Nel 1962 Ermanno Olmi rilascia un'intervista in cui dichiara: "Nel mio prossimo film, tratto dai ricordi di Russia di Mario Rigoni Stern, "Il sergente nella neve", non ho nessuna intenzione di fare della critica storica. La verità totale della guerra (perché la guerra è verità, la guerra è morte, e nessuno fa il mistificatore di fronte alla morte) mi servirà per fare il bilancio dei valori umani che considero essenziali. Ogni soldato, ogni alpino, vedrà le cose che contano veramente nella vita e quelle che sono soltanto epidermiche, marginali". Quando pronuncia quelle parole, il giovane regista sta lottando da tre anni per riuscire a realizzare il film che ha in mente da quando ha letto il libro di Rigoni Stern: ha terminato di scrivere insieme a lui la sceneggiatura, ha fatto dei sopralluoghi in Slovenia e in altre località in cerca di ambientazioni e di attori non professionisti, ha provato ad aggirare tutti gli ostacoli creati dalle case di produzione. Quel film non nascerà mai, per molte ragioni di cui dà conto Gian Piero Brunetta nel saggio che chiude questo volume, ma "a distanza di poco meno di cinquant'anni questo manoscritto si presenta ancora, così com'è, come esempio di sceneggiatura perfetta, capace di sfidare il tempo". Una sceneggiatura che può essere letta come un libro a sé stante: che diventa ancora più preziosa se accostata al testo de "Il sergente nella neve".
Il testo propone una lectio divina sulla Lettera ai Filippesi,la prima comunità cristiana fondata da Paolo nel continente europeo e formata da pagani convertiti al cristianesimo. Il legame di vicendevole amore che unisce i Filippesi a Paolo emerge molto bene dalla Lettera che l’Apostolo scrive loro mentre è prigioniero a Efeso o forse a Roma. Egli parla dalla pienezza del cuore, intrecciando liberamente confidenze personali con esortazioni spirituali e profondi insegnamenti. Paradossalmente, la nota dominante di questa «lettera della prigionia» è proprio la gioia spirituale. Significativo infatti è che nel testo relativamente breve della Lettera (solo quattro capitoli) ricorrano ben sedici espressioni esplicite riguardanti la gioia,tutte ancorate all’essenza stessa della vita cristiana,ossia alla fede,alla speranza e alla carità,come pure alla sofferenza abbracciata per amore di Cristo e della Chiesa. I sei agili capitoli in cui si articola la lectio percorrono il tema della gioia nei suoi diversi aspetti: non ci viene proposta una gioia «spensierata», un godimento sensibile, mondano, ma la gioia pura, sovrannaturale, che sgorga dall’amore di Cristo e trasfigura tutti gli eventi dell’esistenza.
AUTRICE Anna Maria Cànopiè abbadessa dell’abbaziabenedettina “Mater Ecclesiae” sull’isola di SanGiulio (Novara). Già conosciuta e apprezzataper la sua collaborazione all’edizione dellaBibbia CEI e alle edizioni ufficiali del Messale edei Lezionari liturgici, è voce autorevole nel-l’ambito della spiritualità biblica, liturgica emonastica. Numerose le sue pubblicazioni di ampio respi-ro ecclesiale. Con Paoline ha pubblicato moltitesti, fra i quali recentemente: La GrandeSettimana(20072),La santa Messa(2008),oltreai dodici volumetti di lectio divinanella collanaCOLTIVARE LA PAROLA.
Preziose pagine liriche, una raccolta antologica, che viene pubblicata postuma, di “alto valore poetico – come scrive nella sua Introduzione Sabino Palumbieri, Ordinario di Antropologia, Università di Roma – che vibra di pathos contagioso in prossimità della fiammata d’amore che ha caratterizzato il suo tramonto-alba”.
In questo pellegrinare l’Autrice ha sempre avuto accanto a sé l’innamorato sposo Giulio. Completano questa raccolta alcune composizioni di Giulio con versi a lei dedicati.
