
Un velo bianco unisce le storie di tre donne appartenenti alla stessa famiglia ebraica, attraversando il Novecento e le sue immani tragedie fino ai giorni nostri. Il velo con cui Rebecca, poco più che bambina, si copre il volto prima di incontrare Isacco, il suo futuro sposo. Il velo altrettanto candido che l'anziana Claudia, consacratasi a ricamare una tovaglia che festeggerà la futura morte di Hitler, indossa per commemorare i suoi famigliari mentre scompaiono uno dopo l'altro durante le persecuzioni naziste. E infine il velo nel quale Elvira e il suo amato custodiscono una manciata della Terra Promessa. È lo stesso velo che un giovane rabbino tiene tra le mani a Venezia, mentre attende giorno dopo giorno, con fede incrollabile, l'arrivo del Messia.
I tre volumi Cafarnao VI, Cafarnao VII, Cafarnao VIII escono per ragioni pratiche separatamente, ma sono interdipendenti. Il trittico costituisce la descrizione (Cafarnao VI), la documentazione grafica (Cafarnao VII) e la documentazione fotografica (Cafarnao VIII) della ceramica raccolta nel sito di Cafarnao in Israele, di proprietà della Custodia di Terra Santa, in 23 campagne di scavi archeologici, alle quali l'autore ha partecipato come collaboratore del direttore V. Corbo (dal 1968 al 1986) e poi come suo successore (dal 2000 al 2003). Il materiale copre un arco temporale dagli inizi del periodo del bronzo al periodo mamelucco, cioè dal 3200 a.C. al 1400 d.C. circa.
I tre volumi Cafarnao VI, Cafarnao VII, Cafarnao VIII escono per ragioni pratiche separatamente, ma sono interdipendenti. Il trittico costituisce la descrizione (Cafarnao VI), la documentazione grafica (Cafarnao VII) e la documentazione fotografica (Cafarnao VIII) della ceramica raccolta nel sito di Cafarnao in Israele, di proprietà della Custodia di Terra Santa, in 23 campagne di scavi archeologici, alle quali l'autore ha partecipato come collaboratore del direttore V. Corbo (dal 1968 al 1986) e poi come suo successore (dal 2000 al 2003). Il materiale copre un arco temporale dagli inizi del periodo del bronzo al periodo mamelucco, cioè dal 3200 a.C. al 1400 d.C. circa.
I tre volumi Cafarnao VI, Cafarnao VII, Cafarnao VIII escono per ragioni pratiche separatamente, ma sono interdipendenti. Il trittico costituisce la descrizione (Cafarnao VI), la documentazione grafica (Cafarnao VII) e la documentazione fotografica (Cafarnao VIII) della ceramica raccolta nel sito di Cafarnao in Israele, di proprietà della Custodia di Terra Santa, in 23 campagne di scavi archeologici, alle quali l'autore ha partecipato come collaboratore del direttore V. Corbo (dal 1968 al 1986) e poi come suo successore (dal 2000 al 2003). Il materiale copre un arco temporale dagli inizi del periodo del bronzo al periodo mamelucco, cioè dal 3200 a.C. al 1400 d.C. circa.
Spina dorsale della Regia Aeronautica nel corso degli anni Trenta, il CR.32 era un biplano da caccia dalle linee eleganti e al tempo stesso molto maneggevole. Nel 1936, quando il generale Franco chiese alla Germania e all'Italia appoggio aereo nella lotta contro i repubblicani per il controllo della Spagna, erano in servizio circa 400 esemplari. Alla fine dell'anno, 120 CR.32 furono inviati nella penisola iberica per proteggere i velivoli da trasporto e da bombardamento dei nazionalisti; superiori numericamente e per prestazioni agli He 51 germanici, i caccia Fiat riportarono numerosi successi in combattimento. In un primo tempo, furono pilotati soltanto da volontari italiani, ma verso la fine del 1936 venne formato il primo reparto interamente spagnolo. Nel corso della guerra civile, furono impiegati non meno di 477 CR.32. Ai piloti italiani che li condussero in combattimento fu accreditato lo sbalorditivo numero di 709 vittorie aeree; altre 320 vennero rivendicate da piloti spagnoli o di altra nazionalità che volavano con i colori dei nazionalisti, mentre le perdite ammontarono a sole 118 unità.
