
I tragici capricci della storia rendono, questo, un libro singolare. Ancora una volta Bruno Vespa intreccia presente e passato, narrato però in presa diretta, come fosse attualità. Assistiamo così alla lentissima costruzione di un idillio che avrebbe portato l'Europa alla catastrofe e, subito dopo, osserviamo il mondo d'oggi, che segue con il fiato sospeso le due guerre in atto (Ucraina e Medio Oriente) sperando che prevalga il buonsenso. Le vite parallele di Hitler e Mussolini ci mostrano due uomini segnati da un'infanzia difficile e da una giovinezza tormentata, e il rapidissimo precipitare della grave crisi che portò nel 1922 il Duce al potere e - un decennio dopo - il Führer a munirsi delle formidabili milizie private che nel 1933 furono alla base della conquista «democratica» del Reich. Vespa racconta i due dittatori anche nella loro opposta intimità. Hitler, forse omosessuale, circondato da bellissime donne che spinse alla disperazione e al suicidio. Mussolini, seduttore seriale, sedotto a sua volta dalla personalità di Margherita Sarfatti, che non gli perdonerà l'alleanza con il Führer e verrà abbandonata per la giovanissima Claretta Petacci. Tutto questo nella cornice di due nazioni che, sciaguratamente, ricorrono alla dittatura come cura salvifica. Dittature diverse, in cui al gradualismo autocratico di Mussolini si contrappone l'immediata ferocia totalitaria di Hitler. E l'Italia di oggi? Invoca inutilmente, come il resto dell'Occidente, ragionevolezza nell'Ucraina che brucia e nel Medio Oriente, dove l'uccisione dei due leader del terrorismo arabo, Hassan Nasrallah (Hezbollah) e Yahya Sinwar (Hamas), da parte di Israele non ha spento il conflitto. E Guido Crosetto espone i problemi dell'Italia a riarmarsi dopo un lungo periodo di pace. Nonostante nei primi due anni di governo il consenso di Giorgia Meloni sia cresciuto, nel paese e all'estero, e abbia portato Raffaele Fitto ai vertici europei (successo di cui si rivelano i retroscena), il premier racconta a Vespa le difficoltà a gestire l'immigrazione per l'opposizione dei giudici alla soluzione albanese e i provvedimenti presi per superarle, e di come abbia dovuto richiamare alla responsabilità ministri e dirigenti del suo partito dopo il caso Sangiuliano. Antonio Tajani illustra la nuova vita di Forza Italia, Matteo Salvini il neocostituito fronte europeo con i Patrioti, Roberto Vannacci il ruolo di esterno-interno alla Lega. Quattro governatori si confrontano sull'autonomia. E poi, Elly Schlein spiega la sua strategia per un'opposizione unitaria, messa in discussione da Giuseppe Conte, il quale annuncia qui la sepoltura politica di Beppe Grillo. Matteo Renzi parla dell'accordo con la Schlein, e Carlo Calenda di come ridare impulso ad Azione dopo il fallimento del Terzo Polo. Pagine appassionanti in cui la storia rivive e la cronaca incalza.
La cavalleria medievale, lungi dal costituire una realtà stereotipata, fu un mondo complesso e variegato, caratterizzato da molteplici ambiguità. Ambiguo fu anzitutto il termine "cavaliere", che dal significato originario di guerriero a cavallo passò ad indicare successivamente un uomo di rango sociale elevato, e solo molto più tardi divenne titolo nobiliare. La cavalleria costituì in realtà una funzione pubblica, che si privatizzò durante il Medioevo e accentuò il proprio carattere aristocratico e militare, fino ad assurgere in epoca feudale a braccio armato della Chiesa. Risale al Medioevo la nascita dell'ideale cavalleresco che tanto determinò i modelli di comportamento dell'epoca fino ad entrare nell'immaginario comune.
