
Atleti, intellettuali e spie:
sul palcoscenico di una Roma torrida e romantica
rivivono gli indimenticabili protagonisti
di giochi olimpici entrati nella leggenda
e del grande gioco
della politica internazionale.
“Maraniss racconta con la precisione di uno storico
e lo stile avvincente di un romanziere.
Roma 1960 si popola così di personaggi strani
e di storie segrete o dimenticate.”
– La Repubblica
“Chi ama lo sport e la politica
deve avere questo libro.”
– International Herald Tribune
“Roma, nel 1960, fu spazzata dalle Olimpiadi come da una ventata di freschezza.” In una città che cerca di scrollarsi di dosso le pesanti eredità del fascismo, già immersa nella Dolce Vita e nel boom economico, approdano dai quattro angoli della Terra le delegazioni sportive di quelle che passeranno alla storia come le prime Olimpiadi dal dopoguerra a tornare ai fasti del passato, ma nel contempo le ultime dell’era romantica, ispirate ancora a una concezione aristocratica e “non professionista” dei Giochi. In questo periodo cominciano infatti a emergere nuove forze destinate a mutare profondamente lo sport in generale: gli sponsor, le tecnologie, il doping. “Eravamo galletti ruspanti e non bronzi di Riace” ricorda Livio Berruti, oro nei 200 metri, “ora anche il più sano ha bisogno di supporti medici specializzati.” E le prime Olimpiadi in mondovisione sono anche il palcoscenico di un equilibrio politico mondiale in rapida evoluzione, con Usa e Urss al centro di una sfida a suon di medaglie e di propaganda, un altro volto di quella Guerra fredda che nel giro di due anni porterà alla crisi dei missili. Roma 1960 intreccia le cronache mozzafiato e le personalità eccezionali di quei diciotto giorni a scenari politici e questioni sociali che avrebbero segnato i decenni successivi, ricostruendo il ritratto collettivo di un’Italia perduta, popolata per un’intensa stagione da personaggi entrati nel mito. La medaglia gettata da Cassius Clay; la riscossa degli atleti delle ex colonie di cui Abebe Bikila, il “corridore scalzo” etiope, diventa il simbolo; le leggendarie Tigerbelles, afroamericane che sfidano, vincendo, i pregiudizi maschilisti e razziali del pianeta intero. Senza dimenticare le gesta meno confessabili degli ambigui personaggi che nell’ombra inseguivano il potere o il denaro, ben consapevoli che quel “semplice” evento sportivo stava scrivendo una pagina fondamentale nella storia del secolo breve.
"Perché leggere i classici?", L'interrogativo ha attraversato la riflessione estetico-critica moderna e contemporanea, da Sainte-Beuve a Croce, da Eliot a Calvino ed appare oggi più che mai attuale in tempi di indifferentismo storico, di smarrimento del senso della continuità dialettica della storia, di inquieta ricerca di identità etico-culturale. Nato da un'intima passione dell'autrice per il mondo classico e da anni di pazienti ricerche, il volume si apre con una filosofica causerie sui concetti di classicità e classicismo, passando nei capitoli successivi ad un'analisi, lungo l'asse cronologico, delle diverse modalità di approccio ai classici, ad una breve, essenziale storia della ricezione e della tradizione testuale, per poi aprire un approfondimento monografico di più ampio respiro sugli echi classici nella letteratura italiana, con particolare attenzione al panorama novecentesco. A chiusura dello studio una riflessione dedicata alla didattica dei classici nel tempo: uno sguardo sintetico su storia, metodi, problemi, particolarmente utile a docenti e studenti.