“E sono così scrittura indiretta di Maria, essendone lei l’assoluta ispiratrice, - scrive Giulio - i versi che ho composto nei cinquant’anni, compreso il periodo del fidanzamento, del nostro stupendo, comune cammino”.
"Gli ultimi incantesimi" è una storia di Regine. Una storia di Guerriere. Il loro destino non è scolpito su un muro, ma scandito da una filastrocca che, dai passi di una bambina a quelli di un'altra, attraversa i secoli. Tra tutte le regine la più disperata è quella degli Orchi, disposta a sacrificare non solo la vita, ma l'eternità. La più sola è la Regina del Mondo degli Uomini. La più disarmata è la Regina del popolo deportato dei Nani, condannato a morire nelle miniere, la più improbabile è Masciak la Grassa, la figlia del boia. Signora degli Eserciti. Tutte dovranno imparare a combattere e a vincere, perché il futuro del mondo passa dalla libertà e dalla forza delle madri, passa dal loro diritto inalienabile di scegliere il padre dei loro figli, mostrare il viso, sentire il vento nei capelli, dal loro diritto inalienabile di non essere battute, vendute, comprate, sfruttate, ripudiate, lapidate, bruciate. "Gli ultimi incantesimi" è una storia di eroi involontari, improvvisati, minori, quelli bassi, i brutti, i deboli, i qualsiasi. È un coro di voci piccole. L'eroe più piccolo è un bambino terrorizzato dai mostri che vivono nell'ombra sotto il suo letto". (Silvana De Mari) Età di lettura: da 12 anni.
Questo libro contiene le meditazioni del cardinal Martini su uno dei brani più celebri e controversi del Vangelo: una provocazione che chiama il lettore a compiere un impegnativo e coinvolgente percorso dell'intelligenza e del cuore attraverso io scandalo delle Beatitudini, vero e proprio ribaltamento dei valori mondani. Un invito a riscoprire con nuova freschezza i valori più profondi su cui fondare il vivere personale e sociale, per ritrovare la possibilità di guardare al futuro con una speranza solida, lontana dalla paura o dal lamento sterile come da ogni vacuo ottimismo; per divenire capaci di scelte coraggiose e autentiche, libere da conformismi che assoggettano agli imperativi delle mode correnti.
Carlo Maria Martini, ex arcivescovo di Milano e studioso della Bibbia di fama mondiale, e Georg Sporschill, gesuita austriaco, che vive insieme ai bambini di strada in Romania e in Moldavia, si sono conosciuti durante un soggiorno a Gerusalemme e sono diventati amici. Ispirati da molti incontri con i giovani, si sono chiesti come concretamente gli uomini di fede possono rispondere alla crisi etica della contemporaneità: "Che cosa farebbe oggigiorno Gesù?", "A quale meta conduce il cammino delle religioni in una società sempre più disorientata e priva di Dio?". Nell'ultima stagione della sua vita, Carlo Maria Martini si offre al proprio interlocutore con franchezza e semplicità, senza reticenze, dando vita a quello che può essere interpretato come il suo testamento spirituale.
La Lettera ai Filippesi è stata scritta da san Paolo lungo il suo terzo viaggio apostolico, verso il 56, probabilmente mentre era prigioniero a Efeso. Qui, in un momento di difficile tribolazione, sente vicinissima la solidarietà dei suoi cari fedeli di Filippi, solidarietà che egli aveva sperimentato più volte, in una catena di affettuosa attenzione che lo rendeva dolcissimo. Questo libro nasce dal cuore pastorale dell'autore, che nel partire dalla Diocesi di Locri-Gerace per trasferirsi a reggere la cattedra arcivescovile metropolitana di Campobasso-Baiano, ha voluto lasciare questo ultimo prezioso gioiello ai suoi cristiani. Nel donare queste riflessioni, ripercorre gli anni vissuti tra la sua gente, per una lezione di vita che si fa insegnamento spirituale intenso. Il libro è completato da racconti di Bruno Ferrero, che attualizzano le tematiche e aiutano nella riflessione.
