
Taranto, nata come colonia di Sparta, era la più grande potenza tra le colonie greche sparse nell'Italia meridionale, e la sua forza era basata sulla famosa cavalleria armata di giavellotto. In questo libro Nic Fields prende in esame i cavalieri tarantini, le loro origini, storia, tattiche, armi e il loro equipaggiamento; analizza inoltre il modo in cui i tarantini combattevano come mercenari nel Mediterraneo nei turbolenti anni che seguirono la morte di Alessandro Magno. Fotografie di rari reperti e tavole illustrative realizzate espressamente per questo lavoro completano la descrizione dei cavalieri di Taranto e del loro ruolo in molte, cruciali battaglie.
Per gran parte del XVI secolo, il Mediterraneo fu il teatro di guerra in cui si affrontarono cristiani e musulmani e, tra i numerosi scontri navali che videro contrapporsi i due schieramenti, quello che ebbe luogo a Lepanto il 7 ottobre 1571 è indubbiamente il più noto. Una flotta ottomana composta da 235 unità, tra galere e navi di altro tipo, fronteggiò la pressoché equivalente forza a disposizione della Lega Santa: dopo aver ingaggiato i turchi per oltre cinque ore, i cristiani li sconfissero. Quello di Lepanto è stato l'ultimo, grande combattimento tra galere, e una delle più importanti battaglie della storia. In questo volume, con l'ausilio di un vasto apparato iconografico, vengono approfonditi gli aspetti strategici, storici, tecnici e biografici di una tra le maggiori campagne navali del Rinascimento.
Questo libro è un viaggio nel tempo e nella memoria, un racconto che accompagna il lettore verso quei sedici mesi, cruciali per la Penisola, che videro l' Unità geopolitica italiana. L'intento è di scoprire, oggi, cosa vuol dire Italia ed essere italiani; l'eredità nel bene e nel male di questa unificazione e lo straordinario divenire che apre a noi e alle future generazioni prospettive inimmaginabili. Un saggio che è una sintesi lineare e chiara e per questo rivolta anche ad un pubblico giovane che si accosta per la prima volta a tematiche storico-politiche.
Il volume ricostruisce le relazioni intercorse tra la Santa Sede e il fascismo negli anni compresi tra il 1919 e il 1925, concentrandosi sul momento iniziale del loro rapporto, quello finora maggiormente lasciato in ombra dagli studi storici. Ripercorrendo le fonti già edite sul tema, e aggiungendo a esse lo spoglio sistematico delle carte conservate presso gli archivi vaticani relative al pontificato di Pio XI (1922-1939), Guasco esplora l'iniziale atteggiamento di diffidenza della diplomazia vaticana nei confronti delle squadre in camicia nera; i mutamenti intervenuti in San Pietro all'indomani della marcia su Roma e della costituzione del primo governo Mussolini, con il suo doppio volto di attenzione nei confronti dell'autorità romana e di attacco contro il clero e il laicato cattolico; il progressivo abbandono del Partito popolare e la liquidazione politica di don Sturzo; la campagna elettorale del 1924 e la drammatica conclusione della crisi innescata dal delitto Matteotti. Corredano il volume 150 documenti, editi e inediti, fonti ecclesiastiche, politiche e diplomatiche che consentono al lettore l'accesso diretto alla documentazione dell'epoca.
In genere gli storici preferiscono ricostruire il passato sulla base di testi e documenti scritti, dati politici, economici o statistici, in alcuni casi testimonianze orali. Ma cosa sarebbe la storia del fascismo o dello stalinismo se non conoscessimo le immagini usate per la propaganda? Quale sarebbe il giudizio su conflitti recenti come il Vietnam senza le testimonianze lasciateci dai reporter di guerra? E risalendo più indietro nel tempo, come potremmo scrivere la storia della vita quotidiana o delle abitudini alimentari dei nostri antenati senza considerare le rappresentazioni visive che ci sono state tramandate? O una storia dell'Antico Egitto che prescinda dallo studio delle pitture tombali? Attraverso un affascinante excursus nei secoli, ricco di esempi tratti dalla storia antica e moderna, europea ed extraeuropea, Peter Burke dimostra come l'uso delle immagini possa arricchire in modo decisivo la nostra conoscenza del passato e del presente. Un ritratto, una statua, un'iscrizione, un arazzo - o più di recente una fotografia o un film - possono rappresentare "prove storiche al pari di quelle più tradizionali, e ci aiutano a comprendere meglio eventi e contesti a noi vicini o lontani.
