
John Maynard Keynes e Friedrich von Hayek si ritrovarono su fronti opposti in una contrapposizione che si fece sempre più netta e che diede luogo al maggiore scontro in campo economico della storia contemporanea. Al centro della contesa si impose la questione se spettasse ai governi e allo stato intervenire nel mercato e in economia, o meno. Tutti e due poterono osservare l'espansione e la recessione del ciclo economico dell'epoca, ma giunsero a conclusioni molto differenti in proposito. Hayek era convinto che il fatto di alterare l'"equilibrio" del libero mercato avrebbe provocato una selvaggia inflazione. Keynes credeva invece che per contrastare la disoccupazione di massa e favorire la crescita alla fine di un ciclo servisse la spesa pubblica. Sarebbero stati in disaccordo per il resto delle loro vite e per vent'anni si confrontarono per lettera, con sapienti articoli e interventi accademici, in accalorate conversazioni private e infine tramite i ferventi discepoli: da John Kenneth Galbraith a Milton Friedman. Dalla Grande depressione alla seconda guerra mondiale e dal dopoguerra al presente, Nicholas Wapshott, nel suo stile narrativo e con grande capacità di rendere comprensibili complesse questioni economico-finanziarie, riporta in vita gli animati dibattiti tra questi due giganti del ventesimo secolo, la cui eredità condiziona tuttora il dibattito politico.
Descrizione
La fine dell’Impero romano ci fu, eccome. E fu caratterizzata da una drastica flessione demografica, da un generale impoverimento, dalla perdita di quelle caratteristiche di vivibilità urbana, di cultura diffusa che avevano impresso un segno speciale alla civiltà romana. La fine dell’impero fu la fine, se non della, perlomeno di una civiltà. Al di là del tono brillante e qua e là della vis polemica, siamo dinanzi a un libro serio ed equilibrato che, non senza una punta di pessimismo, ci presenta la fine dell’età classica e dell’Impero romano. Franco Cardini
Un libro programmatico già dal titolo. La fine della civiltà romana fu cruenta, comportò sofferenza per i romani conquistati dai barbari, e un generalizzato cedimento del livello di civilizzazione. Ne scaturì una età oscura:Ward-Perkins rispolvera per l’alto medioevo questa espressione che non si leggeva da tempo. Marina Montesano, “il manifesto”
Nessuna precotta discussione sulle trasformazioni dell’impero, nel libro di Ward-Perkins. Al contrario è tutto violenza, orrore e cataclisma. Le sue argomentazioni hanno una qualità apocalittica. Tom Holland, “The Sunday Times”.
Indice
Prefazione all’edizione italiana - Premessa - I. Roma è mai caduta? - Parte prima La caduta di Roma - II. Gli orrori della guerra - III. Verso la disfatta - IV. La vita sotto i nuovi padroni - Parte seconda La fine di una civiltà - V. La scomparsa del benessere - VI. Perché la scomparsa del benessere? - VII. Morte di una civiltà? - VIII.Va tutto bene nel migliore dei mondi? - Appendice Dai cocci alle persone - Note - Bibliografia - Cronologia - Cartine - Fonti delle illustrazioni - Indice analitico
Roma non è caduta. O almeno cosi dicono le più recenti teorie storiografiche. La transizione al dominio germanico sarebbe stata graduale e pacifica, risultato di una progressiva integrazione delle popolazioni del nord, vitali ma primitive, nel grande organismo imperiale, raffinato e ormai prossimo all'esaurimento. II loro mescolarsi avrebbe dato vita a una nuova era di positive trasformazioni culturali. Niente affatto, sostiene Bryan Ward-Perkins. Ma quale integrazione, quale proficua sistemazione delle popolazioni esterne entro i confini dell'impero! "I Germani che invasero l'impero d'Occidente occuparono o estorsero con la minaccia della forza la massima parte dei territori in cui si stabilirono, senza alcun accordo formale sulla divisione delle risorse con i loro nuovi sudditi romani. Dovunque si abbiano testimonianze di una certa ampiezza, la norma era indubbiamente la conquista o la resa alla minaccia della forza, e non un accordo pacifico".
