Il testo contiene la traduzione italiana, con introduzione e note di commento, della lettera-trattato “De videndo Deo” di Agostino di Ippona (la n. 147 dell’epistolario). La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di riferimento, curata da Alois Goldbacher nella collana del Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum (vol. 44, pp. 274-331). I temi principali affrontati nel testo di Agostino sono: la diversa autorità delle Scritture, dei vescovi e dei teologi; la differenza tra credere e vedere e il rapporto di entrambi questi atti con il sapere; il confronto tra la visione angelica di Dio, la visione dei beati nella vita futura e le apparizioni di Dio ai patriarchi; la superiorità della vista mentale su quella fisica.
Il primo volume della serie sul Credo Niceno-costantinopolitano unità di base dell'insegnamento cristiano definito e commentato dai Padri della Chiesa. Collezione in cinque volumi di definizioni dottrinali dei Padri della Chiesa organizzate intorno alle frasi-chiave del Credo Niceno-Costantinopolitano. Il primo volume della collana accosta il primo articolo del Credo, cioè la fede in un solo Dio, Padre, Onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Punti forti del testo L'accurata traduzione rende il testo fruibile al lettore interessato e in tutti gli ambiti accademici, sia laici sia a vario titolo confessonali. Un'opera unica che offre un agevole reperimento delle fonti importanti della teologia antica per uno studio serio sia di natura storica che teologica.
Tommaso si colloca dal punto di vista della ragione che vuole comprendere la realtà delle cose, riportandole alla loro radice. I suoi testi non sono animati dalla vena lirica di Agostino, non hanno il pathos cristiano e umilissimo di Anselmo. Il suo discorso su Dio non vuole essere edificante, e non mira a scuotere gli animi o a persuadere. Assume, invece, e fa propria fino in fondo la fatica dell'interrogare, questa forma di «pietà del pensiero » nei confronti di se stessi, delle ragioni del proprio esistere, e nei confronti degli altri. Si tratta di un'esigenza che il credente per primo dovrebbe avvertire, se è vero (come è vero per Tommaso) che l'esistenza di Dio non è un articolo di fede ma un preambolo della fede. Diversamente la fede sarebbe condannata a essere un assenso cieco, senza ragioni, fondato sul senso comune o sulla forza spontanea e immediata delle emozioni.
«Beati i puri di cuore perché essi vedranno dio» (Mt 5,8), dice Gesù. Ma che significa? Evagrio, un cristiano originario del Ponto (ora Turchia settentrionale) che vive nella seconda metà del IV secolo della nostra era, è fra coloro che prendono sul serio questo monito. Perché possa realizzarsi servono due azioni, coordinate l'una all'altra: allontanarsi dal consorzio umano e raggiungere l'impassibilità (apatheia), ossia l'interruzione delle affezioni. Questo è possibile solo affrancando l'essere umano dal vortice dei pensieri, delle parole e delle opere proprie del mondo. Il raggiungimento di questa condizione, con la descrizione di tutte le difficoltà da superare e i passaggi da seguire, è l'oggetto degli scritti di Evagrio, volti a mostrare in modo patente all'"uomo di mondo" (kosmikos) la necessità di lasciarsi alle spalle la consueta forma di vita. Solo affidandosi a un nuovo protocollo esistenziale è possibile giungere alla comprensione antropologica dell'animale umano e alla purità di cuore. Questo è il compito del monachos, ossia del cristiano capace di servirsi della therapeia che permette all'essere umano di vedere con occhi nuovi (ossia conoscere) se stesso, l'ambiente nel quale è posizionato e, alla fine, dio.
Come è stato interpretato e utilizzato il grido d'abbandono del Crocifisso che si legge in Mc 15,34/Mt 27,46 da parte dei Padri della Chiesa? L'autore offre un percorso da Giustino fino ai Padri del V secolo inclusi. In concreto essi si riferiscono sempre a Mt 27,46, ciò che conferma il poco interesse al vangelo secondo Marco. A questo grido è legato anche la sentenza di Dt 21,23 "maledetto di Dio l'appeso al legno", di cui bisogna tenere conto. La ricerca termina con un bilancio che sintetizza l'insieme, presentando un quadro della ricerca esegetica attuale sull'argomento.
