
Pur trascorsi centocinquant'anni dalla "breccia di Porta Pia", la questione di Roma, quale Capitale dell'Italia unita, rimane attualissima. Una città che vive una pluralità di identità, essendo sede del Vaticano, dei massimi organi costituzionali italiani, di importanti organismi internazionali; una città che vive tutte le contraddizioni dei moderni agglomerati metropolitani, altamente popolati, connessi strettamente con ampie aree periferiche, con servizi pubblici (dalla sanità ai trasporti) tarati per il fabbisogno di una popolazione ben più ampia di quella residente. È chiaro come il governo di questo complesso sistema debba essere dotato di strumenti ordinamentali, amministrativi e giuridici, ma anche finanziari e urbanistici, speciali e adeguati. Il presente volume si pone proprio l'obiettivo di riaprire un dibattito organico sulla città, interpellando accademici con le più diverse competenze (giuristi, storici, economisti, urbanisti), proprio al fine di immaginare un progetto di sviluppo a lungo termine che riesca a tenere insieme capacità e contraddizioni di Roma.
Nel 1942, il giovane soldato britannico Arthur Dodd venne fatto prigioniero dall'esercito tedesco e fu trasportato a O?wi?cim, nell'alta Slesia polacca. I tedeschi diedero a quel luogo un altro nome, oggi sinonimo delle ore più buie dell'umanità: lo chiamarono Auschwitz. Costretto a lavorare per la fabbrica I.G.Farben - che impiegava anche manodopera ebrea fornita dal campo di concentramento -, obbligato ad assistere quotidianamente agli orrori che annullavano la volontà e l'umanità di chi li subiva e di chi ne era testimone, Arthur pensava che la sua vita sarebbe finita ad Auschwitz. Deciso, tuttavia, ad assolvere fino in fondo il suo dovere di soldato e di buon cristiano, con i suoi compagni di prigionia sabotò il lavoro industriale nazista, rischiò la vita per alleviare le sofferenze dei prigionieri ebrei e aiutò un gruppo di partigiani polacchi a pianificare un'evasione di massa. Questa scioccante storia vera getta nuova luce sulle operazioni del campo, rivela la gerarchia dei trattamenti degli internati da parte delle SS e presenta la storia, in gran parte sconosciuta, dei prigionieri di guerra militari detenuti ad Auschwitz.
Il periodo tra il XV e il XVIII secolo vede la nascita e il consolidamento degli stati moderni: monarchie ambiziose espandono il proprio dominio sul continente, eserciti sempre più numerosi combattono guerre feroci, si rafforzano gli apparati statali necessari a controllare il territorio e a riscuotere le tasse, la società cerca di trovare un equilibrio tra i privilegi della nobiltà e le ambizioni delle classi mercantili e urbane in ascesa. Lo storico Perry Anderson si immerge in questo periodo fecondo e convulso ed esamina le origini e l'organizzazione sociale e politica degli stati assoluti che si affermarono in Europa occidentale. Ripercorre le traiettorie di Spagna, Francia, Inghilterra e Svezia e il caso particolare dell'Italia - unico paese a non aver sviluppato una forma di governo assolutistico --spiegando le ragioni politiche ed economiche di questa diversità. Parallelamente Anderson volge lo sguardo all'Europa orientale: passa in rassegna le monarchie di Russia, Prussia, Austria e Polonia e delinea quanto siano state influenzate o abbiano differito dal modello occidentale, specialmente nei rapporti con la nobiltà e nel diffuso asservimento della massa dei contadini. Per comprendere meglio la specificità dell'assolutismo europeo, Anderson lo confronta prima con l'Impero ottomano nei Balcani, caratterizzato da un forte apparato burocratico e dall'assenza della proprietà fondiaria e di una classe nobiliare, poi con il feudalesimo in Giappone, che presenta una serie di curiose analogie con gli sviluppi delle nazioni occidentali. Lo stato assoluto è un testo fondamentale, un classico della storia comparata che attraversa continenti, guerre, dinastie e rivoluzioni, trascinando il lettore nei secoli tumultuosi che hanno portato alla nascita del mondo per come lo conosciamo.
