
Sospetti, trattative, intrighi, spionaggio, soccorsi umanitari... di uno Stato da proteggere. Il Vaticano, si sa, è uno Stato molto particolare: pochi chilometri quadrati di chiese, palazzi, tesori d'arte e giardini. Nel momento in cui l'Europa è lacerata da contrapposizioni ideologiche violentissime, lo staterello è neutrale e potrebbe attendere, magari in preghiera, la fine della tempesta... Invece no. Il Vaticano è a Roma, nel cuore della capitale di un regime autoritario alleato con la Germania. I rapporti con il regime fascista sono di reciproco sospetto: Mussolini fa spiare i monsignori, i cardinali e il papa stesso. Hitler odia la Chiesa cattolica perché la considera un potere trasversale, che può sempre sfuggire al controllo assoluto dello Stato. Gli Alleati, invece, temono una Chiesa che acquisti troppa autorità morale in anni di sangue e acciaio. Ciascuno ha la sua posizione, e il Vaticano è in mezzo. Dunque, per prudenza, meglio porvi informatori, spie, doppiogiochisti. Meglio vigilare sui suoi confini, anche perché a volte ci scappano dentro prigionieri di guerra inglesi in fuga dai campi di prigionia, seguiti ben presto da giovani tedeschi sbandati. E nel lungo inverno del '43 il Vaticano, oramai circondato dal III Reich, deve affrontare la fase più dura della "tormenta". In questo contesto proprio da dentro le "Sacre Mura" la Legazione inglese, con il supporto del settore 9 del Military Intelligence, opera nell'ombra. A un certo punto abbiamo anche un piano di Hitler per rapire il papa e deportarlo in Germania o nel Liechtenstein e si elabora un contro-piano di "difesa passiva ma energica" che prevede anche il sacrificio di tutti i militari che faranno "scudo col proprio corpo alla Sacra ed Augusta Persona del Sommo Pontefice"... Prefazione di Andrea Riccardi.
C’è un evento chiave nella storia di Auschwitz. Il 12 maggio del 1942, un convoglio da Sosnowiec scarica 1500 ebrei che, per la prima volta, non vengono né internati, né selezionati per le squadre di lavoro, né picchiati o freddati con un colpo di pistola. Vengono inviati direttamente alle camere a gas.
Così si compie il destino di Auschwitz: non più un campo di concentramento né di lavoro coatto, ma una colossale macchina progettata per l’annientamento sistematico di esseri umani. Attraverso le testimonianze dei sopravvissuti e dei carnefici, Il regno di Auschwitz descrive questa tragica parabola, fino all’evacuazione del gennaio 1945.
Nessuno sa quanti abbiano perso la vita dietro quel filo spinato. E nessuno lo saprà mai, visto che i nazisti bruciarono tutti i documenti abbandonando Auschwitz, rendendo incalcolabile il numero effettivo delle vittime. Il comandante del campo Rudolf Höss, processato dopo la guerra, si dichiarò responsabile dell’eliminazione di due milioni e mezzo di persone, più «un altro mezzo milione di morti per fame e malattie». Poi però aggiunse: «Non ho mai saputo il numero complessivo e non ho modo nemmeno di stimarlo».
Ma, per quanto suoni terribile dirlo, il punto non è quanti ebrei siano stati uccisi. Il punto è che l’obiettivo era ucciderli tutti. È questo che definisce il genocidio. Vernichtung, annientamento. E Auschwitz ne è il simbolo, il più eloquente di tutti, perché più di tutti gli altri campi dette il suo spaventoso contributo alla Soluzione Finale. È per questo che la storia umana può solo dividersi in un prima e un dopo Auschwitz.
