
A sessant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale, il dibattito sull'interpretazione dei drammatici avvenimenti che hanno contraddistinto i venti mesi compresi tra l'armistizio dell'8 settembre 1943 e la fine dell'aprile 1945 è ancora vivo: fu lotta di liberazione, guerra civile, scontro di classe? Una fonte autentica per sapere che cosa muoveva gli animi dei combattenti della Resistenza è costituita dai messaggi indirizzati ai familiari nell'imminenza dell'esecuzione o durante il penoso trasferimento verso i campi di sterminio del Reich. Questo libro raccoglie le lettere di cento partigiani trucidati dai fascisti o dai tedeschi e di quaranta tra oppositori politici ed ebrei stroncati dalla deportazione.
Il 1° gennaio 1941 nei campi dell'NKVD si trovavano più di un milione e mezzo di detenuti, nelle colonie di lavoro quasi 429.000, nelle carceri quasi 488.000. Negli insediamenti di lavoro e speciali alla vigilia dell'invasione tedesca erano distribuite circa un milione e mezzo di persone. Tenendo conto della crescita del numero dei condannati nella prima metà del 1941, si può calcolare che nelle diverse articolazioni del Gulag prima della guerra si contassero circa quattro milioni di persone. In questo libro Oleg Chelevnjuk propone la storia della prima fase del Gulag, fino al 1941, rivelandone tutti i segreti più profondi e offrendo un punto di vista acuto sul regime del terrore nel suo complesso.
Le truppe fasciste concentrate a nord di Roma per l'attacco alla capitale sono stanche, bagnate e affamate quando si diffonde la notizia che Mussolini è stato nominato capo del governo. Ma l'entrata a Roma non coincide con la sua conquista, anzi in quei giorni la città continua a respingere i fascisti come nessun'altra, e gli scontri si fanno durissimi. Inizia così un nuovo racconto della marcia su Roma che finalmente spiega il ruolo giocato dalla violenza, il motivo per cui la classe dirigente politica non ha compreso subito la gravità degli avvenimenti, il modo in cui lo Stato liberale è crollato. E che mostra come la marcia non sia stata solo quella degli squadristi su Roma.
Non si può capire lo sviluppo economico dell'Italia post-unitaria guardando solo all'Italia stessa. L'Italia è già allora parte di un mondo più vasto, all'interno del quale circolano, oltre ai beni, gli uomini, le idee, il denaro. Dal 1861 al 1913 l'Italia si dota di infrastrutture moderne, sviluppa l'industria, il tenore di vita si innalza. La produzione complessiva cresce senza particolari discontinuità, ma con ampi movimenti ciclici le cui alterne fasi dipendono dai mercati finanziari internazionali. L'economia italiana prospera quando i capitali del centro nordeuropeo si riversano nei paesi periferici, ristagna o retrocede quando questi se ne ritirano; la stessa ascesa giolittiana è parte di una ripresa mondiale.
Il periodo che va dall'immediato primo dopoguerra all'ascesa al potere di Mussolini è senz'altro uno dei più importanti per la storia militare italiana: fu allora che l'esercito, uscito vittorioso dalla guerra, cercò e si diede una nuova organizzazione, tenendo conto del mutato contesto politico. Lo testimonia l'attenzione insolitamente alta dell'opinione pubblica del tempo ai problemi militari. Le vicende della guerra, le crescenti ambizioni degli alti gradi dell'esercito, il mito della nazione armata, le prime agitazioni operaie e l'ombra del bolscevismo confluivano nel dibattito pubblico, agitando una serie di interrogativi e aspettative sul ruolo dell'esercito nella società. Il presente volume è una nuova edizione con una Premessa dell'autore.