Fino al IV secolo la filosofia non si era fermata su quella che è l'esistenza personale: partita esaminando l'esterno, la natura, le cose, in seguito aveva elaborato un duplicato del mondo sensibile con un altro mondo, che di quello sensibile era l'archetipo e il modello. Senza dubbio, i dotti e i sofisti si erano occupati pure del problema umano; ma non avevano notato che il mondo interiore differisce da quello esterno in maniera essenziale, e lo avevano descritto desumendo la terminologia dal mondo della natura o da quello dell'astrazione. Quando sorsero le polemiche sulla Trinità e sul Logos incarnato, si dovette tradurre la fede degli apostoli con il linguaggio dei Greci, che era diventato il linguaggio della gente istruita, e si dovettero attribuire significati nuovi a sostanza, ipostasi, natura, persona, relazione. In tale contesto si sviluppa il pensiero di Gregorio di Nissa, che diede alla relazione il significato interiore che oggi anche noi vi attribuiamo. Insieme all'approfondimento del significato dei nomi divini di Padre, Figlio e Spirito, e quindi delle relazioni immanenti alla natura divina, egli diede significato alla dimensione interiore dell'essere umano creato a immagine di Dio: come in Dio vi sono relazioni eterne e immutabili, così nell'uomo e nella donna le relazioni acquistano la prospettiva di una dimensione che li muta interiormente, li nobilita o li appesantisce, li manipola o li divinizza. Lo studio qui presentato offre una disanima delle correlazioni presenti nel padre cappadoce tra lo sviluppo della teologia trinitaria e l'analisi dell'interiorità umana, fino a identificare un prima e un dopo rispetto alla scoperta dell'amore eterno che unisce e distingue il Padre e il Figlio nell'essenza dell'unico Dio, fino alla formulazione di un'antropologia trinitaria.
Opera capitale del pensiero occidentale, il "De civitate Dei" di Agostino è stato scritto tra 413 e 426 d.C, per difendere il cristianesimo contro il paganesimo e per indicare la via della salvezza dell'uomo. Questo cofanetto presenta per la prima volta un monumento della fede e della filosofia in formato tascabile di altissimo livello scientifico. Tradotto e commentato da uno dei massimi studiosi di Agostino, il teologo gesuita Domenico Marafioti, il testo si presenta particolarmente adatto per un pubblico universitario ma non necessariamente di soli specialisti.
Questo volume raccoglie due perle di spiritualità del Medioevo. Figura esemplare di monaco e teologo degli inizi dell'ordine cistercense, Guglielmo di Saint-Thierry continua a mostrare con efficacia anche al lettore contemporaneo i segreti per accedere alla contemplazione di Dio. Questo tema, centrale nella sua vita e nella sua opera, è ripreso e sviluppato anche nella Lettera d'oro indirizzata a una comunità di monaci a lui legata, sul finire del suo pellegrinaggio terreno. Un testamento spirituale in cui il grande mistico trasmette il bilancio e il lascito di uomo e consacrato.
Alcune donne e alcuni uomini, vissuti dalle origini del cristianesimo all'epoca contemporanea, sono stati dichiarati dottori della Chiesa dai papi, dalla fine del sec. XIII ad oggi. Se ne contano trentasette, metà dei quali sono padri della Chiesa che hanno operato entro il sec. VIII. I loro testi continuano ad arricchire il magistero della Chiesa e a nutrire lo spirito di innumerevoli lettori. I dottori della Chiesa con i loro scritti costituiscono un patrimonio che merita di essere condiviso con chiunque voglia conoscere il pensiero cristiano e ricevere insegnamenti spirituali. La peculiarità di questo testo è di presentare tutti i dottori in un unico agile volume, insieme ai padri della Chiesa dei primi secoli.
Considerando la frequenza con cui la nozione di civitas ricorre nell'itinerario intellettuale di Agostino e il ruolo che vi ricopre, appare manifesto che il De civitate Dei non è un'opera semplicemente occasionale, ma piuttosto che risponde ad un preciso progetto teologico e religioso a lungo pensato. Nella visione teologica e religiosa offerta dal De civitate Dei, la vita perde ogni connotazione puramente occasionale e contingente, per svilupparsi secondo un itinerario ben definito e in vista di un fine saldamente stabilito. La traduzione è tratta dall'edizione critica latino italiana dell'Opera Omnia di sant'Agostino pubblicata in Italia da Nuova Biblioteca Agostiniana - Città Nuova.
Uno strumento agile e divulgativo per approfondire la conoscenza di Elisabetta della Trinita, un ottimo esempio pratico di lectio divina, un complemento contemplativo ed esistenziale dell'enciclica di Benedetto XVI sulla carita. Elisabetta della Trinita - di cui ricorre quest'anno il centenario della morte - e universalmente conosciuta come la mistica della presenza di Dio e dell'inabitazione trinitaria. Questo volumetto fa emergere alcuni dei fondamenti essenziali della sua spiritualita: la scoperta e l'esperienza della Trinita come Amore, lo stupore di fronte all'Amore immeritato, eccessivo", del Padre per ogni creatura, la rivelazione in Cristo di questo Amore, l'azione nascosta dello Spirito che radica l'Amore trinitario. "
Il "De opificio Dei" scritto da Lattanzio nel 303 d.C é un trattato di fisiologia umana ma in esso prevale lo scopo apologetico e religioso, in quanto il fine a cui tende l'autore é la dimostrazione della provvidenza divina contro le concezioni materialiste ed evoluzioniste dell'epicureismo.