Leader carismatico, seduttore privo di scrupoli, stratega lucido e volitivo, Gaio Giulio Cesare è stato al contempo brillante politico e genio militare, protagonista di un'ascesa vertiginosa e di alcune delle più spettacolari vittorie della Storia. Nel corso dei secoli, numerosi sono stati i suoi commentatori e biografi, quasi mai imparziali. In questo libro monumentale, che ha ottenuto nel 2007 il Distinguished Book Awarddella Society for Military History, Adrian Goldsworthy colloca Cesare nel contesto del mondo mediterraneo e della ricca e turbolenta società tardo-repubblicana: dalla difficile esperienza del consolato alla relazione con Cleopatra, dalle campagne in Gallia e Britannia fino all'affermarsi della dittatura. Ricomponendo i pezzi di un grande mosaico, lo storico disegna la figura di un "colosso", un ritratto ineguagliato per precisione documentale e fluidità letteraria che ci ricorda perché, dopo duemila anni, il nome di Cesare continua a esercitare un fascino assoluto.
L'incredibile odissea di una giovane ragazza di vent'anni nell'inferno della Shoah e nel cuore del Terzo Reich per ritrovare Julius, l'uomo che ama. Un viaggio lungo 3.300 chilometri, da Zagabria a Budapest, da Dachau a Norimberga, sfidando la polizia segreta, gli eserciti, la delazione, le frontiere, i bombardamenti. La determinazione di Olga nell'inseguire il suo uomo per un amore che ha ben pochi ricordi concreti - un bacio sulle labbra, qualche serata all'Opera, poco di più - non si arresta di fronte a nulla. A nessun impedimento. A nessuna beffa del destino. Nemmeno ai cancelli di Buchenwald, il campo dell'orrore.
E' il 1915: l'Austria e l'Italia sono in guerra. Il fronte su cui si combatte è lungo 450 chilometri: un arco dall'Ortles all'Adriatico. Nelle pagine del libro rivivono episodi, scontri e atti di valore di entrambe le parti.
Nella Cecoslovacchia degli anni '30, Ilse Weber è una giovane donna ebrea, colta e vitale, che ha rinunciato a una brillante carriera di scrittrice per l'infanzia e autrice di radiodrammi, per amore del marito Willi e dei suoi due bambini. È una parentesi felice che non è destinata a durare: con l'occupazione tedesca del Paese, gli ebrei sono fatti oggetto di una persecuzione crudele e inesorabile. Ilse deve progressivamente rinunciare a tutto - alla propria casa, ad andare al cinema, a teatro, nel parco, persino a uno dei suoi bambini, Hanu, che a nove anni lascia la famiglia per raggiungere prima l'Inghilterra e poi la Svezia -, conformarsi ai divieti più umilianti, vedere gli amici di un tempo evitarla o girarle le spalle. Fino alla suprema prova dell'internamento a Theresienstadt nel febbraio 1942. Tutte queste vicende ci sono restituite, nello stile semplice e immediato di una conversazione, dalla sua corrispondenza con Lilian, l'amica che accoglie Hanu in casa sua, e con pochi altri interlocutori. Ma della Weber ci sono miracolosamente giunte anche le poesie e le canzoni composte per i bambini del reparto medico pediatrico del campo di concentramento. Raccolte e seppellite in un capanno degli attrezzi prima del trasporto finale ad Auschwitz (avvenuto nell'ottobre 1944), sono state recuperate dal marito dopo la liberazione e riunite con altre ottenute direttamente dai sopravvissuti. Se lei non ebbe scampo, il suo ricordo si conservò infatti tenacemente...
