Nel 1688 vede la luce a Venezia una rara edizione delle Estasi maddaleniane dal titolo "La Vita e Ratti di S. Maria Maddalena de' Pazzi", oggetto della presente ricerca. Edito da un curatore anonimo, che ha accesso ai manoscritti custoditi nel monastero fiorentino di Santa Maria degli Angeli, luogo di vita della Santa, l'importante volume offre, dopo la biografia di Vincenzo Puccini del 1609, una nuovo e più ampio canone dell'esperienza mistica maddaleniana.
Ripensare un autore come Bonaventura vissuto 800 anni fa non significa soltanto ricostruire dal punto di vista storico-critico le fonti del suo pensiero o le modalità storiche del suo articolarsi in rapporto ai suoi contemporanei medievali, ma renderlo vivente anche per i pensatori contemporanei, perché il pensiero di Bonaventura diventa attuale se lo si mette in relazione con le questioni più urgenti della filosofia contemporanea. In questo volume Emmanuel Falque interroga il Breviloquium di Bonaventura con gli strumenti della fenomenologia husserliana, nella consapevolezza che nel modo francescano di dire Dio egli offra l'opportunità di parlare di Dio senza ridurlo a un oggetto di pensiero, alla causa sui aristotelica che fonda l'intera realtà. La relazionalità originaria di Dio è è considerata dal Falque come il presupposto di un oltrepassamento della metafisica, in cui Dio non sia più soltanto un "oggetto" del pensiero ma diventi la fontalità originaria dell'essere. Chiaro appare dunque il legame del pensiero del Falque con l'interpretazione heideggeriana della metafisica occidentale come onto-teo-logia, ben evidenziato dal curatore dell'opera, Pierfrancesco Stagi, nella sua introduzione.
In una caverna presso Melicuccà di Seminara (RC) gocciola dal soffitto un'acqua ritenuta miracolosa. La grotta fu nel Medioevo sede di un monastero rupestre fondato da sant'Elia lo Speleota. Questo monaco, anzi padre di monaci e taumaturgo (T ca. 960) appartenne alla grecità calabrese, fiorente quando quella regione era parte integrante dell'Impero Romano d'Oriente ed era stata linguisticamente, culturalmente e religiosamente ellenizzata. In quel periodo fu anche sede di un monachesimo pienamente inserito per spiritualità, liturgia e organizzazione nell'ecumene "bizantina". Di questo monachesimo italo-greco restano oggi a malapena dei ruderi, ma in compenso molte sono le testimonianze agiografiche, in notevole parte raccolte nell'archimandritato del Salvatore, fondato in età normanna sulla penisola del faro (in glossa phari) del porto di Messina. Un codice qui scritto nel 1308 è l'unico a riportarci la Vita dello Speleota e una raccolta dei miracoli avvenuti alla sua tomba, scritte in greco prima della fine del X secolo da un monaco del suo monastero. Tale testo viene qui pubblicato in edizione critica con traduzione italiana e un commento storico.
INTRODUZIONE
1. Vita
Nato a Cesarea in Cappadocia tra il 332 e il 335 da Ernmelia e da Basilio il Vecchio, famoso retore di Neocesarea sul Ponto, ebbe come fratelli maggiori S. Basilio Magno e Naucrazio, da lui ricordato nella Vita S. Macrinae, come fratello minore Pietro vescovo di Sebaste e come sorella S. Macrina iunior. La prima istruzione, d'impronta religiosa, deve essergli stata impartita ad Annesi dalla sorella Macrina; a partire dal 348, prosegui i suoi studi a Cesarea, divenendo « lettore », uno dei primi gradini della gerarchia ecclesiastica. Ma fu soprattutto il fratello S. Basilio Magno, da lui chiamato « padre e maestro » ed « unico maestro », ad influire in maniera decisiva sulla sua formazione. Verso il 355 Basilio, non ancora battezzato, tornò a Cesarea da Atene pieno di entusiasmo per la letteratura classica, e seppe infondere quest'amore anche nel fratello Gregorio, rivelandogli il fascino della retorica di Libanio.
Il giovane Gregorio fu cosi attratto dalla cultura e dalla retorica classica e dalla vita secolare, che nel 359 noti ascoltò l'appello rivoltogli da Basilio — convertitosi intorno al 357 — perché abbracciasse anche lui la vita monastica. Poco più tardi, pur continuando ad esercitare la sua attività di « lettore », sposò Teosebia, dalla quale ebbe forse un figlio. Erano quelli gli anni del regno di Giuliano l'Apostata e della reviviscenza della retorica greca operata da Libanio. L'influenza di quest'ultimo si fece sentire sempre di più su Gregorio: nel 365 abbandonò il suo posto di « lettore » per abbracciare la professione di « retore », suscitando il risentimento di Gregorio Nazianzeno. Gregorio non rinunziò però alla sua fede: la sua più grande aspirazione era quella di realizzare una sintesi tra retorica e Cristianesimo, come già aveva fatto suo padre. Nel 371 S.
