Nella vita di ogni lettore ci sono scrittori che occupano un posto speciale: spesso scoperti attraverso letture giovanili, diventano compagni di vita, sorgenti alle quali tornare nel tempo, scoprendovi ogni volta qualcosa di nuovo. Fëdor Dostoevskij rappresenta tutto questo per Julia Kristeva. Fin dai suoi primi studi la filosofa ha insistito sulla presenza, talvolta manifesta, spesso inconsapevole, delle voci degli altri all'interno della propria voce: la lingua non è mai neutra o pura, è resa più ricca dalla stratificazione di significati che altri prima di noi le hanno attribuito. Attraverso decenni di letture sedimentate Kristeva ha imparato a riconoscere la voce di Dostoevskij, e a sentirla risuonare dentro di sé. Il suo essere rivoluzionario, la sua esperienza nelle carceri della Siberia, il suo amore per la Russia e la sua fede tormentata e mai dogmatica la attraggono irresistibilmente, ma a stregarla è soprattutto il suo essere il romanziere del carnevale umano, capace di comprendere che l'oscurità infernale non riguarda solo l'animo di chi vive ai margini, ma è un elemento costitutivo della condizione umana.
Vengono riconosciute due nervature profonde che attraversano tutto il percorso narrativo dell'opera, conferendole uno spessore e un valore semantico passati finora del tutto inosservati: da un lato un nascosto lacerante conflitto ideologico con Guido Cavalvanti, che, esploso dopo la dedica a lui della Vita nuova, effetto di quella dedica, trova il suo esito poi nella Commedia; dall'altro una velata ma progressivamente scoperta ambizione di dare all'opera una valenza per cui essa sia non soltanto il messaggio, pur altissimo, di un poeta, ma il contributo di un uomo di fede che, sostenuto dalla grazia di Dio, intenda adempiere a una missione di salvezza dell'umanità. Perciò l'appello al «sacrato poema», il «poema sacro, / al quale ha posto mano e cielo e terra», che potrà meritargli «l'amato alloro», l'incoronazione poetica, convalida e sigillo del felice compimento della sua "missione".
«A rigor di lessico, io non sono un dantista... un dantista è per definizione uno studioso, e io sono tuttalpiù uno studente: un molto attempato studente che campa scrivendo, e da ultimo leggendo forte quello che ha scritto.» Vittorio Sermonti ha dedicato una vita intera alla diffusione della Commedia, portandone i versi in radio, in televisione, nelle piazze: la sua è stata la prima ed è rimasta la più autorevole e appassionante delle letture. Questo libro raccoglie per la prima volta sette conferenze e lezioni che Sermonti ha proposto nel corso del suo ostinato e fedele percorso di studio e approfondimento: da un viaggio sonoro attraverso il Purgatorio a una magistrale analisi del Dante scienziato fino alla conferenza del 2011 dove al poeta sono affiancati Virgilio e Verdi in una scintillante analisi delle premesse della nostra antichissima lingua. Prende così forma davanti ai nostri occhi non il Dante della scuola o della tradizione, ma il Dante di Sermonti: dell'uomo che - come dice la moglie Ludovica Ripa di Meana nella breve nota introduttiva - «con scrittura e voce ha provato a contagiare, di almeno un po' di tanta grandezza e bellezza, ogni singolo altro per stanare, come diceva ogni volta, anche dal più sfaticato, il più indigente, il più ridicolo, il più canaglia o il più coglione, la misura di grandezza che quell'ognuno può avere, ma non sa di avere».
Quali immagini ha visto Dante? Su quali di esse si è soffermato a pensare? Che ruolo hanno avuto nella scrittura della Commedia? In questo volume, Laura Pasquini ci guida come in un ideale viaggio (Firenze, Roma, Padova, Ravenna, Venezia) attraverso le opere che hanno agito sulla principale creazione dantesca. Mosaici, affreschi, sculture, di cui Dante non parla direttamente, ma che di certo hanno catturato la sua attenzione, finendo per concorrere in vario modo alla costruzione dell'immagine poetica. Talvolta presenza emersa dalla memoria, talvolta riconoscibile spunto figurativo consapevolmente amplificato. Ne risulta un libro fitto di richiami testuali e di prospettive inedite su quello che dovette essere l'immaginario dell'Alighieri; un libro ricco di suggestioni e di scoperte affascinanti (in particolare sul suo soggiorno romano in occasione del Giubileo del 1300) corredato di un denso e prezioso apparato iconografico.
Forse non lo sapete, ma il piccolo oggetto che avete in mano - così maneggevole, chiaramente stampato, dai caratteri eleganti, corredato da un frontespizio e da un indice - deve quasi tutto al genio di Aldo Manuzio, che cinque secoli fa ha rivoluzionato il modo di realizzare i libri e ha reso possibile il piacere di leggere. Benvenuti nel mondo del primo editore della storia.