E' il terzo volume della collana che propone una serie di volumi a tema per aiutare a costruire percorsi di riflessione attraverso lo strumento cinema e a fare catechesi attraverso i film. Ogni volume contiene 9 analisi di film.
Santiago Zavala, giovane giornalista della «Cronica» che tutti chiamano Zavalita, torna a casa dal lavoro e trova la moglie in lacrime: le hanno strappato di mano il cagnolino Batuque. Zavala lo va a riprendere al canile, e il destino gli fa ritrovare, tra i dipendenti di quel luogo che sembra piuttosto un macello, Ambrosio, per molti anni autista di famiglia. Insieme vanno a bere una birra a «La Catedral», sordido locale di periferia, a dal loro dialogo viene fuori il romanzo di una città, e dei suoi deliri: storie di vinti e di illusi, di militari a caccia di potere, di politici, giornalisti, prostitute, delle loro sconfitte, ma anche di rari momenti di quiete. Destini personali che insieme restituiscono un'immagine globale della società di Lima, ma anche peruviana, e latinoamericana, negli anni cinquanta e sessanta. Pubblicato nel 1969, Conversazione nella «Catedral» è un romanzo dalla costruzione articolata e travolgente, in cui le inquadrature sono «montate» in successione martellante, come in un film d'azione: vero e proprio affresco storico, un tentativo prossimo alla perfezione di creare un «romanzo totale». E su tutto, implacabile come un legame vischioso e concreto, la grigia nebbia che avvolge Lima e le sue creature.
Dalla penna raffinata e coinvolgente del Cardinal Martini una riflessione su cosa significa la “scelta della fede” alla luce dell’itinerario umano e spirituale compiuto dall’apostolo Pietro.
Ci sono giorni della nostra vita dai quali con un grido o un sussurro emerge la nostra difficoltà a credere, come Pietro che non esita a seguire e amare Gesù con entusiasmo, ma anche a vacillare e poi addirittura a tradire.
Il fatto stesso che si parli di “credere” e non di proclamare senza dubbi l’esistenza di Dio, significa riconoscere che si tratta concretamente di un atto, di una scelta consapevole, che non è semplice conoscenza deduttiva, ma coinvolgimento di tutto l’uomo in una personale dedizione di cuore, mente e spirito.
Pietro è il miglior termine di paragone per chi affronta oggi il cammino religioso: l’originale rilettura di questa figura del Nuovo Testamento permette infatti di riscoprire in tutto il suo fascino l’avventura terrena del credere.
Carlo Maria Martini
Nato a Torino nel 1927, cardinale dal 1983, è stato arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002. Gesuita e biblista di fama internazionale, è stato rettore del Pontificio Istituto Biblico in Roma e della Pontificia Università Gregoriana. […]
Perché,nella coscienza comune del cattolico medio,il Concilio non è così tanto importante e,alla fine,si riduce a quel generico “rinnovamento” e alla riforma liturgica che ha permesso al sacerdote celebrante di guardare in faccia i fedeli anziché voltare loro le spalle? E perché quando si parla di Concilio si è portati a pensare al contrasto tra due diverse anime della Chiesa piuttosto che a una grande riflessione sulla fede nel mondo di oggi? Di questo si occupa il presente libro, con la testimonianza di un uomo, un vescovo che a sua volta visse il Concilio in presa diretta, monsignor Luigi Bettazzi:“Quando entrammo nel Concilio avevamo ancora un certo timore della parola di Dio.Pensavamo che fosse riservata alla gerarchia,e in effetti le cose andavano così.Abbiamo forse dimenticato che la gente imparava il catechismo a memoria,senza coinvolgimento personale? La grande scoperta fu proprio quella del valore della parola di Dio…”.