Basilio Magno, che nel 370 era divenuto vescovo di Cesarea e che aveva ormai sconfessato l'ascetismo eccessivo di Eustazio di Sebaste, incaricò l'ormai famoso retore cristiano di comporre il De virginitate. Verso la fine dello stesso anno — in ogni caso prima che Gregorio Nazianzeno, nella Pasqua del 372, divenisse vescovo di Sasima — fu nominato vescovo di Nissa, una piccola città della Cappadocia orientale, carica che accettò contro voglia.
Gli studi biblici l'avevano attratto e li vedeva in funzione formativa. Poco si è parlato sull'argomento che merita una particolare cura. La Sacra Scrittura è uno dei cardini per conoscere l'opera del Nisseno. Senza la Bibbia che sembra guidare passo passo la crescita spirituale di Gregorio di Nissa si rischia di cadere nelle solite frasi comuni, come se egli fosse solo dedito alla cultura classica.
Più spirito speculativo che uomo di azione, Gregorio difettava di quelle qualità pratiche che erano pur necessarie ad un vescovo in quei tempi difficili. Se ne rendeva perfettamente conto lo stesso Basilio, che in più occasioni — sia prima che dopo la nomina di Gregorio a vescovo di Nissa — ebbe a rimproverargli la sua eccessiva ingenuità e semplicità, e che nel 375, quando Doroteo gli propose d'inviare Gregorio in missione a Roma presso il papa Damaso, disse di non considerarlo adatto a tale compito. Con ogni probabilità, fu proprio per questa ragione che nell'inverno 375-376 il vicario del Ponto Demostene, un sostenitore degli Ariani, ebbe buon gioco nell'accusarlo di avere dilapidato i beni ecclesiastici; Gregorio riuscì a sottrarsi con la fuga all'arresto ed a ritirarsi in un luogo più tranquillo. Nella primavera del 376 un sinodo di vescovi Ariani fedeli all'imperatore Valente che aveva abbracciato l'Arianesimo, lo dichiarò decaduto dalla sua carica di vescovo, mettendo al suo posto una creatura di Demostene. Solo nel 378, dopo la morte dell'imperatore Valente alla battaglia di Adrianopoli (9 agosto 378), Gregorio poté ritornare a Nissa, dove la popolazione gli riserbò un'accoglienza trionfale.
Quando Teresa compie la sua offerta lo fa con poche parole, durante la Messa del 9 giugno 1895, festa della SS. Trinità.
Ma fin da subito ella prevede la diffusione dell'Atto di offerta, comunicandolo prima di tutto alla sorella Celina. Per questo fu necessario per lei redigere un testo scritto, che potesse anche essere sottoposto all'autorizzazione de superiori.
In questo libro, suor Antonella Piccirilli fa commentare l'atto di offerta e di consegna della sua vita all'Amore soprattutto da Teresa stessa, attraverso altri suoi brani, che ci rivelano il cammino che la conduce all' offerta di sé e ampliano o confermano ogni parte del suo atto di Offerta come Vittima di Olocausto all'Amore Misericordioso del buon Dio.
La prima parte del libro è dedicata a come Teresa intende e vive la preghiera.
La seconda parte commenta in dettaglio l'Offerta all'Amore Misericordioso.
Questi Sermoni sono l'unica testimonianza scritta dell'insegnamento del predicatore francescano. Studioso del Nuovo Testamento e dei Padri, Jean Vitrier (1456-1516) propone un rinnovamento spirituale dell'individuo che trova realizzazione in una vita comunitaria ispirata al modello evangelico. Profondo ed erudito, Vitrier ha ereditato i principi spirituali dell'Osservanza francescana, sviluppandoli in dialogo con le riflessioni nell'ambito dell'Umanesimo cristiano. Questi otto sermoni seguono il ciclo liturgico della Pasqua e permettono di cogliere appieno il cuore del suo pensiero spirituale. Per la forza del suo carisma spirituale, Vitrier è stato ricordato particolarmente nella Lettera 1211 di Erasmo, definita anche Vita di Jean Vitrier e qui riportata in appendice.
Apparecchio alla morte, un classico della spiritualità, non è un libro sulla fine, ma un manuale per vivere pienamente!