«Decine di migliaia», poi «centinaia di migliaia», fino a «oltre un milione»: a leggere gli articoli dei giornali e a sentire le dichiarazioni dei politici sul numero delle vittime delle foibe, è difficile comprendere le reali dimensioni del fenomeno. Anzi, negli anni, tutta la vicenda dell'esodo italiano dall'Istria e dalla Dalmazia è diventata oggetto di polemiche sempre più forti e violente. Questo libro è rivolto a chi non sa niente della storia delle foibe e dell'esodo o a chi pensa di sapere già tutto, pur non avendo mai avuto l'opportunità di studiare realmente questo tema. Questo "Fact Checking" non propone un'altra verità storica precostituita, non vuole negare o sminuire una tragedia. Vuole riportare la vicenda storica al suo dato di realtà, prova a fissare la dinamica degli eventi e le sue conseguenze. Con l'intento di evidenziare errori, mistificazioni e imbrogli retorici che rischiano di costituire una 'versione ufficiale' molto lontana dalla realtà dei fatti. È un invito al dubbio, al confronto con le fonti, nella speranza che questo serva a comprendere quanto è accaduto in anni terribili.
È passato un secolo dalla fondazione del Partito comunista italiano a Livorno, nel gennaio 1921. Nasce allora un piccolo partito, destinato però a diventare uno dei pilastri della Repubblica italiana. Nasce insieme alla vittoria di Lenin e della rivoluzione bolscevica in Russia. E morirà nel 1991, ancora insieme all'Unione Sovietica. Milioni di italiani lo hanno votato, altre decine di migliaia sono stati suoi militanti dedicandogli il loro tempo libero. Eppure all'inizio è una piccola «falange d'acciaio», come la chiama uno dei suoi fondatori, Antonio Gramsci: pochi uomini e qualche donna, uniti dal sogno di «fare come in Russia». Sono destinati a essere sconfitti sanguinosamente dal fascismo di Mussolini. Ma resisteranno, tra mille difficoltà, continuando a inseguire quel sogno. Il libro ripercorre non solo le vicende organizzative e la storia politica del partito, ma anche gli itinerari personali di vita di alcuni dei suoi dirigenti: Bordiga, Gramsci, Togliatti, Tasca, Bombacci. Cerca così di rispondere alla domanda più attuale: come ha fatto quella piccola falange a trasformarsi in un grande partito di massa? Quali bisogni degli italiani è stato capace di interpretare e rappresentare? Che ruolo ha avuto nella politica italiana? Perché è nato? E perché è morto?
A cento anni dalla nascita del Pci, Canfora si interroga sulla metamorfosi progressiva di quel grande partito. Una metamorfosi che ha al centro il 'partito nuovo' di Togliatti. Quella fu, nel 1944, una seconda fondazione. Fu la non facile nascita di un altro e diverso partito: diverso rispetto alla formazione 'rivoluzionaria' sorta vent'anni prima. La nuova nascita era una necessità storica, nella situazione mondiale del tutto nuova determinata dalla sconfitta dei fascismi. Ma le potenzialità insite in tale nuovo inizio non furono sviluppate con la necessaria audacia da chi venne dopo: Berlinguer incluso. Riannodando i fili di questa storia, Canfora cerca le ragioni del mancato riconoscimento dell'approdo socialdemocratico che il mutato contesto storico determinava. Una timidezza che ha contribuito alla successiva debolezza progettuale e 'svogliatezza' pratica. E alla progressiva perdita di contatto con i gruppi sociali il cui consenso veniva dato ottimisticamente per scontato.
Che cos'è la guerra fredda? Nell'accezione corrente, è l'intero arco cronologico che inizia alla fine della seconda guerra mondiale e arriva sino al triplice evento che la conclude: l'abbattimento del muro di Berlino (1989), la riunificazione tedesca (1990), il collasso dell'impero interno dell'URSS (1991). Ma col termine 'guerra fredda' si indica anche il confronto militare, economico, politico e ideologico tra le due superpotenze che si sono spartite il pianeta e lo sfondo storico permanente, durato quarantacinque anni, su cui si stagliano alcuni momenti particolarmente 'caldi' di un lunghissimo dopoguerra. In questo libro si vuole dimostrare che la guerra fredda è stata, in realtà, un sistema largamente imperfetto delle relazioni internazionali, gestito da due superpotenze non solo antagoniste, ma anche complementari. Con la presenza, negli anni 1946-1976, di un terzo e inarrestabile soggetto che l'ha fortemente condizionata: la decolonizzazione; e con la presenza, soprattutto negli anni successivi, di un altro soggetto, più economico che politico: l'Europa.
La peste arrivò in Europa nell'ottobre 1347, su una nave proveniente dalla Crimea che attraccò a Messina carica di marinai morti o moribondi. Si diffuse con una velocità impressionante e uccise circa un terzo dell'intera popolazione europea. Fino a tutto il Seicento, l'Europa ha dovuto convivere con ondate pressoché regolari di epidemia; la popolazione europea ha impiegato quattro secoli a tornare ai livelli precedenti il 1350. Questo volume sintetizza in una narrazione densa di fatti la storia della «morte nera» e del suo impatto sull'Europa; dopo aver richiamato le maggiori epidemie del mondo antico e medievale, gli autori raccontano lo scoppio della peste del Trecento, i tentativi di comprenderne le cause e di arginarla, gli effetti delle ricorrenti epidemie e i due ultimi maggiori episodi, la famosa Grande Peste di Londra del 1665 e quella di Marsiglia del 1720.