Tra il 1925 e il 1929, nell'indifferenza del mondo cosiddetto civile, il Messico visse una tragedia senza precedenti. Il governo della Repubblica nelle mani di un piccolo gruppo di potere, gli "uomini di Sonora" - inasprì a tal punto la legislazione antireligiosa che già aveva colpito la comunità cattolica, da rendere impossibile qualsiasi manifestazione della fede. Il clero fu espulso, ogni cerimonia e rito cancellati. Tutti i luoghi o gli istituti in qualche modo collegati al culto (chiese, conventi, seminari, scuole, istituti di carità) furono chiusi o confiscati. Di fatto, dopo il 31 luglio 1925 la Chiesa sparì dalla vita del popolo messicano. A quel punto accadde però qualcosa che nessuno aveva previsto: centinaia di migliaia di messicani, appartenenti a tutti gli strati della popolazione, insorsero dandosi alla macchia. I generali dell'Esercito federale pensarono di poterli sconfiggere in breve tempo, ma l'insurrezione di Cristo Re, la "Cristiada", coinvolse presto milioni di cittadini e interi Stati della Federazione caddero sotto il controllo di un esercito "cristero" sempre più potente e benvoluto. La reazione del Governo non si fece attendere e fu di straordinaria durezza: massacri indiscriminati, campi di concentramento, impiccagioni di massa. Ma i "Cristeros" moltiplicavano le forze a ogni sconfitta, mostrandosi pronti al martirio. E infatti non furono le armi a sconfiggerli, ma la diplomazia internazionale con gli Accordi del 1929.
Le polemiche che hanno caratterizzato la celebrazione dei centocinquanta anni dell'Unità d'Italia si sono spesso focalizzate sul crollo del Regno delle Due Sicilie e sulla fine dei Borboni. Un fronte antirisorgimentale giustizialista, alla ricerca di colpevoli e di complotti, ha oggi la presunzione di scrivere ciò che gli storici di professione non avrebbero mai scritto o avrebbero volutamente occultato. Renata De Lorenzo parte proprio dal confronto con le mitologie correnti, propone una rilettura attenta delle dinamiche interne ed esterne al contesto meridionale che dal post 1848 al 1861 hanno messo in crisi i modelli culturali di una dinastia e della "nazione" napoletana. E ricostruisce la fine del Regno borbonico, facendo il punto sulle contraddizioni e le complessità della vita politica, della società e dell'economia del Sud alla vigilia dell'Unità.
Renata De Lorenzo insegna Storia contemporanea e Storia dell’Ottocento presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università «Federico II» di Napoli. Membro del Consiglio di Presidenza dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano e Presidente della Società napoletana di Storia Patria, si è interessata di problemi istituzionali e di modernizzazione dell’apparato statale nel secolo XIX, con attenzione alle dinamiche del territorio. Per la Salerno Editrice ha già pubblicato Murat (2011).
Per una serie di circostanze imprevedibili le immagini di Achille, Meleagro e Cristo, usate e riusate per secoli, s'intrecciarono, sovrapponendosi. Che cosa spiega la loro ibridazione, la loro persistenza, la loro migrazione attraverso il tempo e lo spazio? Quanto contarono, nella fortuna di queste figure, le formule compositive originarie e quanto il contesto che di volta in volta le fece proprie? Questo libro cerca di rispondere a queste domande. Chi legge entra in un cantiere dove hanno lavorato, separati da secoli o millenni, scultori e pittori, storici e storici dell'arte. Luca Giuliani analizza la genesi e il precoce riuso nell'antichità romana dell'iconografia di Achille in lutto presso il cadavere di Patroclo; Maria Luisa Catoni, la possibile genesi e il riuso in età post-antica di una formula della disperazione di fronte alla morte; Salvatore Settis, la fortuna rinascimentale di uno schema iconografico antico usato per rappresentare il corpo esanime di Cristo; Carlo Ginzburg, la genesi della nozione di Pathosformel (formula di pathos) coniata da Aby Warburg.
Il 28 giugno 1839, la goletta negriera spagnola La Amistad salpò dall'Avana per effettuare una delle sue solite consegne di carico umano. Una notte senza luna, dopo quattro giorni di navigazione, i prigionieri africani si sollevarono, uccisero il capitano e presero il controllo della nave. Cercarono di far vela in un porto sicuro, ma furono catturati dalla marina militare statunitense e incarcerati nel Connecticut. La loro battaglia legale per la libertà finì per arrivare sino alla Corte suprema, dove la causa fu sostenuta dall'ex presidente John Quincy Adams. Grazie a una sentenza epocale gli imputati furono liberati e ricondotti in Africa. La loro rivolta divenne uno dei più emblematici episodi della storia della schiavitù americana. In questo resoconto, Marcus Rediker riconduce la rivolta ai suoi veri campioni: i ribelli africani che rischiarono la vita per rivendicare la propria libertà. Sulla base di nuove fonti, ne ricostruisce la vicenda per dimostrare come un piccolo gruppo di uomini coraggiosi abbia combattuto e vinto una battaglia epica contro gli schiavisti spagnoli e americani e contro i loro governi. Torna in Africa per ritrovare le radici dei ribelli, descrive il loro catastrofico viaggio transatlantico e narra una drammatica storia di prigionia. La rivolta vittoriosa dell'Amistad cambiò la natura stessa della lotta contro la schiavitù.