Pur mantenendo la divisione tradizionale tra storia moderna e contemporanea, segnata dalla cesura del 1815, questo Manuale si presenta profondamente innovativo sotto diversi aspetti. Non è una storia esclusivamente italiana o europea, è una storia narrata, caratterizzata da uno sforzo squisitamente letterario.
Per comprendere appieno la società europea d'Età Moderna è fondamentale ricostruire le vicende della sua classe nobiliare. L'esame della sproporzione fra numero e influenza è di grande interesse per studiare il reciproco interagire di tradizione e innovazione nella società degli ultimi cinque secoli. Il libro di Jonathan Dewald ricostruisce l'evolversi delle strutture nobiliari dal Rinascimento alla Rivoluzione Francese. Egli esamina i mutevoli dati statistici, la coscienza che i nobili avevano della loro posizione all'interno della società, le ricchezze accumulate e il potere politico, senza tralasciare di descrivere l'evoluzione degli stili di vita.
Con la sua ricca documentazione e le sue analisi che combinano costantemente i fattori religioso-culturali e quelli politico-sociali, la ricerca di Dimitri Gutas costituisce uno strumento indispensabile per conoscere l'epoca nella quale l'Islam si aprì alla filosofia e alla scienza greca e per valutare la grande portata storica di questo evento.
Lo Stato governato dai Savoia ha costruito la sua stessa esistenza nel contesto europeo praticando incessantemente i teatri di guerra: per stringervi alleanze, per garantirsi guadagni territoriali e stabilità istituzionale. Fra il secolo XVI e il XIX, fortune finanziarie, feudi, titoli nobiliari, o le semplici braccia dei più umili sono state gettate sul tappeto di una generale contrattazione di ruoli, di privilegi e di precedenze in cambio di una disponibilità a seguire il principe nelle sue guerre. Una storia della guerra che diventa la via originale per indagare su vari piani il tema classico dei rapporti fra società e Stato nel lungo e contraddittorio periodo di transizione dal feudalesimo al capitalismo.
Un percorso attraverso la lunga vicenda del continente europeo che analizza i momenti cruciali della storia moderna. Un'epoca in cui gli europei hanno conquistato il pianeta, perdendolo, non prima di averlo trasformato irreversibilmente e avergli trasmesso alcuni dei loro valori fondamentali: il capitalismo, lo Stato complesso e il pluralismo. Dalla valutazione degli aspetti contraddittori che hanno reso possibile la conquista, fino al culmine dell'età moderna al termine dell'Ottocento, l'autore distingue la modernità da un tempo presente post-moderno, che si apre con le guerre mondiali e coincide con un sostanziale declino dell'Europa e col parziale fallimento della sua identità.
Nel 1938, Karl Schwarz, il nonno tedesco dell'autrice, rileva, nell'ambito del processo di arianizzazione voluto dai nazionalsocialisti, la piccola azienda di prodotti petroliferi di Julius Löbmann, pagandola assai meno di quanto in realtà valesse. E quando dopo la guerra questi, unico sopravvissuto della sua famiglia sterminata in un campo di concentramento, chiede di essere risarcito, Schwarz per anni si rifiuta di far fronte alle rivendicazioni del padrone di un tempo. Alla fine pagherà, ma in famiglia l'episodio verrà il più possibile nascosto e infine rimosso. Da questa situazione individuale prende avvio la ricognizione di Géraldine Schwarz, che allarga subito la visuale mettendo in evidenza come la «mancanza di memoria» della sua famiglia trovi un pendant nelle strategie politiche della Germania nel dopoguerra: Adenauer, il primo cancelliere tedesco, se da un lato vincola il paese alle democrazie occidentali, dall'altro in molti ambiti della vita pubblica tollera la presenza di importanti personaggi del regime hitleriano. Bisognerà attendere sino agli inizi degli anni Sessanta, prima che nell'opinione pubblica tedesca si avvii quella riflessione sulle proprie colpe che ha portato alla Germania contemporanea. Ma la disamina dell'autrice si sposta ben presto anche su altri paesi come l'Italia, dove per anni ha potuto tranquillamente essere rappresentato in Parlamento il Movimento sociale italiano, un partito che non nascondeva le sue radici fasciste; o l'Austria sempre ben attenta a negare l'entusiasmo con cui Hitler e le sue truppe vennero accolti il giorno dell' Anschluss o infine l'altro paese di origine di Géraldine Schwarz, la Francia, dove dietro il mito della resistenza si sono nascoste le precise responsabilità di molti cittadini: fra questi, forse, anche il nonno materno dell'autrice, di cui non si sa molto oltre al fatto che fu gendarme in una zona dove il governo di Vichy dava la caccia agli ebrei. E sono proprio i paesi in cui la rielaborazione critica di quegli anni è stata carente, in cui hanno avuto la meglio i «senza memoria», questa la tesi centrale e attualissima del libro, ad apparire oggi particolarmente esposti al populismo e al sovranismo, a tollerare e fomentare il razzismo, e a propugnare una concezione antidemocratica della vita politica.