La Rivoluzione francese fu una mistificazione di pochi fatta passare per movimento di popolo: è quanto sostiene Nesta Webster in questo studio, che ricevette il plauso di Winston Churchill, per la prima volta tradotto in italiano, che dimostra come l'intero movimento rivoluzionario sia stato concepito e realizzato da quanti si trovavano immediatamente sotto la classe dirigente dell'Antico Regime e si opponevano agli interessi della piccola borghesia in ascesa: in maniera consapevole e programmata fecero sparire il grano dal mercato per fomentare il malcontento, aumentarono l'inflazione per portare alla rovina le classi lavoratrici, incitarono l'opera di scrittori e panflettisti al fine di incolpare la corona di ogni cosa. In questo modo la Webster ribalta l'idea che la Rivoluzione sia stata l'inizio di una società più giusta e prospera, dipingendola invece come un complotto ai danni dell'intero popolo francese.
«Quel che non sopporto è che si transiga»: Simone Weil è la reincarnazione di Kant, oppure di san Francesco d'Assisi. Pare che Camus tenesse una sua fotografia sullo scrittoio. Paolo vi voleva farla santa, ma lei aveva sempre rifiutato il battesimo. Lei che a trentaquattro anni si è lasciata morire di fame perché non poteva andare a combattere in prima linea contro i nazisti. La rivoluzionaria mistica, uno dei più misconosciuti e fondamentali pensatori del Novecento. Il Saggiatore ripubblica Sulla guerra, una raccolta di articoli, lettere, brevi saggi scritti da Simone Weil tra il 1933 e il 1943, anno della sua morte, che delineano il difficile passaggio da un iniziale pacifismo intransigente alla partecipazione attiva, anche se non priva di contrasti, alla resistenza contro Franco prima e contro il nazismo poi. Un passaggio non raro in quegli anni, ma che in Simone Weil implica una complessità e un rigore di pensiero singolari, la ricerca appassionata e radicale di una possibile via d'uscita alla tragica minaccia che incombe sull'Europa, e più ancora all'impasse filosofica di chi sa che la guerra è il male assoluto, ma anche un male necessario quando si deve contrastare una violenza atroce e stritolante. Tutt'al più si può avere l'intenzione di «fare il minimo di male possibile». Che per Simone Weil coincide con l'autosacrifì-cio: si propone all'organizzazione France libre di De Gaulle per azioni che la espongano al più grande rischio personale; ma quando questo le viene negato - lacerazione irreparabile - si abbandona a una lenta morte. Sulla guerra è molto più di un documento storico su una delle più dolorose e folli stagioni dell'umanità; molto più di un'opera filosofica che affronta i nodi teorici del fenomeno bellico, che si tratti di guerra rivoluzionaria o di guerra tra Stati; ed è più del diario di una conversione e di un martirio. È la testimonianza profetica di un umanesimo integrale, di un'instancabile tensione etica - in definitiva, di una vicenda biografica, intellettuale e spirituale tra le più alte e sofferte di tutto il Novecento.
Tre motivi per leggerlo: Perché è un appassionante viaggio nell'antichità gli eroi di Omero, la Grecia classica, il cristianesimo eretico - alla ricerca di risposte fondamentali per la nostra vita. Perché racconta della violenza di chi ama sentirsi sempre dalla parte del giusto, del bene, della verità. Perché Simone Weil è un esempio unico di coerenza e determinazione. Introduzione di Mario Bonazzi.
Il Preambolo della nuova Costituzione europea non fa riferimenti espliciti all'eredità religiosa cristiana. Secondo Weiler si tratta di un'importante questione di principio poiché "un'Europa cristiana è un'Europa che rispetta ugualmente in modo pieno e completo tutti i suoi cittadini: credenti e laici, cristiani e non cristiani. È un'Europa che, pur celebrando l'eredità nobile dell'Illuminismo umanistico, abbandona la sua cristofobia e non ha paura né imbarazzo a riconoscere il Cristianesimo come uno degli elementi centrali nell'evolvere della sua civiltà". Un saggio che va oltre la circostanza dell'attuale processo costituente, ed esplora la rilevanza del magistero cristiano rispetto a questioni cruciali nel dibattito sull'integrazione.

