
Figlia di Teodosio I, Galla Placidia (368-450 d.C.) seguì a Ravenna il fratello Onorio, divenuto imperatore d'Occidente. Morto Alarico, che l'aveva presa in ostaggio, divenne la moglie di Ataulfo, il nuovo condottiero dei Visigoti. L'amore dello sposo le permise di essere elemento di avvicinamento tra barbari e romani. Assassinato Ataulfo, fu rimandata a Ravenna dove Onorio la dette in sposa al patrizio Costanzo. I due ebbero la dignità di augusti, cosa che permise al figlio Valentiniano III di succedere allo zio. Durante la minorità di Valentiniano, Galla resse il governo dell'Impero occidentale in un momento particolarmente delicato. Si dimostrò una donna forte di fronte alle avversità d'ogni genere che il destino le riservò. A partire dall'epoca tardoantica si sono affacciate alla ribalta della storia figure femminili di diversa estrazione che, per fortuna o abilità, hanno giocato un ruolo determinante. I cambiamenti della tarda antichità hanno portato la donna da una funzione fondamentale ma interna al gruppo o alla famiglia, a funzioni che oggi definiremmo pubbliche. E per questi motivi che possiamo considerare le vicende di Galla Placidia un'importante cartina di tornasole per leggere la storia di quel periodo.
Nel nostro tempo sentiamo parlare dei pirati che infestano alcune coste dell'Oceano Indiano e la nostra memoria si rivolge facilmente alla pirateria classica in età moderna. Questo libro risale ben più indietro nella storia e racconta la prima lotta documentata tra uno Stato e i banditi del mare: i pirati contro Roma. La fine della Repubblica coincise per Roma con un incremento dello sforzo per il controllo delle coste del Mediterraneo. Si trattava non solo di confrontarsi con una perenne e storica piccola interferenza di navi di poco conto, ma di domare un nuovo e virulento fenomeno: sulle coste desolate dell'Anatolia, in Cilicia, nasce una pirateria fatta non di individui ma di popoli interi, con città, porti e arsenali. Questa insidia si combinò alle altre difficoltà dello Stato romano, per diventare nel I secolo avanti Cristo un fattore determinante nelle carriere di uomini come Pompeo e Cesare, che si misurarono contro i predoni del mare senza esclusione di colpi, con cinismo e con grande attenzione alla comunicazione nei confronti dell'opinione pubblica in patria. A partire da una rigorosa disamina storiografica, l'opera racconta i viaggi, le navi e i tesori dei pirati del Mediterraneo, accompagnando a quest'analisi il racconto degli sforzi del Senato romano per eliminare gli irriducibili predoni della Cilicia.
La storia del cristianesimo nel Vicino e nel Medio Oriente è poco nota. Si sa che tutte le Chiese particolari risalgono alla Chiesa di Gerusalemme. Di là, dal giorno della Pentecoste, partì la missione evangelizzatrice degli Apostoli che dalla Palestina si estese ad Antiochia, alla Siria e all'Asia Minore, per toccare poi, oltre naturalmente all'Europa, l'Egitto, la Persia, l'Armenia e la Georgia. Nacquero, così, le Chiese siro-occidentale e siro-orientale (o assira), la copta, l'armena e la georgiana. Gemmate da una o dall'altra di queste comunità ecclesiali, ebbero poi origine la Chiesa dell'India a Est, la Chiesa Etiopica a Sud e la Chiesa Maronita del Libano in area mediterranea. In un tale panorama così vasto e complesso si colloca la materia storica di questo volume, il cui intento è quello di recare un contributo alla conoscenza di comunità cristiane che hanno espresso in poco meno di due millenni testimonianze religiose, civili e culturali di grande valore, generalmente ignorate. Comunità che, in maggioranza, stanno vivendo tragici giorni di sofferenza e di immani distruzioni, con il pericolo reale di scomparire proprio là dove, oltre mezzo millennio prima delle conquiste islamiche, hanno cominciato a vivere.
Il volume presenta una serie di contributi redatti lungo il corso degli anni per diverse occasioni concernenti il confronto e il rapporto tra le autorità dell'Impero romano, e più in generale, la società pagana, e le comunità cristiane dei primi secoli. È questo il filo rosso che, seguendo uno sviluppo prevalentemente cronologico, pur nella diversità degli argomenti, distingue i vari scritti qui presentati: sono come le tessere di un mosaico che compongono un quadro variegato. Si può facilmente constatare che determinati argomenti tornano in scritti diversi e tuttavia essi sono considerati da diversa prospettiva in modo che si completino piuttosto che ripetersi. In tal senso ciascun articolo va letto a sé stante, nella sua autonomia. In linea di massima non sono stati apportati aggiornamenti bibliografici.