Tra i movimenti filosofico-religiosi che caratterizzarono la civiltà greco-latina dell'età imperiale, e quindi il Medioevo e il Rinascimento occidentali, una particolare attenzione ricevette un complesso di dottrine risalenti al II - III secolo d.C. e contenenti l'insegnamento di un sapiente egiziano, che aveva il nome di Ermete Trismegisto. Si trattava di una filosofia religiosa originata nell'Egitto del III-I secolo a.C, che conservava elementi della tradizione religiosa egiziana più antica, e ben presto tradotta in greco. Inizialmente non oggetto di particolare attenzione da parte della cultura pagana, invece questi testi anonimi furono accolti dal cristianesimo nella sua diffusione nel mondo antico: l'insegnamento di Ermete fu considerato come una conferma della rivelazione di Cristo, e successivamente, la rivelazione (segreta) di Ermete Trismegisto fu considerata non più una conferma, ma un antichissimo preannuncio di quella cristiana, dando origine ad una proliferazione di testi ermetici 'tecnici' (cioè magici, astrologici, alchemici etc.) e testi 'filosofici' che furono a lui attribuiti. È questa una storia dell'ermetismo come filosofia religiosa che fece parte a buon diritto della cultura occidentale almeno fino al sedicesimo secolo, allorquando cominciarono a sorgere alcune voci di scetticismo nei confronti della genuinità egiziana, che non spensero del tutto l'aura di esotica religiosità e l'ansia di riscoperta del mondo antico propri del Medio Evo e del Rinascimento.
La ricerca svolta da Luke Johnson mira a illustrare come la tradizione secolare della polemica cristiana antipagana, che relega nel demoniaco le pratiche religiose dei propri vicini, non sortisce altro effetto che mettere in ombra lo stato effettivo delle cose non solo nelle diverse religioni, ma nel cristianesimo stesso. In quest'ultimo i modi d'essere religiosi in passato e oggi sono nella sostanza i medesimi di quelli che s'incontrano nella prima «religione universale» con cui i cristiani entrarono in contatto ed ebbero a confrontarsi: il paganesimo dell'impero romano, con il quale condivisero sensibilità, usanze, istituzioni e anche linguaggio. Il secondo volume dell'opera - dedicato al secondo e terzo secolo - si chiude con ricchi indici (delle fonti, degli autori moderni e analitico).
In occasione del diciassettesimo centenario del Concilio di Nicea del 325, il volume esplora il Simbolo niceno e la sua eredità secondo due direzioni principali: la prima riguarda gli aspetti liturgici e catechetici del Simbolo nei commenti latini dei Padri della Chiesa tra IV e V secolo; la seconda è incentrata sulla ricezione moderna del Simbolo, con un'attenzione particolare nei confronti del ruolo svolto dai gesuiti nella diffusione del Credo e degli altri simboli di fede (apostolico tra tutti), nei secoli XVI-XIX, in alcuni contesti extra-europei in cui si svolse la catechesi missionaria dei gesuiti. La specificità di questo tema di ricerca e delle discipline coinvolte ha consentito di massimizzare i vantaggi della multidisciplinarietà, esibendo una profonda sinergia tra i diversi contributi offerti nel volume e consentendo di comprendere come la formula del Credo sia stata modellata in diversi contesti e di come, a sua volta, essa stessa abbia plasmato quei contesti.
Giovanni da Capestrano dedicò la sua esperienza religiosa al progetto di restaurare il "regimen christianorum" a partire dal ristretto territorio degli Abruzzi, che nel '400 era situato ai confini settentrionali del Regno di Napoli, fino ai confini più lontani dell'Europa centrale. Per realizzare tale progetto Giovanni da Capestrano pose al servizio della monarchia pontificia la sua incessante attività di predicatore e scrittore e soprattutto la sua straordinaria formazione giuridica frutto della frequentazione dello Studio perugino sotto la guida del maestro Pietro degli Ubaldi. (dall'introduzione di Andrea Bartocci)
Il libro raccoglie i contributi di Marco Bartoli, Roberto Lambertini, Luca Loschiavo, Jadranka Neralic, Letizia Pellegrini, Diego Guaglioni, Filippo Sedda e del curatore Andrea Bartocci presentati in occasione della Giornata internazionale di Studio tenutasi a Teramo il 17 Aprile 2013
Secondo Michel de Certeau, nel riportare alla luce il passato, la scrittura storica lo seppellisce: gli costruisce una tomba, "nel duplice senso che, attraverso lo stesso testo, onora ed elimina. Il linguaggio ha qui la funzione di introdurre nel dire quello che non si fa più".
Questa raccolta di dodici studi, comparsi nell'arco di quasi quarant'anni, vorrebbe a suo modo onorare figure e e storie lontane: leader carismatici, intellettuali brillanti, polemisti abili e coraggiosi che si sforzarono di creare un'identità originale e una legittimazione teorica per gli Spirituali visti come eredi autentici (figli legittimi) di Francesco. Non solo le polemiche sulla povertà volontaria e sul suo lessico, ma anche concezioni apocalittiche e profetiche, costruzioni storiografiche e agiografiche, traduzioni e riprese di antichi patrimoni ascetici e spirituali greco-orientali, tutto fu pensato in vista della creazione di un modo nuovo e autonomo di conservare e vivere intatto il messaggio di frate Francesco.