Tutti sanno chi era Paolo di Tarso, pochi invece conoscono il suo contemporaneo Yohanan ben Zakkai. Eppure entrambi, a modo loro, hanno dato l’avvio a una nuova religione, e entrambe queste religioni (cristianesimo e ebraismo moderno) sopravvivono ancora oggi. Nel I secolo d.C. Yohanan era nella Gerusalemme assediata dalle armate di Tito. Poco prima dell’attacco romano riuscì a scappare dalla città e a farsi ricevere dall’imperatore, al quale chiese il permesso di istituire una scuola nel “vigneto di Yavneh”. Tito glielo concesse, e fu così che iniziò a svilupparsi l’ebraismo dei rabbini, il quale, modificato nei secoli, è di fatto quello di oggi. Il nucleo di questa dottrina è una quasi infinita serie di discussioni tra saggi, durata cinque secoli, nella quale quasi sempre contano più le domande e le argomentazioni che le risposte. Quando questa immensa tradizione orale venne messa per iscritto, divenne il Talmud: 37 volumi di dispute serrate tra saggi rabbini praticamente su ogni cosa. Scritto in due lingue (ebraico e aramaico), con uno stile tutto meno che lineare, il Talmud (nelle sue due versioni, babilonese e palestinese) è oggi considerato una delle opere più complesse che esistano e il fondamento stesso dell’ebraismo. La sua storia è un tutt’uno con la storia degli ebrei. Harry Freedman ci regala una breve, efficace e godibile “biografia” di questo libro incredibile, che di vicissitudini ne ha passate davvero molte. Dalle sue origini mesopotamiche al rapporto con gli arabi, dall’incontro coi cristiani alle dispute medievali, dal commento di Rashi alla prima versione a stampa pubblicata a Venezia, passando attraverso i molti roghi che tentarono di arginarne l’insegnamento, le condanne papali, e poi l’Illuminismo, l’Ottocento e la Notte dei Cristalli. Il Talmud – questo libro sconosciuto – ne esce come uno dei più nascosti ma potenti punti di origine della modernità, nonostante sia stato a lungo temuto, bruciato, ostracizzato e ben poco studiato dai non ebrei. Eppure al Talmud, nelle diverse epoche, si sono ispirati in moltissimi, spesso senza saperlo.
“Bettino Craxi era antipatico perché incarnava la politica in un’epoca di crollo delle ideologie e di avversione ai partiti. Perché non temeva né di macchiarsi di una colpa né di affrontare l’odio. Perché era alto e grosso, ribelle e autoritario e anche se tendeva alla pace e sorrideva sembrava sempre in guerra. Perché diceva quel che pensava e faceva quel che diceva, anche le cose spiacevoli. Perché affascinava o irritava coi suoi proverbi popolari o mostrandoti l’altra faccia della luna; perché era sospettoso e coraggioso, razionale e realista fino al cinismo. Perché era sicuro, troppo sicuro di sé, e per dieci anni ha guidato la politica italiana e per quattro il governo coi migliori risultati. Perché sfidò gli USA di Reagan e l’URSS. Perché tenne in scacco la Dc e il PCI alternando coerenza e spregiudicatezza. Perché affrontò il partito del potere e del denaro. “Oggi, a distanza di vent’anni dalla sua morte, è possibile e anzi necessario ripensare Craxi e recuperare il suo lascito, per colmare il vuoto lasciato dal riformismo socialista e dal socialismo liberale. La sua figura suscita ancora tante domande e comprenderla può fornire tracce importanti per capire la crisi della sinistra, della democrazia liberale e l’irruzione del populismo e del nazionalismo in Italia e nel mondo. Questo libro non è una biografia, piuttosto il profilo umano e intellettuale di un leader e il manifesto politico che nel labirinto di intenzioni, di successi e di tracolli di un'’epoca appena passata districano i fili che la connettono alle contraddizioni e agli interrogativi dell'attualità." - Claudio Martelli
