La quarta rivoluzione industriale è già qui. L'innovazione tecnologica e la velocità sempre maggiore con cui si verifica il cambiamento comportano una trasformazione radicale del nostro mondo conosciuto. Robotica avanzata, Intelligenza artificiale, big data, blockchain sono solo alcuni dei fattori che, combinati e integrati tra loro, stanno incidendo sulla sfera del lavoro, sulla società nel suo complesso, sulla vita quotidiana di ognuno di noi. Come reagire? Non certo, sostiene Marco Bentivogli, col catastrofismo dei tecnofobi, di chi predica che «le macchine» semplicemente cancelleranno occupazione e che l'innovazione debba essere fermata. Serve, al contrario, un cambio di paradigma, di prospettiva e di senso; è necessario «anticipare, pensare e progettare la trasformazione», fare in modo che il nuovo che nasce compensi e superi ciò che muore. È possibile, e dove si sono prese le giuste misure si è riusciti a portare crescita economica, benessere, e a far aumentare l'occupazione, migliorare la qualità del lavoro e la sostenibilità ambientale dei modelli produttivi. L'industria 4.0, di cui questo libro offre una guida pratica, è un'occasione che un Paese come l'Italia non può e non deve lasciarsi sfuggire. Occorre ripartire, e subito, da un approccio competente e positivo all'innovazione tecnologica, da un rilancio dell'istruzione scolastica e della formazione in ambiente di lavoro; da nuovi corpi intermedi, come il sindacato «smart», che sappiano guidare e orientare il mutamento in corso. Le forze politiche, in particolare quelle che si dichiarano progressiste, hanno il dovere di abbandonare il velleitarismo di chi vuole «fermare il progresso con le mani», di guarire dalla miopia e dall'afonia con cui partecipano al discorso pubblico, di parlare di futuro delle persone e non di paure. È l'unica strada percorribile per interrompere il degrado civile del Paese e sconfiggere le ricette populiste.
L'autore. studioso e coraggioso anticonformista, analizza in termini culturali e filosofici il percorso tortuoso e complesso dell'Italia unita dal particolare punto di vista dello Statao nazionale. Un compendio di storia italiana dal 1861 a oggi.
Nel celebre dipinto La ronda dei carcerati Van Gogh ha rappresentato i detenuti che girano in tondo in un cortile stretto e angusto sotto l’osservanza austera di tre funzionari carcerari.
Il loro girare a vuoto a testa china è senza senso e senza tempo.
Quand’era direttore di carcere, Pietro Buffa teneva appeso alla sua parete questo quadro come monito di ciò che il carcere non dovrebbe mai essere e come invito a ricercare le piccole e grandi cose quotidiane che possono rendere più umana la vita dei detenuti.
Alcuni episodi, sempre legati a volti, si sono impressi nella memoria dell’autore per il loro particolare impatto emotivo. «Ora, finalmente e per certi versi inaspettatamente, sono un libro che consegno a chiunque dia importanza alle emozioni che la sofferenza e la costrizione penale, con tutte le sue contraddizioni, comportano per tutti coloro che vivono o lavorano in un carcere».
«Pietro Buffa è sicuramente uno dei maggiori conoscitori del “sistema carcere”. Conosce i meccanismi gestionali, li governa e li dirige, ma non ha mai smesso di mettere al centro dei suoi pensieri le persone, siano esse detenuti, operatori sociali, agenti penitenziari o volontari. Queste figure le ritroverete sparse in quello o in quell’altro racconto, e tutte insieme, in maniera corale, vi condurranno in modo originale in un viaggio dentro alla realtà penitenziaria italiana».
Dalla prefazione di Paolo Bellotti
Il volume racconta la storia di ciascuno di noi: da quando lo spermatozoo feconda l’ovulo fino al momento in cui, ormai esseri umani, veniamo spinti fuori dal ventre materno pronti a scoprire il mondo. Come ciò avvenga ce lo spiega Katharine Vestre, grazie anche alle divertenti illustrazioni di cui il libro è ricco. Tra storia della scienza e divulgazione medica, con la sua prosa narrativa accattivante e precisa la giovane biologa racconta curiosità del mondo animale e svela il miracolo da cui tutti noi proveniamo.