Questo lavoro di ricerca prende avvio da una constatazione e da una curiosità. Partiamo dalla constatazione. Studiando la produzione cinematografica realizzata dal nazionalsocialismo tra il 1933 e il 1945, il confronto - estetico produttivo, comunicativo e ideologico - con un film si rivela imprescindibile: Süss, l'ebreo (Jud Süss, 1940) di Veit Harlan. Lo è per l'evidente qualità formale dell'opera, ma, soprattutto, per l'altrettanto evidente, quanto radicale, carica antisemita. Ed essendo l'antisemitismo uno snodo imprescindibile dell'ideologia nazionalsocialista, studiare Süss, l'ebreo significa, in fondo, studiare il totalitarismo hitleriano attraverso il punto di vista di un'«opera mondo» (un film di finzione), universo visivo di significati che racchiude l'essenza di un'epoca: la lotta tra l'elemento ariano minacciato dal suo nemico storico, l'ebreo. Quando oggi vediamo Süss, l'ebreo in realtà ci troviamo davanti a due differenti rappresentazioni del passato: la storia settecentesca di Süss, manipolata nella finzione cinematografica; e la storia del 1939-1941, quando la risoluzione della «questione ebraica» imboccò la strada che condusse alla «soluzione finale», prima con l'invasione della Polonia e poi con l'invasione dell'Unione Sovietica. L'interpretazione di Süss, l'ebreo è sin troppo semplice: i tedeschi hanno un solo modo per liberarsi dell'eterna minaccia ebraica. Il finale del film è la risposta. Per quanto riguarda invece la curiosità, è racchiusa in una domanda: cosa ne scrissero i critici italiani quando il film fu presentato in anteprima a Venezia nel settembre 1940 e uscì nel circuito nazionale nell'ottobre del 1941?
Alberto Monticone è noto per importanti studi che gli hanno assicurato un posto originale e di rilievo nella storiografia italiana moderna e contemporanea. Il suo libro di esordio, per le Edizioni Studium, La battaglia di Caporetto (1955), ha dato una svolta agli studi di storia militare del nostro Paese, alla quale ha contribuito pure con lavori successivi (ad esempio Plotone d’esecuzione, per Laterza, nel 1968) con ricadute anche nel dibattito civile.
Il libro La Germania e la neutralità italiana (il Mulino, 1971) ha poi confermato il suo ruolo nella storiografia europea. Ha coltivato inoltre filoni di storia religiosa in età moderna e di storia del movimento cattolico nel Novecento.
Innovativi sono stati i suoi studi sul regime (Il fascismo al microfono. Radio e politica in Italia, Studium 1978). L’impegno nell’associazionismo cattolico e l’attività parlamentare hanno in seguito arricchito il suo approccio alla cultura storica e consolidato il suo ruolo di riferimento per numerosi storici.
Ha insegnato nelle Università “La Sapienza” e LUMSA di Roma, in quelle di Messina e di Perugia, suscitando sempre nuove energie di ricerca, che si manifestano anche in questa raccolta di saggi che amici e allievi gli offrono al culmine della sua attività di studioso. Le quattro sezioni del libro rispecchiano gli ampi interessi coltivati da Monticone e, pertanto, i saggi qui raccolti danno originali contributi nei rispettivi campi toccati.
Angelo Sindoni ha insegnato Storia contemporanea nelle Università di Perugia e di Cosenza. È ordinario di Storia moderna nell’Ateneo di Messina.
Tra i suoi numerosi studi sull’Italia moderna e contemporanea, si ricorda l’opera, per le Edizioni Studium, Dal riformismo assolutistico al cattolicesimo sociale (2 voll., Roma 1984). Ha fondato – e ne è Coordinatore – il Dottorato di “Storia dell’Europa mediterranea”, con sede amministrativa nell’Università di Messina, dove è Prorettore con delega al Patrimonio storico, letterario e artistico.
Mario Tosti, professore straordinario di Storia Moderna nell’Università di Perugia, è studioso di storia delle istituzioni ecclesiastiche, della cultura e della sensibilità religiosa tra il Cinquecento e l’Ottocento, con saggi sul rapporto tra la cultura cattolica e i processi di laicizzazione dello Stato. Si è occupato inoltre di storia
delle strutture sociali con attenzione ai modelli di comportamento e alla mentalità (Associazionismo cattolico e civiltà contadina, Studium, Roma 1996). È Presidente dell’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea.
