Dopo aver ripercorso la storia delle apparizioni di Medjugorje dall'inizio di quel 24 giugno 1981, riportando quanto si conosce sui Dieci Segreti di Medjugorje e alcune testimonianze di guarigioni, segni e miracoli, l'Autore racconta il suo viaggio a Medjugorje nel 2014 e 2015.
In quell'occasione tre ragazzi ricevettero sul Krizevac un segno divino di profumo di lavanda, legato alla guarigione di un male fisico, superato proprio grazie all'intercessione della Madonna.
L'Autore prosegue quindi con il racconto del miracolo di Francesca Bozzarello, avvenuto per intercessione della Beata Suor Elena Aiello (le cui rivelazioni private si rifanno, secondo molti studiosi, ai Dieci Segreti) per concludere con una riflessione su quando si realizzeranno i Dieci Segreti di Medjugorje.
Il neorealismo è stato tra i fondamenti di una cultura cinematografica che papa Francesco ha poi coltivato e arricchito nel corso del tempo e di cui il suo magistero è nitida testimonianza: non sono rare, infatti, le occasioni in cui il Papa ha fatto riferimento a questo o quel film nell'ambito di discorsi e omelie e perfino nei grandi testi del suo magistero. È emersa così l'idea di una intervista al Papa che cerca di comporre un quadro unitario del suo rapporto con il cinema, ma che va anche molto oltre. In questa intervista il Santo Padre afferma la forza testimoniale e documentale delle immagini e dei film, riconoscendo per alcuni di essi il loro valore universale e la loro capacità di interrogare il cuore dell'uomo. Oltre all'intervista a papa Francesco il volume si compone di un saggio nel quale viene proposta una riflessione sull'importanza dello sguardo tra memoria e storia a partire dall'esperienza del neorealismo: un'analisi che guarda al fenomeno neorealista senza pretese filologiche ma allargando volutamente l'interpretazione alla luce delle vicende presenti e delle specifiche riflessioni del Papa su questo cinema. Arricchiscono infine il volume le opere inedite e originali dell'artista Walter Capriotti che reinterpretano alcuni dei capolavori del neorealismo estendendo lo sguardo anche oltre quel cinema. "Vedere è un atto che si compie solo con gli occhi, per guardare occorrono gli occhi e il cuore. I film neorealisti non sono dei documentari che restituiscono una semplice registrazione oculare della realtà; la restituiscono sì, ma in tutta la sua crudezza, attraverso uno sguardo che coinvolge, che muove le viscere, che genera compassione. È la qualità dello sguardo a fare la differenza, allora come oggi. Quello neorealista non è uno sguardo da lontano, ma uno sguardo che avvicina, che tocca la realtà così com'è, che se ne prende cura e, dunque, che mette in relazione". (Papa Francesco)
Nel 2006 Dino Audino pubblicava un volume che a suo modo è diventato un piccolo cult: Overlooking Kubrick. Raccoglieva i risultati di una serie di convegni dedicati al Maestro (scomparso nel 1999) da diverse Università italiane. Molta acqua è passata sotto i ponti, molti libri e saggi sono stati scritti, tante riflessioni e analisi sono state fatte. Ma vale la pena rileggere alcuni "storici" interventi (tra questi saggi di studiosi italiani e stranieri tra i più illustri, da Sorlin a Bruno, da Bertetto a De Gaetano, da Sesti a Bernardi), mettendoli a confronto con analisi di studiosi delle generazioni più giovani (come Carocci e Ugenti). Sono altri "sguardi" su un regista che permette di riflettere sui rapporti del cinema con la storia, con la letteratura, coi generi, con l'ideologia, con le emozioni. È un'occasione per continuare a indagare su uno dei più grandi autori della storia del cinema, e anche un viatico per ulteriori studi.
"Caro Alberto" è un libro su Alberto Sordi diverso da tutti i libri su di lui già esistenti: raccoglie una ricca scelta delle migliaia di lettere che il grande attore ha ricevuto nel corso della sua lunga carriera. Lettere del suo archivio personale - custodito e studiato dalla Fondazione Museo Alberto Sordi - di ammiratori, appassionati di cinema, fans che si rivolgono a lui come si farebbe con un amico o con un parente, al quale chiedere consigli, confidare dolori, raccontare gioie e comunicare l'amore per le sue interpretazioni, che si rivelano un vero e proprio lenitivo ai momenti tristi della vita. Ci sono anche lettere di personalità celebri, di colleghi di lavoro - come Anthony Quinn, Monica Vitti, Gina Lollobrigida - e di esponenti politici. Ma soprattutto raccoglie tantissimi messaggi commoventi e inaspettati di anonimi cittadini, spediti o lasciati davanti alla villa di Roma dove Sordi ha vissuto per anni, che piangono la morte di un attore amato. Il libro si arricchisce delle testimonianze di Walter Veltroni - amico personale di Sordi, ma anche l'uomo politico che, all'epoca sindaco di Roma, ebbe il triste ed entusiasmante compito di organizzare un funerale che fu un bagno di folla, un evento popolare, come a Sordi, forse, sarebbe piaciuto - e di Carlo Verdone, forse l'unico attore che può dire di aver raccolto la sua eredità. Prefazioni di Walter Veltroni e Carlo Verdone.
