Il tema del martirio nell'Islam viene qui inquadrato in un'ampia prospettiva storica che ne contestualizza le componenti ideologiche, simboliche, sociali e politiche, evitando di focalizzare l'attenzione sulle motivazioni personali degli attentatori suicidi, come spesso è accaduto negli studi finora pubblicati. A partire dal XX secolo e fino ai giorni nostri la pratica dell'autosacrificio ha sollevato accese dispute all'interno del mondo islamico, sia sciita sia sunnita. I movimenti più radicali l'hanno adottata come strumento principale del jihad, elevando gli attentatori suicidi al rango di martiri, altri hanno posto vincoli sul suo utilizzo, mentre le correnti più moderate l'hanno condannata da un punto di vista teologico o morale. Meir Hatina esplora i diversi modi di concepire l'autosacrificio seguendone l'evoluzione attraverso i secoli, evidenziando i retaggi della tradizione ebraica, cristiana e di altre culture non islamiche nonché i legami con il contesto sociopolitico contemporaneo. Attingendo a un vasto corpus di fonti di prima mano - cronache, testi giuridici, manifesti ideologici, memorie, testamenti, hadith e fatwa -, oltre che alla più recente letteratura storiografica e sociologica, il libro apre inedite prospettive su uno dei fenomeni più controversi e inquietanti del nostro tempo.
Cambiamento climatico, instabilità finanziaria, migrazioni, disuguaglianze, accelerazione digitale e lentezza politica. Le grandi trasformazioni in corso irrompono nel dibattito di ogni giorno con le loro imprevedibilità e il loro fascino. Ma perché è tanto importante discutere di futuro e di innovazione? cosa possiamo fare dinanzi a sfide mai affrontate prima da homo sapiens? "Come saremo" non offre previsioni ma un metodo per guardare avanti consapevolmente, con la sola certezza che possiamo coltivare: il futuro sta tutto nelle potenzialità delle nostre azioni. La sintesi inedita delle voci di De Biase e Pievani indaga le tendenze dell'evoluzione tecnologica e le sue narrazioni mediatiche, e converge su una domanda: abbiamo la possibilità di influire sulla sua direzione? chiude il volume una serie di testimonianze (economisti, esperti di comunicazione, ingegneri-hacker, architetti e filosofi del linguaggio) su cosa significa oggi creare e diffondere una cultura dell'innovazione.
Nonostante l’enorme sforzo di analisi e classificazione della malattia portato avanti nell’ultimo secolo, la medicina – “la più giovane di tutte le scienze", come la definisce l’autore di questo libro – ha caratteristiche peculiari che la differenziano dalle sorelle più anziane come l’astronomia, la fisica o la biologia. Prima di tutte la costante presenza dell’imperfezione.Il medico, infatti, si trova spesso di fronte alla difficoltà di conciliare il suo sapere, che è certo, fisso e concreto, con la propria intelligenza clinica, che invece è incerta, imperfetta e si nutre di dubbi. Per questo nessuna cura può essere definita tale, ed essere efficace, senza l’interazione tra il paziente e il medico che ne ascolta la storia, la interpreta e valuta la situazione alla luce delle proprie esperienze personali.Ricco di notizie storiche, esempi clinici e preziose informazioni sulla medicina moderna, Le regole della cura è un viaggio affascinante tra le battaglie e i momenti di illuminazione vissuti dai medici, che chi è al di fuori della professione ha raramente la possibilità di conoscere. Dobbiamo trovare un modo nuovo di concepire la medicina, ci spiega l'autore, stimolante e più umano.
«La cultura è come la marmellata: meno ne hai, più la spalmi». Marina Valensise parte da questo slogan, apparso sui muri della Sorbona nel maggio ’68, per illustrare uno dei paradossi italiani: il paese con il patrimonio più ricco del mondo è incapace di valorizzarlo, mentre altri prosperano su fortune molto meno cospicue. Fin dal titolo, il suo libro ha il sapore di una provocazione, ma è frutto di un’esperienza concreta. Tra il 2012 e il 2016, infatti, l’autrice ha diretto l’Istituto italiano di cultura a Parigi ed è riuscita a rinnovarne la sede, a moltiplicare il numero dei suoi frequentatori e a raddoppiare le entrate proprie rispetto alla dotazione statale. Il segreto? La virtuosa contaminazione e la potente sinergia tra pubblico e privato a favore del patrimonio, che Marina Valensise ripercorre in queste pagine proponendole come modello di valorizzazione partecipata. La differenza di impostazione non è banale e sta in un concetto apparentemente semplice: la capacità di evolversi, abbandonando un ruolo passivo per una funzione più innovativa, che vada oltre quella di semplice cinghia di trasmissione del sapere dato, per produrre cultura in nome di un’idea più dinamica dell’interesse generale. La lievità del racconto, ricco di aneddoti gustosi e frutto di mille incontri con personalità che nei più vari settori – dal design alla cucina, dall’architettura alla musica – danno lustro all’Italia nel mondo, si unisce al monito a tornare protagonisti in nome della cultura sul piano internazionale, offrendo un decalogo di semplici regole per applicare questo modello alla realtà quotidiana delle istituzioni e delle imprese.