Raymond Carver è un grande scrittore. Le ragioni del suo successo vivono nello spazio di tensione di una vita, fatta di «caldo sangue e nervi», come scriveva Cechov, autore tra i più amati dallo scrittore americano. Con Carver la realtà quotidiana non è solo la scena, il luogo dove si svolgono le vicende, ma è il protagonista autentico delle storie. Il profilo di Carver preparato da Antonio Spadaro è uno strumento ideale per comprendere l'inquietudine metafisica dello scrittore statunitense, il senso profondo del suo minimalismo e la forza, per molti versi ancora inesplorata, della sua poesia.
«Quando Edmond Dantès arriva finalmente alla grotta sull'isola di Montecristo ad aprire il baule che contiene il tesoro dell'abate Faria, ecco quel che accade: "Si rialzò e prese una corsa attraverso la caverna con la fremente esaltazione di un uomo che sta per diventare pazzo". Con la Commedia può succedere qualcosa di simile.» A 700 anni dalla morte del Poeta, in apertura dell'anno dantesco 2021, un libro per rivisitare tutta la Commedia come racconto di viaggio. Perché quel poema complicato, erudito e pieno di enigmi è anzitutto "commedia", narrazione popolare, teatro. Per questo i lettori comuni hanno obiettivi diversi dai professori e dai Bignami: loro, come Edmond Dantès, vogliono ficcare le mani nel tesoro, immergersi nella musica, inebriarsi delle immagini.
Cosa significa essere posseduti dalla memoria? Che segno lasciano sulla nostra esistenza i grandi capolavori della letteratura? C'è differenza tra il ricordo di una persona cara e quello di una poesia che ci accompagna sin da quando eravamo bambini? Giunto alla soglia dei novant'anni, Harold Bloom - uno dei grandi critici letterari del nostro tempo - si è interrogato su tutto ciò, ripercorrendo il proprio rapporto con alcuni capisaldi della poesia, del teatro e della prosa universali, in un dialogo interiore che è al tempo stesso diario, saggio letterario e testamento spirituale. Testi letti, riletti e spesso mandati a memoria; le opere che hanno segnato il cammino della nostra civiltà e quelle dei tanti autori che con Bloom hanno intrecciato un rapporto di vicinanza e sincera amicizia. La Cabala, i Salmi, la Bibbia; i tesori consegnati alla storia dal genio immortale di Shakespeare; e ancora Milton, Blake, Wordsworth, Byron, Keats, Tennyson; fino a Whitman, Crane, Stevens... Lontano da ogni accademismo, l'ultimo volume di questo gigante della critica è piuttosto una rêverie, una sorta di fantasticheria su cosa significhi essere posseduti dalla memoria delle proprie letture e dal ricordo di «amici e amanti morti o perduti»: «Quasi tutti i buoni amici della mia generazione se ne sono andati, ma le loro voci risuonano ancora nelle mie orecchie. Sono intessute in ciò che leggo». Bloom ci consegna un testo intimo e personale, nel quale si rincorrono con libertà e freschezza storia privata e letteratura universale. E ci guida, per l'ultima volta, all'incontro con opere fondamentali, il cui senso profondo si lega in modo indissolubile all'esperienza di ciascuno di noi.
Un uomo del Medioevo, immerso nel suo tempo. Questo il Dante che ci racconta un grande storico in pagine di vivida bellezza. Dante è l’uomo su cui, per la fama che lo accompagnava già in vita, sappiamo forse più cose che su qualunque altro uomo di quell’epoca, e che ci ha lasciato la sua testimonianza personale su cosa significava, allora, essere un giovane uomo innamorato o cosa si provava quando si saliva a cavallo per andare in battaglia. Alessandro Barbero segue Dante nella sua adolescenza di figlio d’un usuraio che sogna di appartenere al mondo dei nobili e dei letterati; nei corridoi oscuri della politica, dove gli ideali si infrangono davanti alla realtà meschina degli odi di partito e della corruzione dilagante; nei vagabondaggi dell’esiliato che scopre l’incredibile varietà dell’Italia del Trecento, fra metropoli commerciali e corti cavalleresche. Il libro affronta anche le lacune e i silenzi che rendono incerta la ricostruzione di interi periodi della vita di Dante, presentando gli argomenti pro e contro le diverse ipotesi e permettendo a chi legge di farsi una propria idea, come quando il lettore di un romanzo giallo è invitato a gareggiare con il detective e arrivare per proprio conto a una conclusione.