Quasi mille film hanno tentato di rievocare Napoleone e il suo mito seducente e imprendibile. Nella sua spigliata ricognizione Carlo Miccichè racconta per la prima volta l'avventura dell'Empereur dai romanzi al grande e piccolo schermo. È un viaggio sorprendente che, dalle pagine di Tolstoj, Stendhal e Balzac passa al Cinema Muto, ai Kolossal e alle Serie Tv per arrivare ai graphic novel e al videogaming. Perché narrare Napoleone, fuori dai libri di storia e dai cliché, rimane una scommessa aperta.
"Nelle ricerche sul cinema - scrive l'autore - ho tentato di estendere il tipo di indagine condotta nei miei libri" sulla complessità del mondo e dell'essere umano. Ma come può il progenitore dei media audiovisivi alimentare una simile esplorazione? Il cinema di Edgar Morin è un medium capace di far luce sull'uomo e sulla società. In questi scritti incisivi e affascinanti, Morin analizza le mitologie del mondo contemporaneo. Nella sua teoria, in cui il cinema appare in tensione tra tecnica e magia, arte e industria, standardizzazione e creatività, individui e comunità, lo spettatore diviene il perno di un'esperienza concreta del tempo e della storia. I testi inediti, qui recuperati e organizzati, costituiscono perciò un punto di riferimento rilevante nell'ambito delle ricerche sul cinema, i media, l'estetica, la cultura e la conoscenza, intesi come dimensioni fondamentali dell'umano.
La memoria è una scatola. Aprirla, guardare, ricordare, raccontare sono atti naturalmente concatenati in questa raccolta di storie e racconti di Carlo Verdone. L'attore e regista aveva già lavorato sulla memoria ne "La casa sopra i portici", pubblicato da Bompiani nel 2012, ritornando nelle stanze della casa di famiglia e ascoltando le vicende evocate da quel luogo. Nel suo nuovo libro è il disordine delle immagini in cui si imbatte, immagini dal passato, ad accendere la narrazione. Ogni racconto è un momento di vita vissuta rivisitato dopo tanto tempo: dal legame col padre ai momenti preziosi condivisi con i figli, dai primi viaggi alla scoperta del mondo alle trasferte di lavoro, dalle amicizie romane a un delicato amore di gioventù. Ovunque, sempre, il gusto per l'osservazione della commedia umana, l'attenzione agli altri - come sono, come parlano, come si muovono - che nutre la creazione dei personaggi cinematografici, e uno sguardo acuto, partecipe, a tratti impietoso a tratti melanconico su Roma, sulla sua gente, sul mondo. Leggendo queste pagine si ride, si sorride, ci si commuove, si riflette; si torna indietro nel tempo, si viaggia su treni lentissimi con compagni di viaggio sorprendenti, si incontrano celebrità e persone comuni, ugualmente illuminate dallo sguardo di un artista e di un uomo da sempre attento, per indole, vocazione e professione, all'altro da sé.
Secondo una indovinata definizione di Renzo Arbore, Massimo Troisi era «un napoletano moderno». Moderno è anche il napoletano da lui portato in televisione e poi al cinema. In questo libro la lingua e lo stile di Troisi attore sono visti in correlazione con le modalità comunicative dei suoi anni, mentre si ridimensionano alcuni giudizi critici e stereotipi. "La Smorfia" di Troisi, Lello Arena ed Enzo Decaro irrompe in televisione negli anni Settanta del Novecento, con un uso consistente del dialetto, proprio quando si comincia frettolosamente a parlare di fine dei dialetti. Moderna è anche la soluzione adottata nel cinema, con un parlato recitato apparentemente incontrollato, ma in realtà minutamente dosato in un fluire dialogico che concede ampio spazio al dialetto. Oggi nella comunicazione spontanea i parlanti realizzano spesso frasi e discorsi in cui italiano, dialetto, italiano regionale si susseguono e si accavallano, proprio come accade nei film di Troisi, che sono documenti di modernità linguistica e di una rinnovata vitalità artistica dei dialetti.
