiltà russa -, con l'esito paradossale che l'immagine tradizionale della Russia come incarnazione dei valori e della tradizione cristiana viene completamente deturpata.
Parole chiave del nostro linguaggio pubblico, «destra» e «sinistra» sperimentano, oggi più che mai, una straordinaria capacità nel connotare il campo della politica. Persino coloro che si mostrano scettici circa l'efficacia della distinzione, o la considerano insoddisfacente, tuttavia non sanno farne a meno e finiscono col riproporla mentre la negano. A distanza di trent'anni dalla sua prima edizione, questo «aureo libretto» - come fu subito autorevolmente definito - assume sempre più la statura di uno di quei rari classici del pensiero politico che possono essere ritenuti fondativi. Davvero Bobbio aveva visto lungo. Davvero la sua saggezza era riuscita ad arrivare alla radice della distinzione, il cui nodo di fondo sta nel diverso atteggiamento che le due parti mostrano nei confronti dell'idea di eguaglianza. Naturalmente eguaglianza e diseguaglianza sono concetti relativi: né la sinistra pensa che gli uomini siano in tutto eguali, né la destra pensa che essi siano in tutto diseguali. Ma coloro che si proclamano di sinistra danno maggiore importanza, nella loro condotta morale e nella loro iniziativa politica, a ciò che rende gli uomini eguali, o ai modi di ridurre le diseguaglianze; mentre coloro che si proclamano di destra sono convinti che le diseguaglianze siano ineliminabili e che non se ne debba neanche auspicare la soppressione. Nel dispiegare i suoi argomenti, Bobbio riesce a rendere conto, secondo il classico procedimento della sua argomentazione, delle «ragioni» di entrambi i campi: «Guardando le cose con un certo distacco, non mi domando chi ha ragione e chi ha torto. Anche se non faccio mistero, alla fine, di quale sia la mia parte». Questa edizione del trentennale si avvale di una nuova prefazione di Nadia Urbinati, che di Bobbio fu allieva, e che percorre qui tutte le tappe, le discussioni, i consensi e le critiche, che hanno fatto di "Destra e sinistra" un libro di riferimento, e che ne fanno oggi più che mai «una stella polare» per orientarsi nel nostro difficile e problematico presente. Il libro ripropone anche l'introduzione di Massimo L. Salvadori alla «edizione del ventennale» (2014) e una nota introduttiva di Carmine Donzelli alla «edizione del decennale» (2004).
L'Europa rappresenta da almeno tre generazioni un sogno di pace, benessere, solidarietà e democrazia post-nazionale. Eppure, dallo scoppio della crisi del 2008 in poi, la gestione dell'UE ha assunto dei tratti quasi da incubo, dando man forte all'avanzata dei movimenti euroscettici in tutto il continente. Le procedure democratiche hanno lasciato il posto al "diritto d'emergenza", sempre più decisioni sono state prese dai capi di Stato e dalla Troika, che ha imposto a tutti i paesi in difficoltà le famigerate misure di austerità. Partendo da questo quadro, i due autori riportano il dibattito che ha avuto luogo soprattutto in Germania, dando voce alle proposte per un'Europa diversa di intellettuali quali Habermas, Streeck, Beck, Balibar, Offe e Bauman, ma accogliendo anche le istanze dei movimenti sociali, ai quali attribuiscono un ruolo chiave nella spinta al rinnovamento europeo. L'obiettivo è l'abbandono del nazionalismo e il rafforzamento del potere democratico sovranazionale. In altre parole, salvare il sogno e dargli concretezza.
Ora che il ponte di Londra è caduto, che fine farà l'Inghilterra? La morte della Regina Elisabetta - annunciata a ministri e dignitari con la frase in codice "London bridge is down" - dà inizio ad una resa dei conti psicologica non solo per la Gran Bretagna e per le ex-colonie raggruppate nell'anomalia storica del Commonwealth ma anche per centinaia di milioni di stranieri che per 70 anni, avevano considerato questa figura minuta, aggraziata e quasi sempre silenziosa come una star della scena internazionale e, di gran lunga, il monarca più famoso del mondo. La dicotomia tra la meticolosa preparazione per le esequie di Elisabetta e il tumulto collettivo di un popolo che, in gran parte, rigetta la nozione di non essere più una nazione-guida e guarda con troppa nostalgia al suo passato, sarà il grande non-detto dei prossimi tempi, il fantasma di banco alla festa di Re Carlo. Perché, schiacciato tra "è morta la regina" e "viva il re" - la sbrigativa frase che garantisce la continuità della monarchia britannica - c'è un Paese che non sta bene con se stesso.
Mai nella storia i massimi imperi si sono trovati contemporaneamente in crisi, al punto da temere per la propria esistenza. Questa è in essenza la Guerra Grande, che è appena iniziata e di cui nessuno può immaginarne la fine. Un conflitto disegnato di tre protagonisti - Stati Uniti, Cina e Russia - in due teatri principali. Con Cina e Usa in crescente frizione nell'Indo-Pacifico, mentre Stati Uniti e Russia si affrontano lungo i bordi dell'Eurasia occidentale fra Mar Nero e Baltico, epicentro Ucraina. Il primo numero di Limes del 2023 fa il punto sulla guerra che insanguina l'Europa orientale, inserendola nel più ampio quadro geopolitico che appare destinato a connotare il prossimo futuro. Tempo caratterizzato dagli spasmi del "momento unipolare" americano post-1989 e dalla brutale gestazione di un nuovo assetto. Un processo i cui esiti restano aperti.
Che fine ha fatto quella sinistra che un tempo si poneva a fianco delle classi popolari? Anche al di là del caso italiano, uno sguardo allo stato delle socialdemocrazie e delle forze politiche che sulla carta si presentano come tali aiuta a comprendere il quadro attuale. E a ipotizzare alcune possibili soluzioni.