"In forma strisciante o in forma aperta, per molte generazioni, la guerra civile era, nelle città greche, "lo stato abituale, regolare, normale: si è nati, si vive, si morrà in essa. Non vi è atto, ambizione o pensiero che non si rapporti ad essa". Riconoscere che un conflitto è stato una guerra civile, cioè una guerra "tra cittadini", dipende dal vincitore. È il vincitore che concede, o non concede, al vinto tale riconoscimento. Che non significa annullare la distinzione tra torti e ragioni. Gli Ateniesi non compirono mai questo sforzo. Nel loro calendario ufficiale l'anno della guerra civile (404/3) era indicato con una formula quasi surreale: "non governo". Come se quell'anno non fosse mai esistito." Ripercorrendo l'opera storiografica di Senofonte, che di quei fatti fu protagonista, Luciano Canfora fa riaffiorare gli snodi drammatici che segnarono il sanguinoso epilogo fratricida della trentennale guerra contro Sparta: dall'elezione dei trenta "tiranni" alla riscossa dei "partigiani democratici" di Trasibulo fino alla violazione del patto di amnistia con l'eccidio di Eleusi. Un "diario" fazioso e apologetico, quello senofonteo, che va dunque raffrontato con le testimonianze di segno opposto, ma non per questo meno prezioso nel restituirci in presa diretta la crisi di un sistema in cui la manipolazione demagogica del consenso e il conflitto tra interessi di ceto, ideali e Realpolitik (temi di sorprendente attualità) aprirono crepe insanabili.
Nessun personaggio storico, se si esclude, forse, Adolf Hitler, ha mai goduto di così cattiva stampa come Nerone. Alcuni autori cristiani ritennero che fosse addirittura l'Anticristo. In realtà, Nerone fu un grandissimo uomo di Stato. Durante i quattordici anni del suo regno l'Impero conobbe un periodo di pace, di prosperità, di dinamismo economico e culturale quale non ebbe mai né prima né dopo di lui. Certamente fu un megalomane, un visionario, un esibizionista, un inguaribile narciso e, con tutta probabilità, uno psicolabile schiacciato prima da una madre autoritaria e castratrice e poi dall'enorme peso che, a soli diciassette anni, per le ambizioni di Agrippina, gli era stato scaricato sulle spalle, mentre lui avrebbe forse preferito dedicarsi alle arti predilette. Quel che comunque è certo è che questo imperatore chitarrista, cantante, poeta, attore, scrittore, auriga, curioso di scienza e di tecnica, fautore delle più ardite esplorazioni, fu un unicum non solo nella storia dell'Impero romano. Pensando "in grande stile", e cercando di modellare il mondo sulle proprie intuizioni e immaginazioni, fu un monarca assoluto che usò del proprio potere in senso democratico: non governò solo in nome del popolo, come voleva l'ipocrisia augustea, ma per il popolo contro le oligarchie che lo opprimevano e lo sfruttavano. E per avere il consenso del popolo - oltre che, beninteso, progettare e attuare misure molto concrete inaugurò quella che oggi chiameremmo la politica-spettacolo.
Il volume offre un panorama assai ampio e innovativo su cosa abbia significato e come si sia sviluppata la politica internazionale del papato in età moderna. Oltre a precisare le istituzioni e gli uomini che ne furono i protagonisti, i saggi qui riuniti mettono a fuoco gli obiettivi che il papato si propose rispetto al mondo cattolico, al mondo riformato, ai cristiani delle zone di frontiere con il mondo russo-ortodosso e in Medio Oriente e rispetto agli “infedeli” in Asia e in America.
Tutta la complessità del rapporto papato/politica internazionale è qui fotografata, esaminata, spiegata, compreso il suo essere determinata tanto dal carattere multiplo della sovranità papale e dall’evoluzione dei dibattiti intorno ad essa, quanto dal mutare della concezione della sovranità degli Stati e dalla trasformazione dei rapporti di forza internazionali.