Il Sabato santo rischia di essere considerato un intervallo vuoto tra la morte di Gesù e la sua risurrezione. Si tratta in realtà di un passaggio fondamentale per il cuore della fede cristiana, perché si colloca nel punto in cui morte e vita rifluiscono l'una nell'altra. Per spiegarlo, l’autore fa ricorso a tre film di Sean Penn, Spike Lee, Anne Fontaine e a un video di Bill Viola come se si trattasse di parabole contemporanee. Lo spettatore, con i protagonisti, è costretto a precipitare nel fondo oscuro della morte. Lì, con una logica sorprendentemente ineccepibile, avviene il rovesciamento e la vita si impone in tutto il suo fulgore. Luce e tenebre sono più intimamente connesse e la vittoria finale è completa proprio perché porta inscritto il dolore patito, non come un affronto fortunatamente superato o come la testimonianza di uno scampato pericolo, ma attraverso il segno dei chiodi sulle mani del Signore risorto.
Sommario
Introduzione. I. 11’09’’01 (Sean Penn, 2002). II. The 25th Hour (Spike Lee, 2002). III. Les innocents (Anne Fontaine, 2016). IV. Earth Martyr (Bill Viola, 2014).
Note sull'autore
Fabio Landi, licenza in Teologia sistematica, è docente al Liceo classico Parini di Milano e responsabile dell’Ufficio di pastorale scolastica della diocesi ambrosiana.
In un'aula giudiziaria, una donna vestita di nero accusa il capomafia che ha fatto ammazzare suo marito e poi anche suo figlio: «Loro sono venuti meno alla legge dell'onore,» dichiara «e perciò anch'io mi sento sciolta». Pur di vendicarli ha accettato di «dispiacere ai morti» - di infrangere le regole cui si erano sottomessi. Quella donna è Serafina Battaglia, testimone di giustizia nella Palermo dei primi anni Sessanta, devastata dai regolamenti di conti mafiosi. Ma il testo che ne evoca la «vindice inflessibilità» non è un racconto: è uno dei tre memorabili soggetti che Sciascia, realizzando un'antica vocazione - diventare regista o sceneggiatore -, ha scritto per il cinema, e che sono sinora rimasti inediti. Nata alla fine degli anni Venti nel «piccolo, delizioso teatro» di Racalmuto trasformato in cinematografo, e in seguito febbrilmente alimentata, la sua passione per il cinema è del resto sempre stata travolgente: «per me» ha confessato «... il cinema era allora tutto. Tutto». E ha suscitato, fra il 1958 e il 1989, acute riflessioni affidate ai rari scritti pure qui radunati: sull'erotismo nel cinema, sulla nascita dello star system, sul periglioso rapporto tra opere letterarie e riduzioni cinematografiche. Nonché splendidi ritratti: come quelli di Ivan Mosjoukine, dal volto «affilato, spiritato, di nevrotica malinconia», di Erich von Stroheim, «l'ufficiale austriaco che ha dietro di sé il crollo di un impero», o ancora di Gary Cooper, «eroe della grande e libera America» - vertiginosamente somigliante al sergente americano che nell'estate 1943 avanzava al centro della strada «fulminata di sole» di un paese della Sicilia.
Bud Spencer, vero e proprio personaggio di culto, è diventato un mito per tante generazioni di italiani e non solo: la sua fama ha varcato i confini nazionali. In questo libro di ricordi familiari, la figlia Cristiana svela per la prima volta ai lettori una miriade di aneddoti e curiosità così vividi che si ha l'illusione che Bud sia ancora tra noi... In questo libro il lettore conosce Bud Spencer nella sua veste privata. Tutto era buffamente smodato nella sua vita, come se le sue gigantesche dimensioni e le sue immense passioni attirassero a lui le avventure e i personaggi più strambi. Fin dall'adolescenza, molto prima ancora di finire sul set, Bud è stato il reale protagonista di una sceneggiatura divertente quanto quella delle sue pellicole.
Il principe Antonio De Curtis non era solito leggere i racconti degli storici. Lo appassionava solo la storia della sua famiglia, che risaliva all'imperatore Costantino. Non lo divertiva la Storia, cioè l'esistenza umana nel fluire del tempo, perché aveva una visione tragica della vita. Ma permetteva a Totò di spernacchiare tutte le persone che nella Storia, e quindi nella vita, si comportano da «caporali»: i prepotenti che tormentano gli «uomini» qualunque, costretti a vivere un'esistenza grama. Nei suoi novantasette film, ambientati nelle più varie epoche storiche, dall'Egitto dei faraoni all'Italia del 'miracolo economico' e all'Europa del Muro di Berlino, Antonio incarna nei personaggi di Totò sia i 'caporali' sia gli 'uomini', ma sempre con lo stesso proposito: «spernacchiare» i caporali, spiegando che la pernacchia «ha tanti scopi: deride, protesta, esplode con un grido di dolore». E difende così la dignità dell'uomo libero.