
Dagli altari alla polvere, dalla monarchia dei padri alla monarchia dei figli. La parabola del potere paterno ha toccato oggi il suo minimo. È un dato ormai acquisito che la patria potestà sia 'politicamente scorretta: millenni di progettazione ed elaborazione culturale sono stati azzerati negli ultimi duecento anni e il 'padre di famiglia' appare definitivamente il fossile di un'altra epoca. I nuovi padri subiscono - soprattutto se separati discriminazioni e svantaggi, eredità paradossale e coatta della tirannide esercitata per millenni dai loro antichi predecessori. Ai presunti diritti del padre sono anteposti gli inalienabili diritti del figlio. In un saggio di ampio respiro, Marco Cavina traccia la storia plurisecolare della costruzione e del progressivo smantellamento di un mito fondante dell'uomo in società: il padre come colonna dell'ordine domestico e sociale; il padre come referente del potere politico e religioso; il padre come veicolo della tradizione e dell'esperienza fra le diverse generazioni.
«La violenza maritale è stato un elemento fisiologico e accettato del matrimonio, legalmente fino a tutto l'Antico Regime, socialmente ben oltre. E occorre ovviamente tener sempre presente che il 'sommerso' in questa materia fu – un tempo come e più di oggi – di enormi dimensioni, anche se le mogli d'Antico Regime non erano affatto inerti dinanzi alle vessazioni coniugali, e anche se le istituzioni medievali e moderne furono spesso tutt'altro che svagate nell'affrontarne gli abusi più eclatanti. Quel che resta di tanti 'inferni coniugali' nelle loro formulazioni giudiziarie rappresentò – un tempo come e più di oggi – la punta di un iceberg. Dietro alle mura domestiche si occultò un'infinità di violenze, talora gravi, talora modeste, talora nemmeno avvertite come tali e accettate con rassegnato fatalismo. Un certo modo di intendere la violenza coniugale è, sul piano formale, definitivamente tramontato, ma sulle leggi continuano a piovere le meteoriti sociali del vecchio ordine.»
Marco Cavina interpreta le fonti dottrinali (i teologi, i precettisti morali, i giuristi, i politici), consulta le fonti letterarie e quelle processuali, le confronta con la cultura dominante dal Medioevo in poi per esaminare gli ambiti nei quali maggiormente la violenza si è manifestata, facendoci scoprire l'anima nera del matrimonio dietro lo stereotipo tranquillizzante dell'armonia del focolare.
La caduta di Costantinopoli nel 1453 apparve ai contemporanei come un evento epocale. Mentre gli eserciti turchi sembravano ormai destinati a conquistare Roma e a instaurare un nuovo impero islamico, in tutta l'Europa dilagò un clima di terrore in cui presero a diffondersi profezie che annunciavano conseguenze terribili e perfino la fine del mondo. Con la conquista della capitale imperiale, il sultano Maometto II poteva, a buon diritto, sostenere di essere l'erede del titolo di imperatore romano, e perciò l'unico candidato a ricostituire l'antico impero. Questa volta sotto il segno dell'islam. A nulla valse la lettera di papa Pio II, in cui gli prometteva il titolo e le terre dell'impero romano d'Oriente, a patto che si battezzasse e abbracciasse il cristianesimo. Ciò non impedì, tuttavia, la circolazione della leggenda secondo la quale Maometto il profeta sarebbe stato non solo cristiano, ma papa in pectore. Segno di quanto forte fosse il desiderio di porre fine alle violenze e realizzare un dialogo interreligioso fra cristianesimo e islam.
La caduta di Costantinopoli nel 1453 apparve ai contemporanei come un evento epocale. Mentre gli eserciti turchi sembravano ormai destinati a conquistare Roma e a instaurare un nuovo impero islamico, in tutta l'Europa dilagò un clima di terrore in cui presero a diffondersi profezie che annunciavano conseguenze terribili e perfino la fine del mondo. La caduta di Costantinopoli del 1453 nelle mani dei turchi segna la fine di un impero bimillenario e di un potere che si riteneva universale. È un evento epocale ma anche la fonte di sogni, di aspirazioni, di leggende e di profezie.
Una testimonianza lunga oltre vent'anni, che attraversa uno dei periodi storici più drammatici del nostro Paese. Enrico Caviglia è un osservatore lucido, attento e un narratore arguto, spesso spassoso, con un gusto che oggi si direbbe del "gossip". Sono resoconti autorevoli che ricostruiscono una grande pagina di Storia, popolata da personaggi ed eventi che segneranno un'epoca: Mussolini e Hitler, gli attacchi a Badoglio, i giudizi su Vittorio Emanuele III e Casa Savoia. E poi le leggi razziali, l'entrata in guerra e i suoi tentativi per convincere Mussolini a restare neutrale. Infine la caduta del fascismo e la sua mancata nomina alla guida del governo. Il re gli preferì Badoglio ma dopo la fuga del sovrano e del Primo ministro, solo Caviglia restò a Roma per cercare di arginare il caos.
Raccolta di testimonianze dei protagonisti di un momento storico estremamente importante per la nostra storia.
Parole rubate dall'informatore, lettere sequestrate alla censura, relazioni settimanali degli organi di polizia che registrano per il Duce lo "stato d'animo delle popolazioni". Cavallo è riuscito a ricostruire come la pensavano gli italiani, quasi giorno per giorno, sulla guerra. Questo libro non costituisce dunque una storia della guerra in Italia, dei fatti politici e militari, ma una storia dei sentimenti, dell'immaginario che la guerra ha generato: in breve una storia di come essa è stata percepita e vissuta. Un tema in larga parte inedito, studiato anche su fonti e materiali come canzonette, film, commedie e barzellette, ossia tutta quella produzione che al tempo stesso rispecchia e influenza l'immaginario collettivo.