«Dall'Italia agli Stati Uniti, dalla Russia a molti Paesi europei, i muri si moltiplicano e i ponti crollano, i porti si chiudono davanti ai profughi e le dogane tornano in auge, la democrazia liberale che doveva estendersi su tutto il globo si ritrae a vista d'occhio: il nostro fallimento è grandioso. Noi, intellettuali progressisti, militanti umanisti, fautori della società aperta, difensori dei diritti umani e cittadini cosmopoliti, siamo incapaci di arginare l'ondata nazionalista e autoritaria che si abbatte sulle nostre società. Avevamo la religione del progresso, ma il riscaldamento globale prepara la peggiore delle recessioni. L'insurrezione populista e il disastro ecologico in corso dimostrano che la logica neoliberale ci porta all'abisso. Per non perdere tutto, dobbiamo uscire dall'individualismo e dall'egocentrismo. Se le generazioni passate hanno vissuto in un mondo saturo di dogmi e di miti, noi siamo nati in una società vuota di senso. La loro missione era spezzare le catene, la nostra sarà ricucire i legami e reinventarci una comunità. Esistono strade per uscire dall'impasse. Sapremo seguirle?» Da un intellettuale di riferimento, una riflessione profonda e quanto mai necessaria sulla perdita di senso e di appartenenza della nostra società che, dopo aver smantellato gli storici riferimenti collettivi, è preda del vuoto e dell'ansia. Ma una via di uscita dalla solitudine e dall'individualismo è necessaria e possibile.
La vendetta è un circolo vizioso.
Supponiamo che qualcuno mi uccida. Cosa ci guadagnerei se un altro venisse, ucciso per rappresaglia? Basta pensarci solo un attimo: chi può uccidere Gandhi se non Gandhi stesso? Nessuno può distruggere un'anima. Lasciamo dunque fuori dal nostro cuore ogni pensiero di vendetta.
Non la vendetta, ma il perdono è la via della pace.
La regola d'oro è di essere amici di tutto il mondo e di considerare l'umanità intera come una famiglia. Colui che distingue tra la propria famiglia e quella di un altro, diseduca i membri della sua famiglia e apre la strada alla discordia e alla irreligiosità.
Nonviolenza significa perdonare le offese e non ripagare con la stessa moneta. «Il perdono è l'ornamento dei forti» dice un proverbio in sanscrito.
Un viaggio tra storia, letteratura e spiritualità nei luoghi in cui si è forgiata la nostra memoria collettiva, una mappa interiore alla ricerca di ciò che sta cambiando nel nostro continente e mette in crisi la stessa idea di Europa. Da Patmos a Salamanca, da Praga a Parigi, Lisbona, Berlino, Londra, Copenaghen fino al Cammino di Santiago, Pietro Pisarra, giornalista e sociologo, scatta le sue istantanee di eventi lontani e di drammi recenti. E si profila il volto dei testimoni che hanno segnato il secolo scorso: Miguel de Unamuno, Etty Hillesum, Dietrich Bonhoeffer. Un viaggio tra capitali e luoghi periferici dove la geografia provoca la storia. Dove sono ancora visibili le cicatrici delle tragedie di ieri. E dove, per contrasto e tra mille difficoltà, si concretizza la realistica utopia di un'Europa unita, pacifica, senza le guerre che ne hanno funestato la storia.
«Ho deciso di scrivere. Proprio a te, coinvolto nella ubriacatura razzista che attraversa il Paese. Una ubriacatura a cui partecipi forse per convinzione o forse solo per l'influenza di un contesto in cui prevalgono le parole di troppi cattivi maestri e predicatori d'odio, che tentano di coprire così l'incapacità di chi ci governa (e ci ha governati) di assicurare a tutti, compresi i più poveri, condizioni di vita accettabili. Non mi sento, comodamente e presuntuosamente, dalla parte giusta. La parte giusta non è un luogo dove stare; è, piuttosto, un orizzonte da raggiungere. Insieme. Ma nella chiarezza e nel rispetto delle persone. Non mostrando i muscoli e accanendosi contro la fragilità degli altri. Così don Luigi Ciotti apre questa lettera a un razzista del terzo millennio. Una lettera dura e, insieme, accorata. Perché il rancore non prevalga, travolgendo tutti.»