Dai campi di calcio ai campi di concentramento dell'Is: Bechir è un giocatore della serie A tunisina che decide di arruolarsi nell'Isis e combattere per la Giusta Causa del Califfo Al Baghdadi. Prenderà parte a missioni segrete in Libia per conto dello Stato Islamico e diventerà uno dei combattenti più famosi e temuti di Raqqa. In questo sconvolgente libro-inchiesta, il protagonista svela in diretta il lato oscuro dell'organizzazione terroristica più potente al mondo: l'orrore delle decapitazioni, gli stupri di guerra e gli attentati dei kamikaze. Ma anche i segreti inconfessabili, la corruzione, il traffico di droga, la macchina della propaganda sui social e i piani del Califfato per invadere l'Europa e piegarla alla Sharia.
12 marzo 2011: un ragazzo a Parigi uccide un coetaneo, Samy, perché ha attraversato la linea immaginaria tra due quartieri. Violenza pura, gratuita, assurda. Un gesto selvaggio a due passi dal liceo in cui ha appena iniziato a insegnare un giovane professore, François-Xavier Bellamy. Quel fatto lo porta a riflettere su una rottura inedita accaduta nella società occidentale: una generazione ha rifiutato di trasmettere la propria eredità culturale, ha diseredato i giovani. Dove fallisce l’educazione è inevitabile che sorga di nuovo la barbarie, che trionfi il nichilismo.
In un simile contesto, si chiede l’autore, per quale motivo entriamo ancora in classe, insegniamo, parliamo a questi allievi? Siamo condannati a insegnare, a educare, senza sapere bene perché e senza nemmeno ardire di porci questa domanda? Su cosa rifondare la didattica e l’educazione?
Bellamy per primo non si sottrae a questi interrogativi, nella convinzione che «l’emergenza assoluta oggi consiste nel rifondare la trasmissione. Urge riconciliarsi con il significato stesso dell’educazione per far vivere in ognuno la cultura, per mezzo della quale l’uomo diventa umano, la libertà effettiva e un futuro comune possibile».
Nel Ventesimo secolo, e specialmente negli ultimi decenni, la vita delle persone è cambiata come mai in precedenza; valori, comportamenti, stili di vita, oggetti che ci accompagnavano da secoli sono andati in soffitta. Una rivoluzione. Abbiamo gli antibiotici che ci guariscono, l'acqua corrente e il riscaldamento, il frigidaire e il minipimer. Abbiamo il treno, la bicicletta, scooter, l'automobile per viaggiare e far vacanza; il cinema, la radio e la televisione. Abbiamo imparato a leggere e scrivere; a lavarci e a portare le mutande; a uscire con la morosa senza metterla incinta; a infilare soldino nel juke box e a "downlodare" le hit preferite per le playlist del nostro iPhone; a far la spesa al supermercato; a stare connessi al telefono e al computer, a girare il mondo imbucando cartoline e postando selfie. Marta Boneschi propone un catalogo ragionato delle cose che ci hanno fatti ciò che siamo: in immagini e in parole, un album divertente e acuto della vita e del costume contemporanei, un museo vivente di cui siamo protagonisti noi stessi, il cammino breve e pure precipitoso che ci separa dalla vita dei nostri nonni, dei nostri genitori, dagli anni stessi della nostra infanzia.
In politica come nella vita cambiare idea è inevitabile. E forse anche giusto, in un'epoca come la nostra caratterizzata da mutamenti così profondi e rapidi. In Italia però cambiare orientamento politico, in specie passare da destra a sinistra o viceversa, è sempre stato altamente problematico: chi lo fa si attira l'accusa di essere un trasformista o peggio un voltagabbana e un traditore. Aguzzo e scomodo come sempre, Galli della Loggia racconta come il cambiamento/tradimento è stato vissuto, interpretato e concettualizzato nella storia politica italiana. Poi mette in campo se stesso, ripercorrendo i momenti-chiave della propria esperienza e le molte polemiche che lo hanno coinvolto nei principali passaggi della vicenda ideologica del Paese: uno sguardo severo sulla storia intellettuale e culturale italiana, colta nei suoi inconfessati cambiamenti di fronte, le sue quasi sempre tacite abiure, i suoi pregiudizi, le sue bugie.