Il libro inizia la narrazione storica partendo dal 235 d.C., con l'incoronazione di Massimino il Trace, ragguaglia brevemente sui circa cinquant'anni di anarchia che chiudono il terzo secolo e si concentra sul periodo che va dal regno di Diocleziano (285-305) alla morte di sant'Agostino (430). Il libro risulta dunque dedicato in sostanza al quarto secolo: un periodo di profondi cambiamenti, con l'adozione ufficiale della regola cristiana, lo spostamento della sede imperiale a Bisanzio, il declino del potere di governo e della forza militare a fronte dei barbari. Ampio spazio l'autrice dedica alla cultura e a figure come Ammiano Marcellino e sant'Agostino.
Un volume che ricostruisce il destino dei soldati italiani fatti prigionieri dai sovietici durante la Seconda guerra mondiale. L'analisi si basa sul materiale inedito proveniente dagli archivi del Ministero degli Interni sovietico, che ha consentito di ricostruire le rete dei campi di prigionia, le disposizioni per il trattamento dei prigionieri, le condizioni di vita, la contabilità degli internati e dei morti, l'attività di propaganda rivolta ai prigionieri. L'incrocio di queste fonti con quelle italiane e con le testimonianze rese all'autrice, permette di raccontare il calvario dei soldati italiani dalla cattura, ai campi di concentramento fino al difficile ritorno. Un capitolo è dedicato alle "scuole antifasciste" organizzate nei Lager.
A lungo si è parlato di congiura del silenzio in merito alla morte di Giordano Bruno, a causa della scarsità di documenti relativi al suo rogo, nonché del dominio quasi esclusivo di una testimonianza, la più controversa di tutte: una lettera di Kaspar Schoppe a Konrad Rittershausen, pubblicata per la prima volta nel 1621 in un pamphlet dal titolo «Machiavellizatio», inserito in seguito nell'«Index librorum prohibitorum».Tuttavia, a partire dalla fine del XIX secolo - dopo l'affaire Campo de' Fiori - e fino agli anni più recenti, sono stati pubblicati ulteriori documenti sulla morte del Nolano, di cui il volume intende offrire una ricognizione. L'analisi di tali fonti consente di ricostruire quanto avvenne dopo la condanna del filosofo da parte del Tribunale dell'Inquisizione e dimostra che l'eco della morte di Bruno fu certamente più ampia di quel che si crede.
Senza avere la pretesa di fare una storia del partito popolare, l'autore ricostruisce il percorso del nuovo soggetto politico voluto da don Luigi Sturzo, come soggetto con programma progressista e aconfessionale. Tale punto di vista non era però condiviso dalla destra cattolica che, all'interno del Partito Popolare, su ciò diede battaglia fin dal primo congresso di Bologna del 1919. Il terzo elemento che viene preso in esame è l'atteggiamento di papa Benedetto XV che, inizialmente preoccupato dello sbilanciamento a sinistra, se da un lato favorì l'ala destra del partito, dall'altro non volle mai dar vita ad una formazione confessionale e conservatrice.