Una nuova storiografia che guarda alle grandi trasformazioni della mentalità collettiva, ai sistemi di credenza e alla comunicazione di massa, ha introdotto una nuova prospettiva "culturale" nella storia del fascismo. Il nuovo approccio, tuttavia, non è stato ancora applicato agli studi sul cattolicesimo italiano. Eppure, in tale prospettiva, il processo di nazionalizzazione degli italiani durante il "ventennio" sembra profondamente legato alla fede cattolica, e in una doppia maniera: il cattolicesimo divenne parte della nazione e, parallelamente, l'idea che gli italiani avevano della nazione incluse massicciamente il cattolicesimo. Alimentato in modo convergente e, assieme, sottilmente concorrenziale sia dal regime che dal mondo cattolico, il mito dell'"Italia cattolica" finì per imporsi, in alternativa a quello risorgimentale e laico della "Terza Roma". Sostenuto dal fascismo, in parte con sincera convinzione in parte per inglobare strumentalmente il cattolicesimo nella propria visione totalitaria del mondo, e promosso dai cattolici per realizzare i presupposti di una visione che puntava, in chiave anti-liberale e anti-laicista, a una confessionalizzazione dello Stato e della società, esso ha rappresentato la base dell'intesa e del compromesso tra il regime e la Chiesa ma anche, allo stesso tempo, il terreno principale del loro contrasto. Questo libro racconta dunque la storia di un mito, nella convinzione che esso sia stato un soggetto non secondario delle vicende di quegli anni, ma anche delle successive perché la sua eredità avrebbe continuato a pesare nella storia dell'Italia democratica.
Negli ultimi trent’anni l’Italia e gli italiani sono profondamente cambiati. Assetti demografici, lavoro, welfare, produzione, consumi, stili di vita, forme della partecipazione e della comunicazione, partiti, sistema politico: quasi nulla è più come prima. Il libro prova a ricostruire i più importanti tra questi mutamenti – lo choc migratorio, il declino economico, la metamorfosi dei valori e delle appartenenze, gli effetti della rivoluzione digitale – per concentrarsi quindi sulle trasformazioni del sistema politico tra Prima e Terza Repubblica. Riprendendo e aggiornando le tesi di Karl Polanyi sulla ‘grande trasformazione’, l’autore colloca al centro del quadro l’urto strisciante e poi frontale tra le forze sempre più invincibili della globalizzazione, in particolare del mercato e dell’economia globali, e un paese messo progressivamente in ginocchio dai suoi effetti distruttivi. Ne è derivata una confusa e disordinata ‘rivolta della società’, che ha voltato le spalle alle vecchie forze politiche della Seconda Repubblica, sempre più incapaci di proteggerla, e che ha ceduto infine alle velleitarie promesse di riscatto dei populismi. Una trappola insidiosa, dalla quale – almeno per un po’ di tempo – sarà assai difficile uscire. In Italia e in molte altre parti del mondo.
Uno dei maggiori studiosi italiani dell’Inquisizione ricostruisce le secolari resistenze di una piccola isola alle imposizioni della Chiesa: a Procida i ripetuti tentativi delle autorità ecclesiastiche di introdurre le severe regole dettate dal Concilio di Trento – dalla lotta alle convivenze alla repressione delle pratiche magiche – dovettero fare i conti con una comunità ricca, vivace, aperta agli scambi e orgogliosamente attaccata ai propri modi di vita. Il quadro complessivo restò a lungo per la Chiesa di Roma fallimentare, e il libro lo documenta ampiamente. Le vicende di Procida sono l’occasione per riflettere sul complessivo esito dei tentativi di disciplinamento religioso nell’Italia moderna. Ovunque, sia in altre piccole isole, sia nelle aree rurali, sia nelle città, le reazioni furono diffuse e invitano a riflettere sulla straordinaria durata del ‘Medioevo’ religioso nel paese del papa.