La vittoria nella Grande Guerra (4 novembre), la Liberazione (25 aprile), la nascita della Repubblica (2 giugno) sono le ricorrenze canoniche dell'Italia democratica. Ma quale storia hanno dietro di sé? E quali altre ricorrenze sono state invece dimenticate o derubricate? Quella sorta di pedagogia storica che un paese esercita segnando sul calendario la celebrazione dei momenti fondanti della propria storia cambia nel tempo. Lo mostra questo volume raccontando le nostre feste nazionali, dai primi anni unitari alla mobilitazione patriottica della prima guerra mondiale, alla ritualità fascista, all'affermarsi di un patriottismo costituzionale nell'età repubblicana. E infine all'evolvere del calendario civile del primo ventennio del Duemila che ha visto fra l'altro l'istituzione di ben cinque diversi giorni della memoria.
Andrea Riccardi è uno dei protagonisti del dibattito sociale, politico e religioso del nostro tempo. Da storico, come scrive Agostino Giovagnoli nel suo contributo al volume, «ha approfondito il tema della coabitazione tra popoli, culture e religioni diversi e ha dedicato attenzione ai temi del nazionalismo, del conflitto etnico, delle guerre contemporanee. Ha affrontato, da punti di vista originali, la grande questione dei genocidi e delle stragi del XX secolo. Tutti i suoi studi rimandano ai nessi che legano ogni vicenda al proprio tempo: proprio il tempo - inteso in senso storico e cioè come l'insieme degli uomini e delle donne che lo abitano - è infatti il principale protagonista dei suoi libri. Benché dedicati a figure e temi diversi, i suoi studi compongono un grande affresco del Novecento e dei primi anni del XXI secolo. È un Novecento diverso dal 'secolo breve' incentrato sulle ideologie e sui totalitarismi: quello di Riccardi è piuttosto un secolo animato da popoli e società, culture e religioni eredi di lunghi percorsi precedenti e protagonisti anche di vicende importanti del XXI secolo». Un'ampia raccolta di saggi che ripercorre un percorso di ricerca originale e apprezzato sia in Italia sia a livello internazionale.
Questo libro ricostruisce la storia della schiavitù atlantica, legata cioè alla tratta che si organizzò tra le coste africane e quelle americane, e copre i circa quattro secoli della sua durata, scavalcando i limiti convenzionali della storia moderna. Muove infatti dall'inizio del Cinquecento, quando la pratica fu avviata e si stabilizzò nelle Americhe, e giunge al secondo Ottocento, epoca in cui se ne decretò la formale abolizione, senza però estirpare un uso che, sotto mutate spoglie, continuò a lungo illegalmente. L'obiettivo è quello di delinearne le origini, il consolidamento e il declino, facendo emergere i tratti specifici della schiavitù moderna rispetto tanto alle forme antiche quanto alle nuove schiavitù contemporanee.
Lontano dalle grandi tombe imperiali e dai sepolcri nobiliari della Via Appia, il mondo sommerso delle necropoli mette in luce la "normalità" e si ha la netta percezione di attraversare d'un colpo duemila anni di storia. Ricche edicole decorate con mosaici e stucchi, oppure povere sepolture in terra, occupano l'area sotto la basilica di San Pietro, e nei settori della necropoli lungo la via Trionfale, con una tale densità da stupire gli stessi archeologi che per primi si sono apprestati a eseguire gli scavi di recupero. La «necropoli vaticana», settore monumentale di un tratto di necropoli lungo la via Cornelia fortunosamente conservato sotto la navata centrale della basilica di San Pietro, fu riscoperta grazie agli scavi eseguiti durante il pontificato di Pio XXII. Un recupero archeologico di portata immensa, nonché il primo e lungimirante esempio di musealizzazione in situ di una necropoli antica. Contestualizzando le necropoli nel panorama complessivo dell'epoca, il volume mostra uno spaccato della società, della cultura, e delle credenze dei Romani tra l'età di Augusto e quella di Costantino - che sopra alla tomba di Pietro costruirà la sua grande basilica -, alle soglie del grande passaggio tra la Roma Pagana e quella Cristiana. Al centro non è la Roma dei monumenti politici e pubblici, ma quella dei monumenti e dell'arte delle famiglie di fronte al mistero dell'aldilà. Opere straordinarie per l'interesse sociale, ma anche di una compostezza artistica e un'inventività iconogra?ca impressionanti.