"L'autore offre al lettore due saggi di natura storica sul Sessantotto, con un approfondimento sulla vicenda della «città-stato» di Fiume. L'elemento che accomuna i due testi è il tema della «Rivoluzione» e della «Contro-Rivoluzione», che l'autore mutua da Plinio Corréa de Oliveira. Formicola tratta del Sessantotto e di Fiume con abbondanza di riferimenti e con spessore di riflessione. Fra i maestri che ispirano le sue valutazioni vi è Eric Voegelin. Non mancano numerosi richiami ad altri autori, cattolici e non, come pure al Magistero della Chiesa. Questi scritti di Giovanni Formicola provocano una riposta, che potrà essere di adesione o di rifiuto, di accettazione o di critica; tuttavia, di certo non possono essere ritenuti insignificanti, né improduttivi. Essi invocano una presa di posizione e, di conseguenza, un impegno personale. Per quanto riguarda il Sessantotto, Formicola vi vede la «cifra» storica del tragico realizzarsi dello spirito rivoluzionario nel XX secolo." (dalla Prefazione di don Mauro Gagliardi). Epperò non chiude alla speranza, non solo teologale. Gli effetti di certe premesse ideologiche ormai sono vita vissuta, ed è difficile che l'uomo voglia perseverare ancora a lungo tra le macerie di un mondo senza e contro Dio.
L'ebraico è una lingua piena di sorprese: nella Bibbia è la lingua con cui il Dio della Genesi ha creato la luce, e con cui Adamo ha dato nomi a piante e animali del nostro pianeta. È la lingua ufficiale di uno stato e la lingua santa di una religione. È la più antica lingua al mondo a essere utilizzata in maniera pressoché identica da millenni, e attraverso liturgie e traduzioni è penetrata in molte parlate europee, italiano compreso. È la protagonista di una storia affascinante e avventurosa: per molti secoli infatti, si è comportata come una vera e propria lingua morta, ben padroneggiata da rabbini e intellettuali ma soppiantata soprattutto dallo yiddish e dal tedesco nei contesti profani. Ma tante circostanze storiche l'hanno poi riportata in vita e alla ribalta della storia. Anna Linda Callow ci inizia alla lettura di un alfabeto affascinante e misterioso, ci fa compiere intriganti scorribande tra splendide pagine di letteratura, e ci fa viaggiare nel tempo e nello spazio immergendoci in una cultura affascinante in cui tutti noi affondiamo le radici.
La politica nel nostro Paese è piena di odio e colpi bassi, ma tutti riconosciamo nell'Italia la nostra identità comune. Dobbiamo accettare che lo stesso valga per l'Europa, perché è la nostra realtà del ventunesimo secolo. Rendere tabù qualunque dubbio sulle scelte di Bruxelles? come fanno gli europeisti a ogni costo secondo i quali noi italiani abbiamo sempre torto e gli altri sempre ragione, non ha fatto che regalare il monopolio della critica a chi l'Europa vuole distruggerla. E rendere tabù l'amor proprio nazionale ne ha lasciato l'esclusiva a chi lo usa come una clava. Per l'Italia, invece, la scelta non è fra Bruxelles e la via sovranista, ma fra l'integrazione con gli europei e la sottomissione all'impero degli altri: russi, cinesi, americani o i colossi del Big Tech. Per gli italiani è arrivato il momento di capire che se vogliono davvero fare i propri interessi devono imparare a rivendicarli con forza e determinazione, senza che questo significhi in alcun modo indebolire o distruggere il sistema europeo. Per farlo occorre però prima di tutto togliere l'Europa ai sovranisti e agli europeisti di professione, per restituirla ai nostri figli, e a noi stessi. Senza arroganza, né complessi di inferiorità. "Per amor proprio" è un saggio sulla crisi d'identità di noi italiani e il bisogno di ritrovare il senso del nostro posto in Europa.
«La prima cosa che mi viene da pensare quando sto per entrare in scena è che anche quella sera mi capiterà di dire cose importanti, profonde, a volte spiritose, a volte drammatiche, raramente banali. E questo è un privilegio enorme. Sottrarre due ore del nostro tempo all’ovvietà delle parole quotidiane per dire parole scritte da altri è una cosa impagabile. Che ladro è l’attore, e nello stesso tempo che benefattore!»
Un grande attore italiano racconta la propria storia: gli incontri indimenticabili, i colpi di fortuna, le delusioni, le difficoltà che precedono i grandi successi. Sul palco come nella vita.