Che cos’è un sasso rispetto a un uomo? Solo un frammento di sabbia rappresa, di calcare compatto. Ma la pietra resta, e su di lei scorrono i millenni come rugiada di tempo. A Gerusalemme uomo e pietra s’incontrano, convergono l’uno nell’altra: ciascun sasso ha un passato drammatico, e se potesse parlare racconterebbe lacrime e calore di corpi, talvolta grida di festa, ma più spesso urla di dolore. In questo libro a lungo dimenticato ed edito solo in inglese nel 1969, Fosco Maraini attraversa con sapienza filosofico- teologica e archeologico-antropologica, la città cosmopolita e caotica delle tre religioni. Si affida agli edifici, soprattutto a quelli sacri, come il santuario musulmano detto «Cupola della Roccia», o la cappella-collina del Calvario, o alla pietra del Sepolcro, per raccontare una vicenda di uomini e di Dio: poiché Gerusalemme sconfina ovunque nell’invisibile, ed è questo che la rende unica. La storia potente e suggestiva di una sacralità contesa e conflittuale, perfettamente attuale nella sua complessità.
Fosco Maraini è stato docente di Lingua e Letteratura Giapponese all’Università degli Studi di Firenze. Tra le sue tante pubblicazioni, ricordiamo le più note: «Segreto Tibet» (2000), «Ore giapponesi» (2008), entrambe rieditate da Corbaccio, e l’autobiografia «Case, amori, universi» (La nave di Teseo, nuova ed. 2019). Maria Gloria Roselli è curatrice del Museo di Antropologia - Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Firenze, dove si è, tra l’altro, dedicata allo studio delle collezioni donate da Fosco Maraini.
«Volevo tacere. Ma il tempo mi ha chiamato e ho capito che non si poteva tacere. In seguito ho anche capito che il silenzio è una risposta, tanto quanto la parola e la scrittura. A volte non è neppure la meno rischiosa. Niente istiga alla violenza quanto un tacito dissenso»: sono le parole che Márai incide sulla soglia di questo libro bruciante. Un libro di cui nel suo diario dice: «Non voglio che questa triste confessione, questo atto d'accusa nei confronti della nazione ungherese, venga letto anche da stranieri». Tant'è che si era deciso a pubblicarne solo una parte (la seconda: Terra, terra!...), e solo nel 1972. Un «testamento tradito», dunque? Non c'è dubbio. Come non c'è dubbio che (non diversamente che in altri, notevolissimi casi) ne sia valsa la pena: perché qui - in uno stile asciutto ed efficace, che non cela tuttavia l'amarezza di fondo - Márai racconta gli anni che vanno dall'Anschluss (quando lui era ancora un autore e un giornalista famoso) al giorno in cui i carrarmati tedeschi varcarono i confini ungheresi nel marzo 1944, e spinge lo sguardo fino ad altri giorni ferali: l'arrivo dei sovietici nel 1945, la scelta dell'esilio nel 1948. In quegli anni «una sorta di nebbia gialla era calata sugli occhi di una società in preda all'amok», una società che continuava a cullarsi in una «speranza autoingannatoria» senza rendersi conto di vivere «su un pantano ribollente sotto cui gorgogliava un vulcano». Il grande romanziere delle Braci ci consegna in queste pagine una appassionante testimonianza, che abbaglia per il modo in cui unisce la malinconia del ricordo alla precisione e all'acutezza delle analisi storiche.
I Neanderthal sono un buon modo per raccontare la scienza delle nostre origini e i suoi formidabili progressi. Ne abbiamo bisogno ancora di più oggi, noi esseri umani dell'Antropocene, con tutte le sfide che dobbiamo affrontare. «Sono seduto su un grande masso di fronte al mare. Alle mie spalle la grotta del Monte Circeo frequentata dai Neanderthal». Con queste parole ha inizio un sogno: un incontro immaginario tra un paleoantropologo e l'ultimo dei Neanderthal. I due condividono le competenze di oggi e le esperienze vissute nel tempo profondo. Dialogano così sull'origine, sulle caratteristiche e sui comportamenti dei Neanderthal, come pure sul loro destino. Ne deriva l'affascinante narrazione di una specie simile alla nostra, ma anche profondamente diversa da noi, con la quale ci siamo confrontati dopo centinaia di millenni di separazione evolutiva. Non solo, però: la vicinanza genetica ha reso possibili incroci che hanno lasciato tracce durature in tutti noi. I Neanderthal sono ancora qui.
