
La vera storia di una famiglia avvolta tra mistero e leggenda in un’epoca di eccezionale fermento artistico, culturale, scientifico.
Un testo appassionante come un romanzo, ma scientificamente fondato, solleva il velo di mistero e di leggenda che nel corso del tempo si è posato sui Borgia e in particolare su Lucrezia. Un affresco del periodo compreso tra il 1455 e il 1520 epoca di eccezionale fermento artistico, culturale, scientifico, di importanti scoperte geografiche in cui il papato punta a rendere unitario il proprio stato e l’Italia viene sottoposta a periodiche invasioni straniere. É l’epoca di papa Callisto III e Alessandro VI Borgia, figure discusse e controverse. Indagando negli Archivi segreti Vaticani Mario Dal Bello svela le trame di un’epoca.
"La sera del 9 novembre 1860 una colonna di soldati in lacere uniformi turchine, disarmati e sotto scorta, marciava lungo la tortuosa strada alpina che risale la Val Chisone, nelle montagne piemontesi, verso la fortezza di Fenestrelle...". Chi erano quegli uomini? Cosa accadde davvero ai prigionieri napoletani trasportati al Nord nel 1860, e in genere agli ex-soldati borbonici caduti nelle mani delle autorità vittoriose negli anni che portarono all'unità d'Italia? Erano migliaia? Quanti sopravvissero e quanti morirono di stenti, di fame e di freddo? Chi navighi nella rete alla ricerca di informazioni o di opinioni su Fenestrelle e sulla deportazione dei prigionieri di guerra meridionali al Nord è subito colpito dall'estrema violenza del linguaggio e dal ricorrere di termini di confronto novecenteschi impiegati senza alcuna prudenza: campi di concentramento, lager, Auschwitz, sterminio. Intorno al destino di quei soldati è stata sollevata negli ultimi anni una cortina di interrogativi fumosi e di sospetti gratuiti, che può essere smantellata solo attraverso un'aderenza scrupolosa ai fatti dimostrati. Alessandro Barbero racconta la vera storia di Fenestrelle ma anche la storia di come quegli avvenimenti, già di per sé abbastanza drammatici, siano diventati nell'Italia del Duemila materia di un'invenzione storiografica e mediatica.
"Triste missione per noi venuti a combattere per la libertà!". Parla Nino Bixio, il più intransigente comandante di Garibaldi. Ha appena assistito all'esecuzione dei cinque uomini considerati colpevoli dell'efferata rivolta di Bronte: nei primi giorni dell'agosto 1860, migliaia di contadini, bande di uomini e di donne, avevano saccheggiato, distrutto, rubato. In mezzo al fumo degli incendi, i proprietari terrieri e i loro funzionari trascinati fuori dalle loro case, torturati, uccisi, gettati nel fuoco. Bixio proclama lo stato d'assedio e ordina un generale disarmo. Il suo compito è di fare in modo che i processi a carico degli insorti comincino velocemente, ricorrendo ai decreti che consentivano ai tribunali militari di applicare procedure sommarie per reati contro l'ordine pubblico. Alla rivolta feroce si risponde con una repressione brutale. Ma Garibaldi non era un liberatore? Allora, perché i plotoni di esecuzione? Perché sono proprio i garibaldini a opporsi alle speranze contadine di ottenere terra e migliore qualità di vita? La rivolta di Bronte dura non più di sei giorni ma la sua fama è sopravvissuta a lungo. Le è stato attribuito un grande valore simbolico. Eppure ancora non la si conosce veramente. "Se consideriamo quanto profondamente Bronte sia collegata ai miti e ai contromiti di Giuseppe Garibaldi e dell'ammiraglio Nelson, al Risorgimento italiano, alla questione meridionale e all'Impero britannico, stupisce che la sua storia non sia stata oggetto di analisi più approfondite."
Alessandro Manzoni è stato uno degli artefici che più profondamente hanno contribuito al processo costruttivo della nazione italiana moderna, per quanto lontano dall'attivismo politico e dall'impegno militante, e tuttavia presente senza incertezze nei momenti chiave del mutamento storico. Da sempre fedele all'idea di unità, ha espresso tale convinzione in testi emblematici (i cori delle tragedie, l'ode "Marzo 1821"), ha rivoluzionato una letteratura elitaria introducendovi il genere moderno del romanzo e facendo rispecchiare in esso un'intera società, ha costruito con rigore e pazienza estremi i presupposti perché nascesse la nostra lingua comune. Oggi, nel mondo globalizzato in cui siamo immersi, la storia della nostra e delle altre nazioni sollecita nuove riflessioni. La vicenda di Manzoni permette di cogliere come si sia sviluppato il processo di "immaginazione" del diverso spazio politico creato con la nazione moderna, in cui tanti intellettuali italiani si sono proiettati, sovrapponendolo e sostituendolo ad altri ambiti di relazioni precedenti, spesso superati. Questa raccolta di saggi intende ripercorrere anche secondo tale prospettiva l'impegno di Manzoni nella costruzione della nuova Italia, a conclusione dei festeggiamenti del Centocinquantesimo della nascita dello Stato unitario, nel segno di un omaggio della sua città al grande scrittore italiano.