"Una impressionante analisi dei documenti: i discorsi del Duce, ovviamente, ma anche i suoi articoli da giornalista, i suoi tentativi letterari di scrittore; e, accanto a questi, le veline del Min.Cul.Pop., i testi ideologici collettivi, e i testi di altri rappresentanti del fascismo che a loro volta derivano da quella del Duce la loro comunicazione, imponendo un effetto-coro di rara efficacia. L'impianto del libro di Simonini appare così davvero completo. Si comincia con l'individuazione degli stereotipi lessicali e sintattici, e si perviene alla definizione di uno stile come idioletto mussoliniano, si passa per l'analisi ritmica dei discorsi, e si individua lo studio delle cadenze come formatore di passioni." (Omar Calabrese)
Il volume ricostruisce la storia culturale di un mondo, cristiano e pagano, nel periodo che va dall'antichità al Medioevo, concluso dall'espansione militare islamica e dalla reazione e dalla rinascita carolingie. Sullo sfondo, l'estraniamento progressivo tra Oriente bizantino e Occidente latino, la separazione dell'Africa romana dall'impero, con l'invasione vandala ariana, e dalla latinità e dal mondo cristiano, a causa della conquista islamica, le guerre interminabili che flagellano l'Italia, le ondate barbariche che dilagano in Gallia e nella penisola iberica anch'essa presto islamizzata, la nascita in Irlanda e Britannia di una particolare cultura cristiana che migra poi nel continente per evangelizzarlo.
Nel 1519 Caterina de' Medici, appena nata, rimane orfana di entrambi i genitori; nel 1527 si ritrova sola, senza alcuna protezione, ostaggio dei nemici della sua famiglia, prigioniera in un convento di monache; nel 1533 sposa Enrico di Valois, uno dei figli del re di Francia, che è innamorato di un'altra donna, molto più anziana di lei; nel 1544, dopo anni di dolorosissima sterilità, riesce a partorire il primo figlio, che viene affidato però all'amante del marito; nel 1545 cade da cavallo e rischia di spezzarsi la schiena; nel 1554 promuove una guerra contro il lontano cugino Cosimo de' Medici che finisce in disastro; nel 1559 rimane vedova. E diventa regina di Francia. Quella della giovane Caterina, racconta Marcello Simonetta, è la storia romanzata del lungo apprendistato di una bambina che tra lutti, pericoli e tradimenti si prepara a diventare regina di Francia. Ma è anche la storia della guerra fratricida che legherà per sempre il destino dei Medici a quello di un'altra potente famiglia fiorentina, gli Strozzi, epigoni falliti della libertà d'Italia: "dei disperati, a loro modo titanici". Per molti secoli, Caterina è stata considerata una regina dispotica e spietata, dedita all'occultismo e alla magia nera. Questo libro ci dipinge invece una donna molto più complessa, capace di attraversare tempi convulsi esercitando semplicemente il potere che le spettava.
Chi era Niccolò Machiavelli, il Segretario fiorentino, l'autore del Principe e della Mandragola? Di lui si è detto di tutto e il contrario di tutto: era un genio, un amico dei tiranni oppure un uomo coraggioso che denunciava i vizi dei potenti? Per scoprirlo si interrogano qui i suoi contemporanei: gli amici più cari come Filippo Strozzi e Francesco Vettori, altri meno intimi come Francesco Guicciardini, gli esponenti del mondo politico fiorentino, colleghi, nemici, cardinali, uomini di lettere, e perfino un'amante, la cortigiana Barbara Salutati. La storia di Machiavelli viene così a intrecciarsi con quelle di ventitré personaggi: sono i loro occhi e le loro parole, anche indirettamente, a delineare il caleidoscopico Machiavelli, restituendo un profilo umano, contradditorio, simpatico, beffardo, tagliente, patetico e appassionato. Questo libro aggiunge un nuovo capitolo alla bibliografia machiavelliana, che a volte si ripete stancamente. In ogni pagina il lettore troverà piccole e grandi sorprese che lo accompagneranno in una promenade istruttiva e inaspettata. Tutti gli uomini di Machiavelli si chiude con un ritratto femminile. Quello raccontato è un mondo di uomini dove le donne sono ridotte a meri oggetti sessuali o a ghiribizzi letterari. Ma ride bene chi ride ultima.