I saggi qui pubblicati intendono proporre una nuova riflessione, anche di carattere storiografico, sulla funzione etica attribuita all'attività ludica tra Medioevo ed età moderna, sulle sue molteplici forme di espressione e di rappresentazione, e sulle modalità con le quali il gioco viene interpretato e utilizzato in chiave morale. Il volume ragiona dunque sulle dinamiche di relazione tra donne, uomini e prassi ludica, per analizzare gli spazi, i tempi e le modalità di accesso al gioco nel lungo periodo che va dalla teorizzazione medievale dell'eutrapelia alle riflessioni gesuitiche sull'educazione dei fanciulli. L'analisi di fenomeni di grande interesse antropologico, come quello ludico, merita infatti di essere condotta in un'ottica ampia, tesa a indagare prospettive generali, e capace quindi di individuare elementi strutturali che si ripercuotono sul lungo periodo e possono così rivelarsi indicatori di cambiamenti significativi negli assetti sociali, istituzionali e culturali delle società medievali e moderne. Il lettore è così condotto a seguire le fila della storia di un'esperienza culturale straordinaria, tra morale e religione, tra morale e politica.
Durante i suoi ultimi giorni di vita, trascorsi nascosto in un bunker, Adolf Hitler si lamentava di essere stato tradito dall’interno. In parte aveva ragione. Nel 1945 le sue armate erano state sconfitte su tutti i fronti, il regime era collassato e i suoi uomini più fedeli erano in fuga per evitare le conseguenze dei loro atroci crimini. In un racconto sorprendente e inedito, Paddy Ashdown rivela come ai vertici della gerarchia nazista ci fossero uomini disposti a tutto per impedire la vittoria di Hitler. Documenti solo recentemente venuti alla luce, infatti, testimoniano la presenza di un vero e proprio complotto volto a trasmettere i piani e le strategie chiave del Fuhrer agli Alleati e persino a eliminare Hitler. Alcuni uomini ai massimi livelli dello Stato tedesco usarono ogni mezzo possibile – cospirazione, assassinio, spionaggio – per salvare la reputazione del loro Paese e garantire la sopravvivenza dei valori liberali e democratici. E, perché ciò accadesse, a Hitler non poteva essere permesso di vincere la guerra.
Arrestata dalla Gestapo a 19 anni, nel 1944, e deportata a Birkenau con il padre, il fratellino di dodici anni e il nipote, sarà la sola a tornare, dopo essere stata trasferita a Bergen-Belsen, Raguhn e Theresienstadt. Per oltre sessant'anni non ha parlato con nessuno della sua esperienza. Negli ultimi anni ha deciso di parlare, ed è tornata per la prima volta laggiù con una classe di liceali francesi. Questo libro racconta la sua deportazione, ma anche - in maniera altrettanto toccante e originale, con una voce popolare, di una persona semplice - gli anni delle persecuzioni razziali e poi gli anni successivi al ritorno, i difficili anni in cui trovare un senso alla vita, viverla; e infine gli anni, così tardi, della testimonianza. I colpi, la fame, il divieto del pudore fra donne e verso i soldati. Le latrine di cemento e terra battuta. La crudeltà. A volte la fraternità, o il cinismo. La misera veste che le offrì Simone Veil e che le salvò la vita.
L'etnografia antica ha il suo vertice nel filosofo stoico Posidonio di Apamea (135-50 a.C. circa), una mente universale alla Leonardo, che nelle Storie purtroppo giunte fino a noi solo in frammenti - elimina con l'autopsia secolari pregiudizi nei confronti dei barbari e con un'accurata critica delle fonti errori e leggende, spiegando con una salda teoria filosofica l'uguaglianza di fondo e al contempo le diversità tra i popoli. Al centro delle sue ricerche, che riguardano comunque tutte le genti gravitanti attorno al mondo greco-romano, ci sono i Celti, coraggiosi, forti e sani, contrapposti ai popoli orientali, in piena decadenza tra lussuria e superstizione. Ma Posidonio si rivela anche grande scrittore, capace di descrizioni precise e divertenti in uno stile limpido e vivace. Non è certo un caso che Cesare, Diodoro, Strabone e Plutarco gli siano profondamente debitori.