Il diritto romano è, senza dubbio, una delle forme culturali che hanno lasciato l'influenza più duratura e ampia nella storia umana. Fra le ragioni di questo successo vi è una produzione letteraria - quella dei giuristi - capace di attingere valori, parole e argomenti dall'intera cultura latina e di trasformarli in un'efficace tecnica di governo della società. Mettendo a frutto una documentazione ricca e variegata, Dario Mantovani, storico del diritto romano al Collège de France, con un approccio all'intersezione tra diritto, filologia e storia, restituisce a questa 'letteratura invisibile' il posto che le spetta. Sottoporre gli scritti dei giuristi di Roma ai metodi e alle questioni solitamente riservati alle opere letterarie consente di accertare sotto quale forma circolassero e di determinare se la loro diffusione fosse più o meno estesa e quali strati sociali toccasse. Scopriremo soprattutto il modo di ragionare dei giuristi, capaci di adottare di volta in volta forme espressive e ruoli differenti, qui impersonati da tre figure: il giurista filosofo, il giurista storico e il giurista insegnante. Una versatilità che spiega anche l'immenso lascito che hanno trasmesso alla cultura giuridica moderna.
Nel tumultuoso scenario del Cinquecento, Margherita d'Austria spicca come figura chiave della politica e della cultura d'Europa. Figlia naturale dell'imperatore Carlo V, cresce a corte nelle Fiandre e attraversa un'esistenza ricca di sfide e consensi, intrecciando il suo destino con grandi dinastie dell'epoca. Questo libro approfondisce, in percorsi nuovi e cantieri di studio, il ruolo poliedrico di Margherita d'Austria, esplorando le sue abilità diplomatiche tra sovrani e papi, tra mariti - Medici e Farnese - e ducati, il suo impegno come governatrice e il suo estro imprenditoriale, anche attraverso le ricche corrispondenze e le solide relazioni che seppe intrecciare con gli attori dell'epoca, diplomatici, politici, religiosi. Non solo donna di potere sempre attenta al destino delle donne, Margherita connette corti e culture diverse, cavalcando tra i confini degli Stati dell'Europa futura.
Che cosa hanno in comune lo storico marxista Eric Hobsbawm, il poeta Konstantinos Kavafis, il vice Führer Rudolf Hess e il futurista Filippo Tommaso Marinetti? Nulla, se non il fatto di essere nati ad Alessandria, la città più cosmopolita dell'Egitto. Un mondo a parte, un crogiolo di lingue, etnie e culture, dov'era possibile leggere gli ultimi romanzi pubblicati a Londra e Parigi, organizzare mostre di artisti di fama internazionale o mettere insieme collezioni archeologiche dal valore inestimabile. E, soprattutto, passare da un'identità a un'altra, da una lingua all'altra, liberandosi dai vincoli delle nazionalità e delle confessioni. Alessandria, la regina del Mediterraneo, ma non solo. Smirne, Salonicco, Beirut, città globali prima della globalizzazione, esempi aurorali delle città miste che caratterizzano il mondo contemporaneo. In una parola, il Levante: luogo d'incontro tra Oriente e Occidente, di dialogo e di confronto tra cristianesimo e Islam, ma anche di violenze laceranti, di genocidi e pogrom perpetrati in nome del nazionalismo o del fanatismo religioso. Se "multiculturalismo", "assimilazione" e "integrazione" sono parole che spesso in modo astratto scandiscono da anni l'agenda del dibattito politico, c'è stato un tempo in cui esse testimoniavano di realtà concrete, tangibili, fatte di scambi e compromessi, di convivenza e di tolleranza, per quanto fragili e difficili da conservare.