A sette secoli dalla sua morte Dante sorprende ancora per l'originalità e la complessità della sua opera, né cessa di attirare lettori e studiosi. Le sue opere, che si affermano e rimangono come straordinari unica nella nostra tradizione culturale, rifondono in una dimensione al tempo stesso autobiografica e universale certezze e contraddizioni dell'uomo medievale. Ma la ragione prima del fascino e della perdurante attualità dell'invenzione dantesca sta nella sua prodigiosa capacità di trascendere tale alterità e imporsi nella coscienza del lettore di ogni tempo. Scritti da alcuni dei massimi specialisti nell'ambito della filologia e della critica dantesca, i saggi compresi nel volume presentano sia una lettura incisiva e autorevole di ognuna delle opere di Dante, dalle Rime alla Commedia, sia un attraversamento critico delle principali questioni e delle tradizioni culturali che ne sono a fondamento. Nell'insieme il volume disegna quindi, e rende accessibile a tutti i lettori, un quadro ampio e rigoroso dei migliori risultati degli attuali studi danteschi.
Dante è il poeta che inventò l'Italia. Non ci ha dato soltanto una lingua; ci ha dato soprattutto un'idea di noi stessi e del nostro Paese: il «bel Paese» dove si dice «sì». Una terra unita dalla cultura e dalla bellezza, destinata a un ruolo universale: perché raccoglie l'eredità dell'Impero romano e del mondo classico; ed è la culla della cristianità e dell'umanesimo. L'Italia non nasce da una guerra o dalla diplomazia; nasce dai versi di Dante. Non solo. Dante è il poeta delle donne. È solo grazie alla donna - scrive - se la specie umana supera qualsiasi cosa contenuta nel cerchio della luna, vale a dire sulla Terra. La donna è il capolavoro di Dio, la meraviglia del creato; e Beatrice, la donna amata, per Dante è la meraviglia delle meraviglie. Sarà lei a condurlo alla salvezza. Ma il poeta ha parole straordinarie anche per le donne infelicemente innamorate, e per le vite spente dalla violenza degli uomini: come quella di Francesca da Rimini. Aldo Cazzullo ha scritto il romanzo della Divina Commedia. Ha ricostruito parola per parola il viaggio di Dante nell'Inferno. Gli incontri più noti, da Ulisse al conte Ugolino. E i tanti personaggi maledetti ma grandiosi che abbiamo dimenticato: la fierezza di Farinata degli Uberti, la bestialità di Vanni Fucci, la saggezza di Brunetto Latini, la malvagità di Filippo Argenti. Nello stesso tempo, Cazzullo racconta - con frequenti incursioni nella storia e nell'attualità - l'altro viaggio di Dante: quello in Italia. Nella Divina Commedia sono descritti il lago di Garda, Scilla e Cariddi, le terre perdute dell'Istria e della Dalmazia, l'Arsenale di Venezia, le acque di Mantova, la «fortunata terra di Puglia», la bellezza e gli scandali di Roma, Genova, Firenze e delle altre città toscane. Dante è severo con i compatrioti. Denuncia i politici corrotti, i Papi simoniaci, i banchieri ladri, gli usurai, e tutti coloro che antepongono l'interesse privato a quello pubblico. Ma nello stesso tempo esalta la nostra umanità e la nostra capacità di resistere e rinascere dopo le sventure, le guerre, le epidemie; sino a «riveder le stelle». Un libro sul più grande poeta nella storia dell'umanità, a settecento anni dalla sua morte, e sulla nascita della nostra identità nazionale; per essere consapevoli di chi siamo e di quanto valiamo.
Un'indagine sull'indagatore più famoso di tutti i tempi: questo libro informatissimo ci mette sulle tracce di Sherlock Holmes con garbo e con dovizia di particolari (di «indizi», per dirla con parole sue). È un viaggio nel mondo creato da Arthur Conan Doyle alla scoperta di un personaggio più vivo che mai, continuamente rivisitato dal cinema e dalla letteratura, il più grande investigatore di tutti i tempi che da 130 anni continua a risolvere nuovi casi; ma è anche la biografia di un uomo che avrebbe voluto ottenere la fama e la gloria per mezzo dei romanzi storici, e che invece finì involontariamente per reinventare e rendere opera d'arte il romanzo giallo. Scopriremo i legami con il metodo diagnostico dei medici, il fatto che Conan Doyle un po' ce l'aveva con Holmes, la profondità di ragioni e di idee, ma anche di turbamenti, che si nascondono sotto l'apparente levità di quelle storie avvincenti. E alla fine si capisce che in gioco c'è niente di meno del problema del male e di come affrontarlo, e che i gialli, almeno «questi» gialli, sono una metafora della condizione umana.