
Nell'Europa del Cinquecento prende forma un sistema politico destinato a durare tre secoli o più. Le guerre d'Italia diventano lotta per l'egemonia sul continente; l'impero di Carlo V, prima potenza mondiale moderna, riesce a contenere la Francia e, con maggior fatica, l'espansione ottomana. La crisi religiosa della Riforma favorisce guerre civili e alimenta le tensioni tra Stati protestanti e cattolici, ma anche le speranze di una Cristianità di nuovo unita, o il desiderio di liberare gli Stati dai legami confessionali. Intanto la diplomazia permanente diviene la normale modalità delle relazioni tra Stati; la gestione di una massa sempre più densa di informazioni e l'emergere di un'amministrazione strettamente collegata alla politica modificano l'esercizio del potere; le esigenze belliche promuovono l'incremento (pur mai uniforme o lineare) della potenza dello Stato. Attento alle peculiarità dei vari Stati, il volume ne individua dei tratti comuni nella concezione patrimoniale del potere, nello sviluppo di una società di corte, nella costruzione sempre precaria di identità collettive, restituendoci gli interrogativi di un'epoca inquieta - come la nostra - per la fragilità della politica.
Nell'agosto del 1947, insieme alla proclamazione dell'indipendenza dell'India, veniva sancita anche l'istituzione di due stati differenti, distinti su base religiosa: l'India e il musulmano Pakistan. La "Partition" generò un'imponente migrazione in una direzione e nell'altra: sikh e indù lasciarono le regioni attribuite al Pakistan e i musulmani emigrarono da quelle indiane. Fu un evento gigantesco e tragico che coinvolse 15 milioni di persone e generò massacri e violenze: si parla di due milioni di morti. E fu l'origine di una tensione fra i due stati che si trascina ancor oggi e che nel 1971 ha visto la sanguinosissima guerra da cui è nato il Bangladesh. Questo trauma originario, qui ricostruito nel suo svolgimento e nelle sue conseguenze, ha segnato profondamente il Subcontinente: la sua evoluzione politica ma anche la vita delle persone e delle comunità permeando anche la letteratura, come attestano i tanti romanzi angloindiani che vi ruotano attorno.
Un accurato studio sui documenti conservati nell’archivio dell’Istituto degli Innocenti. Il volume ripercorre la storia di uno dei brefotrofi più antichi d’Europa, ricostruendo le vicende dei “gettatelli”, i bambini accolti per secoli nell’ospedale di Santa Maria degli Innocenti di Firenze.
"Bisogna sapere come questa Francia si è fatta o, meglio ancora, assistere da spettatori alla sua formazione". Questa formula è l'accenno più esplicito a quel progetto di storia totale a cui Taine si dedicò. Per un verso la sua mente è sistematica, inquisitiva, vuole scoprire le cause, ricostruire punto per punto come mai l'antico regime diede luogo alla mutazione rivoluzionaria, e poi al regime borghese. Ma per un altro verso Taine è un grande scrittore, incognito persino a se stesso: vuole dare forma, rappresentare, per il puro piacere della forma, come Flaubert. E nelle Origini i due poli si potenziano a vicenda, la tensione si esalta, spiccano sia la nervatura intellettuale che lo splendore della rappresentazione. Dall'Antico regime ci viene incontro, con imponente nettezza, la sensazione di un organismo che respira, desidera, odia, si abbandona alle sue cerimonie, ai suoi passi di danza, ai suoi capricci, ai suoi rancori. In breve, ciò che Taine ci offre è la fisiologia di una civiltà.
Dopo la sconfitta del nazismo e del suo credo nella superiorità della razza ariana, nessuno oggi potrebbe definire il razzismo come una dottrina che si fonda sull'affermazione di una gerarchia tra le razze umane. Si tratta, allora, se si vuole combattere un fenomeno così diffuso, di pensare a una sua ridefinizione. E ciò comporta, contemporaneamente, la necessità di una ridefinizione dell'antirazzismo, il quale si trova di fronte alle nuove forme di razzismo dell'epoca postnazista: la persecuzione delle minoranze, la xenofobia anti-immigrati, le manifestazioni e le guerre etnonazionaliste.