"Milioni di persone senza difese nella morsa di due fazioni senza pietà, i partigiani e i fascisti. Nella fase conclusiva del secondo conflitto mondiale, tanti italiani si trovarono scaraventati dentro l'inferno della guerra civile. E scoprirono che non esisteva differenza fra le parti che si scannavano. I partigiani e i fascisti si muovevano nello stesso modo. Alimentando una tempesta di orrori, rappresaglie, esecuzioni, torture, stupri, devastazioni. "La guerra sporca" descrive il lato oscuro degli anni fra il 1943 e il 1945. Ho voluto narrarlo sfidando quanti strilleranno che il virus del revisionismo mi ha dato alla testa. Eppure che partigiani e fascisti si assomigliassero era una certezza già presente nei racconti di chi aveva vissuto da spettatore inerme un massacro mai visto in casa nostra. Ma questa realtà doveva restare nascosta. La Resistenza era diventata una religione intoccabile. Anche parlare di guerra civile era proibito. Nessuno accettava il giudizio di uno scrittore schierato contro il fascismo in Spagna: 'La guerra civile è una malattia, si finisce per combattere contro se stessi'. È accaduto anche da noi." (Giampaolo Pansa)
L'esistenza di Pietro il Grande (1672-1725) traboccò a tal punto di drammi personali e aspetti bizzarri, da irradiare un senso di mistero e fascino inesauribile. L'eroe celebrato di Poltava, l'incontrastato capo militare, il sovrano assoluto di uno dei paesi più grandi del mondo, il protagonista della serie di riforme che rivoltarono metodicamente ogni aspetto e settore della vita russa, sposò una contadina analfabeta. Il suo amore per i travestimenti, gli stravolgimenti e la parodia, per "il mondo alla rovescia", non fu mero passatempo o aberrazione, ma un elemento chiave nel suo stile di governo. L'uomo irresistibilmente volto ad Occidente annoverava tra i propri svaghi curiosità quali l'estrazione dei denti, la pratica dell'autopsia, la tornitura del legno e l'estinzione degli incendi. Il Padre della Patria russa condannò a morte, e forse torturò e uccise di persona, il proprio figlio primogenito. Tutto questo e altro ancora coesisteva in modi curiosamente funzionali con una vita alimentata da una volontà ideale di trasformazione quasi ossessiva. Questo libro, sempre attento a collocare il particolare caratteristico all'interno del contesto storico, politico e psicologico, ricostruisce, sulla base di un rigoroso lavoro documentario, le varie fasi della vita del grande imperatore russo, analizzando nei due capitoli finali la sua eredità politica e sociale, l'edificazione del suo mito dal Settecento a oggi.
Nel 1912 Giovanni Giolitti raccomandava "molta prudenza nell'aprire gli archivi del nostro Risorgimento", perché "non è bene sfatare leggende che sono belle". Comprensibile, forse, in un Paese ancora giovane e fragile. Purtroppo, per molti aspetti, il suo monito è stato preso alla lettera per un secolo intero e l'effetto si è esteso ben oltre i confini del racconto (epico) dell'Unità d'Italia. Così, pur con qualche virtuosa eccezione, la storiografia ufficiale e, per ricaduta, la divulgazione scolastica hanno spesso preferito accontentarsi di una versione edulcorata dei fatti, che nulla spiega di cosa sia poi diventato il nostro Paese. Eppure la dittatura dei poteri forti, il ricorso all'assassinio politico, gli usi impropri e deviati dei servizi segreti, la "trattativa" con la criminalità organizzata e altri vizi italici contemporanei hanno radici e precedenti proprio in quel pezzo del nostro passato. In questo libro gli autori hanno ricostruito alcuni fra i più interessanti misteri d'Italia, lungo un arco di sessant'anni dai giorni dell'Unità, attingendo a documenti inediti, atti giudiziari mai consultati dagli storici e preziosi archivi stranieri. Dalla "morte per salasso" di Cavour alle trame oscure dietro il regicidio di Umberto I, dall'avventura coloniale in Libia voluta dai poteri economici fino alla strage del teatro Diana a Milano, la storia d'Italia rivive in un succedersi di eventi che hanno proiettato le loro ombre inquietanti fino a oggi.