È il 10 gennaio del 49 a.C.: il proconsole Caio Giulio Cesare attraversa un piccolo corso d'acqua che segna il confine tra il territorio romano e le Gallie, confine che nessuno può varcare in armi senza essere considerato nemico dell'Urbe. Si mette così in moto una catena di eventi che porterà cinque anni dopo alla morte del proconsole, divenuto nel frattempo l'uomo più potente del mondo. Dopo aver scatenato la guerra civile varcando il Rubicone, Cesare riuscirà a distruggere un sistema di governo vecchio di oltre cinquecento anni: un instabile compromesso tra l'avversione dei romani per le forme politiche che attribuivano tutto il potere a un uomo solo e un modello democratico che tenesse conto della competitività tra i cittadini.
La storia d'Italia è legata a doppio filo a quella del ruolo giocato dalle classi dirigenti che l'hanno guidata. Interrogarsi su quel ruolo è tanto più urgente oggi, quando quelle classi si dimostrano incapaci di porre fine a una transizione che si prolunga ormai da un quindicennio, e rischia di innescare un vero e proprio declino. Questo volume, frutto della collaborazione di studiosi diversi tra loro per studi e provenienza, non si interessa tanto alle 'filosofie' sottese all'azione delle classi dirigenti nella storia italiana, quanto alle questioni concrete che non hanno potuto o voluto risolvere.
L'istruttoria, le perizie mediche, il dibattimento davanti alla corte, alla giuria popolare e al pubblico avido: un caso giudiziario segnato, fra i primi, dall'intervento della stampa e degli esperti. Di certi crimini, non basta più accertare chi è stato. La gente vuole sapere perché. Attraverso una ricerca minuziosa su fonti ricche, con sapienza narrativa Patrizia Guarnieri mette a confronto voci diverse: i testimoni del paese, le madri delle vittime e i magistrati, i giornalisti, l'imputato, persino alcuni commentatori politici. Ricostruisce la cronaca dei delitti e il processo a Carlino Grandi, che sconvolse l'opinione pubblica e funzionò da banco di prova per le teorie del positivismo, della psichiatria e della nascente antropologia criminale.
Siamo a Mosca nei primi anni Trenta. All'ombra del Cremlino vive una numerosa comunità di emigrati politici italiani con le loro famiglie. Altri si sono stabiliti in diverse città dell'Urss. Accusati di spionaggio, usati come ostaggi per ricattare il governo della madrepatria, spesso semplicemente vittime di un clima di sospetto e malinteso, su di loro si abbatte la repressione del regime di Stalin: complessivamente sono più di mille gli italiani fucilati, internari nei campi di concentramento, confinati, deportati, privati dei diritti civili e del lavoro, emarginati. Questo volume racconta le loro vite, frammenti di storia silenziosa, volutamente ignorata o poco nota.
Che cosa fa di Venezia Venezia? Qual è l'intenzione artistica, la forma che concede a Domenico Theotocopuli di Candia o ad Antonio Vassilachis di Milo, Giorgione di Castelfranco, Tiziano di Pieve di Cadore di sentirsi perfettamente veneziani e di parlare artisticamente in veneziano? Ritenuto il capolavoro di Sergio Bettini, "Venezia. Nascita di una città" costituisce certamente un unicum nella cultura italiana, oltre che il compendio dell'opera di uno studioso che appare oggi, nel centenario della nascita, come uno dei più originali pensatori del nostro Novecento. Mostrando come Venezia obbedisca attraverso i secoli a un suo Kunstwollen, a una sua propria intenzione artistica, Bettini illumina la città come una sola, coerente opera d'arte.
Non vi fu una sola Anne Frank. Nella più vasta operazione di sterminio che la storia contemporanea abbia mai visto, l'autrice del Diario è il nome più noto, la prima vittima che ci sia stato dato di conoscere. Ma non fu certo la sola. Con rigore e passione documentale, Roberto Malini ci fa scoprire i diari non scritti di cento donne e bambine sterminate nella Shoah, volti e voci di cui spesso non resta che un nome, il luogo in cui furono trucidate.