Una raccolta di circa trenta documenti, ordinati in stretto ordine cronologico, forniti da familiari e amici e che coprono il periodo dal '38 al '45. Pochi e sintetici i commenti perché i documenti si commentano da sé. Questi documenti - oltre a dare testimonianza di come andarono le cose mostrano e rendono concreta la vita di tutti i giorni.
La presenza degli Ebrei in Europa si dipana in questo volume dall'apertura dei ghetti fino agli avvenimenti più recenti; la storia dell'antisemitismo, le origini del sionismo, gli ebrei durante il Risorgimento e all'epoca della Prima Guerra Mondiale e durante la Rivoluzione russa, le vicende degli ebrei nel periodo nazifascista, la nascita dello stato di Israele e il sorgere del problema mediorientale, la vita delle comunità ebraiche...
Un racconto capace di fornire tutti gli strumenti idonei per la conoscenza e la valutazione degli eventi.
«Questa è stata la mia vicenda. La storia di chi riuscì a tornare da quella guerra nella steppa bianca. Dopo di allora nessuno di noi, cavalli e uomini, avrebbe più combattuto insieme né caricato» L'epopea del Reggimento Savoia Cavalleria (3°) nella steppa russa durante la Seconda guerra mondiale. La voce narrante è quella di Albino, cavallo maremmano, che, insieme ai suoi compagni, prese parte alla carica di Isbuscenskij, il 24 agosto 1942, tradizionalmente conosciuta come l'ultima carica di cavalleria. Ferito in battaglia, sopravvissuto nella ritirata, di lui si persero le tracce fino a quando, a guerra ormai conclusa, venne fortunosamente ritrovato e riconsegnato al suo Reggimento. Dove e con chi era stato? Un mistero che appassionò gli italiani nel dopoguerra, e che richiama alla mente la trama di "War Horses", da cui Steven Spielberg ha tratto l'omonimo film. Con l'unica differenza che quello che qui viene narrato è tutto autentico. Per la prima volta, il libro racconta il punto di vista di Albino e prova a risolvere il giallo della sua scomparsa ma soprattutto rende omaggio ai soldati caduti, all'antica tradizione cavalleresca e alle migliaia di cavalli sacrificati in nome della guerra.
Opera fondamentale della latinità e di tutta la storiografia occidentale, "Le storie" di Tacito furono scritte intorno al 110 d.C. e narrano - nella parte a noi pervenuta - i fatti del 69-70 d. C., dal famoso "anno dei quattro imperatori" succeduti a Nerone alla prima guerra giudaica con l'assedio di Gerusalemme. Benché incomplete, "Le storie" costituiscono un prezioso documento per conoscere la storia del I secolo dell'Impero e un raffinato documento letterario, di straordinaria densità e forza espressiva. Severo, solenne, Tacito scava nel profondo degli animi degli uomini per dipingere senza infingimenti la brama di potere di chi regna, l'ipocrisia dei cortigiani, la volubilità degli eserciti, l'insensatezza del volgo. Con un'analisi lucida e un giudizio acuto, innalza il contingente - la vicenda del principatus romano - a categoria storica universale, mostrando come la corruzione dei valori, il benessere e l'avidità abbiano portato alla fine di quella libertas mai sufficientemente rimpianta. Ancora oggi le sue parole permettono di penetrare nei disegni nascosti dei governanti, mostrando "di che lacrime grondi e di che sangue" la facciata del potere.
Il Medioevo ha un'importanza capitale nello sviluppo dell'Occidente: esso si pone infatti come il raccordo fondamentale tra il mondo greco-romano e la modernità, tra classicità e dinamismo contemporaneo. In questo ampio raccordo l'alto Medioevo, compreso tra il V e il X secolo, si presenta come un periodo particolarmente travagliato, in cui l'eredità antica deve confrontarsi e amalgamarsi con la cultura delle popolazioni seminomadi che dall'Europa centrale si sono allargate nell'area mediterranea. Il basso Medioevo, dall'XI al XV secolo, va considerato come il prologo del mondo moderno, un prologo caratterizzato da una pluralità di elementi e trasformazioni anche violente.