Nel Corpus Precolombiano che Jaca Book sta pubblicando e nella stessa produzione corrente in Messico mancava un volume di sintesi sulle culture del Golfo, che hanno avuto recenti importanti studi e valorizzazioni museali. Inserita nella porzione di territorio che separa l'Altopiano Centrale del Messico, culla della cultura azteca, dallo Yucatàn maya, la regione geografico-culturale del Veracruz rimane, ad oggi, un enorme giacimento di testimonianze, in gran parte inesplorato dalla ricerca storica e antropologica sulle civiltà della Mesoamerica precolombiana. Il volume include saggi scritti dai principali protagonisti dello studio archeologico su questo territorio, nei quali si individua una unità culturale che rimane evidente alla base di un ampio spettro di differenze stilistiche, molto probabilmente rispondenti a diversità etniche, all'interno di questa importantissima porzione del Golfo messicano. Il testo presenta lo sviluppo culturale che ha origine al tempo degli Olmechi, dal quale eredita caratteristiche specifiche, e che si modella secondo le varie condizioni ambientali: dall'aridità della regione delle "alias montanas" fino ai rigogliosi bassopiani costieri del Golfo. Il punto più alto di un simile sviluppo è evidente nella grande città di El Tajin, che manifesta, con la sua architettura, pittura e scultura, l'enorme livello di perfezionamento raggiunto da questa cultura.
Una nuova edizione del libro di Mario Moiraghi su san Galgano e il mistero legato alla spada nella roccia ancora oggi visibile nella cappella di Montesiepi. Il volume si arricchisce di una sezione dedicata alle analisi commissionate dalla rivista “Focus” ed effettuate dal dipartimento di Geologia dell’Università di Padova. Le indagini, coordinate dal prof. Luigi Garlaschelli, chimico dell’Università di Pavia e membro del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), hanno potuto determinare nuovi elementi di analisi in merito alla datazione della spada e della Rotonda, nei suoi differenti corpi di fabbrica, ed esaminare la reliquia del cranio del Santo conservata nella chiesa. Un nuovo interessante tassello che completa l’appassionante mosaico iniziato con la prima edizione.
Un identico crudele destino ha segnato la vita delle amanti segrete di Benito Mussolini e Adolf Hitler. Claretta Petacci e Eva Braun nacquero lo stesso mese e lo stesso anno, a distanza di pochi giorni, nel febbraio 1912, e nello stesso mese e nello stesso anno, a distanza di pochi giorni (il 28 e il 30 aprile 1945), scelsero di morire accanto ai loro uomini, all'età di trentatré anni. Ma aldilà di queste suggestive coincidenze, ad accomunare la loro sorte è stata soprattutto la speculare vicenda umana che le ha collocate accanto ai due dittatori quali favorite privilegiate, nonché fedeli custodi dei loro più intimi segreti. Claretta incontrò per la prima volta Mussolini nel 1932, sulla strada di Ostia, all'età di vent'anni (ma cominciò a scrivergli lettere traboccanti di ammirazione quando ne aveva solo dodici). Eva conobbe Hitler nel 1929 a Monaco, nel negozio di Heinrich Hoffmann - fotografo personale del Führer - presso il quale svolgeva il lavoro di commessa. Bionda, sportiva e di una bellezza quasi acerba, con qualche interesse per il jazz e la moda, Eva Braun vivrà accanto a Hitler per quattordici anni e sarà sua sposa per un giorno soltanto. Mora, avvenente, inguaribile grafomane, attorniata da una cricca di parenti e profittatori che destava preoccupazione nei gerarchi più vicini al Duce, Claretta Petacci seppe gestire con più spregiudicata consapevolezza, ma anche maniacale devozione, il suo legame con il fondatore del fascismo.
L'immagine popolare della legione romana è strettamente collegata a quella della sua più famosa classe di ufficiali: i centurioni, caratterizzati dalla cresta trasversale sull'elmo, dagli schinieri decorati a protezione delle gambe, dal bastone di vite impugnato nella mano destra. Furono i centurioni a mantenere esercizio e disciplina tra i legionari, con brutalità ma con efficacia, e furono le loro virtù militari e il loro coraggio a costituire il nerbo della macchina militare romana. Attingendo a una gran quantità di reperti archeologici e di fonti storico-letterarie, questo libro descrive gli incarichi, le carriere e l'aspetto dei centurioni durante l'epoca regia, consolare e classico-imperiale, fino alla caduta dell'Impero d'Occidente.
Spina dorsale della Regia Aeronautica nel corso degli anni Trenta, il CR.32 era un biplano da caccia dalle linee eleganti e al tempo stesso molto maneggevole. Nel 1936, quando il generale Franco chiese alla Germania e all'Italia appoggio aereo nella lotta contro i repubblicani per il controllo della Spagna, erano in servizio circa 400 esemplari. Alla fine dell'anno, 120 CR.32 furono inviati nella penisola iberica per proteggere i velivoli da trasporto e da bombardamento dei nazionalisti; superiori numericamente e per prestazioni agli He 51 germanici, i caccia Fiat riportarono numerosi successi in combattimento. In un primo tempo, furono pilotati soltanto da volontari italiani, ma verso la fine del 1936 venne formato il primo reparto interamente spagnolo. Nel corso della guerra civile, furono impiegati non meno di 477 CR.32. Ai piloti italiani che li condussero in combattimento fu accreditato lo sbalorditivo numero di 709 vittorie aeree; altre 320 vennero rivendicate da piloti spagnoli o di altra nazionalità che volavano con i colori dei nazionalisti, mentre le perdite ammontarono a sole 118 unità.