Nell'immaginario collettivo gli anni Sessanta sono definiti "favolosi": l'Italia, superato definitivamente il dopoguerra, si lanciava con gioia e ottimismo verso un futuro che appariva radioso. In questo racconto, Alfio Caruso ci fa rivivere in presa diretta l'anno speciale con cui inizia il decennio. E il 1960 vanta una crescita economica impressionante: il Pil tocca il record del +8%, oltre il 50% delle famiglie si avvia a possedere un frigorifero e un televisore (venduti al ritmo di 1500 al giorno) e spopolano le due utilitarie della Fiat, la 500 e la 600. Il sentimento generale è ben rappresentato da Domenica è sempre domenica, il motivetto che conclude Il Musichiere, la trasmissione televisiva di maggior successo. È anche l'anno delle Olimpiadi di Roma, quelle della corsa trionfale a piedi nudi di Abebe Bikila nella maratona e di Berruti nei 200 metri. Per il cinema italiano è un momento straordinario, in cui escono, tra gli altri: La dolce vita di Fellini, prima accolto da polemiche e poi acclamato a Cannes, Rocco e i suoi fratelli di Visconti e La ciociara di De Sica con l'oscar alla Loren. Ma non solo: è l'anno della trasmissione più importante della storia della Rai, Non è mai troppo tardi, condotta dal maestro Alberto Manzi, l'anno delle prime tribune elettorali, dell'elezione di Kennedy... E Il cielo in una stanza, portato al successo da Mina, è la perfetta colonna sonora di un anno caratterizzato da speranza, ottimismo e gioia di vivere. 1960.
Raccontando la lunga storia dell'odio verso gli ebrei e le sue metamorfosi fin nella contemporaneità, Taguieff delinea un panorama, articolato e documentato, della "giudeofobia", termine che predilige rispetto a quello largamente diffuso, ma a suo parere ambiguo e fuorviante, di "antisemitismo". Dall'antiebraismo religioso cristiano al moderno antisionismo radicale, dalla giudeofobia antireligiosa dell'Illuminismo a quella anticapitalistica e rivoluzionaria del socialismo delle origini, dall'antisemitismo in senso stretto, razziale e nazionalistico, alla "demonizzazione dello Stato d'Israele", l'autore traccia la genealogia e la tipologia di pregiudizi, comportamenti, pratiche, ideologie e modi di pensare che continuano ad alimentare il mito negativo dell'"ebreo".
È diffusa la convinzione che all'origine dei problemi economici di questi anni ci sia una generale mancanza di principi etici, che dovrebbero invece orientare le dinamiche e gli scopi del mercato. Per porre fine al disordine sarebbe quindi sufficiente ripristinare la funzione originaria che, secondo tale visione, esso dovrebbe svolgere: il perseguimento del bene comune. Così esposto, il ragionamento sembra fondato e persino scontato. La realtà è ben diversa. Come dimostra Paolo Del Debbio in questo libro, basta porsi alcune semplici domande per far emergere le molte contraddizioni che si nascondono dietro un'apparente e seducente ovvietà. I disastri finanziari, l'assenza di un accordo sulla gestione dell'emergenza ambientale e di interventi efficaci nella lotta alla povertà sono frutto dei meccanismi perversi del mercato o forse dell'inadeguatezza dei pubblici poteri? A un'attenta osservazione il richiamo all'etica si rivela infatti un alibi per coprire le responsabilità di chi non compie il proprio dovere. Docente di Etica ed economia all'Università Iulm di Milano, Del Debbio costruisce un percorso che, partendo dalle origini della questione etica in economia, conduce all'analisi di alcuni tra i più recenti modelli e argomenti proposti per affrontarla (Stiglitz, Bergoglio, Latouche, Piketty, Deaton). In particolare, l'autore si interroga sulla possibilità di stabilire un'etica dei diritti.
L'acqua che cade dal cielo «fa viaggiare l'anima», ma rende impraticabili i percorsi dei cavalieri erranti, complica le guerre, fa ritardare gli amori; invocata in tempi di siccità, la pioggia provoca anche la paura dell'eccesso, delle alluvioni e dei diluvi. Stendhal la detesta, Baudelaire ne fa una componente dello spleen, i diaristi la intrecciano con le lacrime, i sovrani e i capi di Stato ne fanno un uso politico, rinunciando all'ombrello nelle cerimonie ufficiali per condividere con il popolo anche le avversità È solo alla fine del Settecento che la sensibilità individuale ai fenomeni meteorologici si intensifica; lo sforzo di guardare in alto per cogliere i segni della collera divina o dell'intervento diabolico, associato alle pratiche dell'invocazione religiosa, viene vanificato nel secolo successivo dalla «secolarizzazione del cielo» e poi dalle previsioni meteo. Una lunga storia che Alain Corbin riassume nel libro, con l'avvertenza, sulla scia di Roland Barthes, che «niente è più ideologico del tempo che fa».