Nei primi decenni del Novecento un uomo salvò la monarchia britannica. Non era un primo ministro né l'arcivescovo di Canterbury. Era un logopedista autodidatta e quasi sconosciuto di nome Lionel Logue, che un quotidiano degli anni trenta definì notoriamente "Il medicastro che ha salvato un re". Eppure fu proprio lui, non un aristocratico ma un uomo "comune" australiano, che con il suo carattere amabile ed estroverso, trasformò da solo il nervoso duca di York, affetto da un'imbarazzante balbuzie, timido, e introverso in uno dei più grandi re britannici. Il libro narra la vicenda inedita dell'insolito rapporto fra Logue e l'inquieto futuro re Giorgio VI. Scritta dal nipote di Logue e tratta esclusivamente dai diari e dall'archivio del nonno Lionel, la storia getta una luce straordinaria sulla fiducia che contrassegnò la loro relazione terapeutica e sul ruolo fondamentale svolto da Elizabeth, moglie di Giorgio e compianta regina madre, nell'incoraggiarla per salvare la reputazione e il regno del marito. Lionel Logue diventerà il "principio attivo di una metamorfosi" che supporterà il re nei suoi discorsi e nelle decisioni politiche. Convinto che la balbuzie del re non dipendesse da fattori "mentali" ma che avesse origine da problemi dell'apparato linguistico, Logue diventò comunque egli stesso psicoterapeuta, proponendo come cura un'ottima sinergia di tecniche verbali e somatiche, che se pur pioneristiche, avrebbero ridato fluenza e sicurezza emotiva a Re Giorgio VI.
I cavalieri Templari professarono davvero una dottrina segreta in contrasto con quella della Chiesa cattolica romana? La estesero a tutto l'ordine? Quali furono i suoi dogmi, le sue fonti, i suoi legami con le grandi eresie del XIII secolo? Rappresentava davvero un pericolo così grave per la società da giustificare le terribili misure adottate dalla Chiesa e dalla Corona francese per distruggere l'ordine del Tempio? Nel XVII secolo l'abate René-Aubert Vertot considerava i Templari «l'enigma più impenetrabile che la storia abbia lasciato da decifrare alla posterità», mentre Napoleone non credeva che si sarebbe mai riusciti a risolverlo. «Come si potrebbe decretare che i Templari erano innocenti o colpevoli a distanza di cinquecento anni» diceva «quando anche i contemporanei sono discordi?». In effetti si decideva di essere prò o contro l'ordine del Tempio in modo sistematico e prima di qualsiasi analisi, a seconda che si fosse atei o credenti. Discolpare i Templari significava processare la monarchia che aveva approfittato delle loro spoglie e il papato che li aveva abbandonati e condannati; colpevolizzarli significava difendere sia la Corona sia la religione. Nato da un lungo e attento lavoro di ricerca da parte di Jules Loiseleur, questo saggio, assurto a pietra miliare degli studi sui Templari, cerca di far chiarezza sull'organizzazione interna e i rapporti col mondo esoterico dei membri dell'Ordine. Contiene inoltre gli atti dell'inchiesta sui Templari in Toscana e la cronologia dei documenti relativi alla soppressione dell'Ordine.
Analisi della predicazione e dei predicatori, della loro cultura, del loro influsso sulla popolazione. In un volume a parte i documenti più significativi.
Siamo nel maggio del 1385, a Cotignola, in Romagna. Uno dei più spietati capitani di ventura che in quegli anni circolasse in Italia sceglie di sostare con la sua truppa su un incolto terreno a pascolo, poco distante da una cascina. A rispondergli, eccitato e disorientato, è il non ancora sedicenne Giacomo Attendolo, per tutti Giacomuzzo, anzi Muzio. Fantasticando su un futuro fatto di battaglie, soldi e conquiste, il giovane contadino accetta la proposta di ingaggio. Come poteva immaginare che con quella sua decisione stava, di fatto, dando origine a una delle più celebri dinastie del Rinascimento? Sì, perché Muzio Attendolo - soprannominato «Sforza» per la sua prestanza fisica - dopo essersi messo al servizio dei Visconti e di città come Perugia e Firenze, avrà una vita avventurosa, mogli, amanti e figli, tra cui Francesco, il primogenito, che nel 1450 diventerà signore di Milano. Restando fedele alle date, ai luoghi e ai fatti storici, ma con scrittura gustosa nei dettagli e felicemente narrativa, Carlo Maria Lomartire ci racconta non solo le vicende umane e sentimentali che ruotano intorno ai principali protagonisti della famiglia Sforza ma anche un'intera epoca, piena di rivolgimenti politici e di trasformazioni sociali: sta per concludersi la guerra dei Cent'anni, i Comuni e l'età medievale lasciano spazio alle Signorie, a Roma papa Pio II lancia la crociata contro i Turchi, la pace di Lodi garantisce una tregua tra gli Stati della penisola. Intraprendente e ambizioso, amico di Cosimo de' Medici, Francesco Sforza farà di Milano una città dinamica e moderna, costruendo, sulle macerie di quello visconteo raso al suolo dai milanesi, il castello di Porta Giovia (l'attuale Castello Sforzesco) nonché il più grande ospedale pubblico d'Europa, la Ca' Granda. Al suo fianco la moglie, Bianca Maria Visconti, donna volitiva e intelligente, che avrà un ruolo tutt'altro che marginale nella gestione delle alleanze politiche del Ducato. Se è vero, come ha scritto qualcuno, che «la storia è sempre contemporanea», nelle appassionate e turbolente vicende degli Sforza, nelle spietate lotte tra fazioni, negli intrighi di corte come nelle gesta eroiche degli uomini e delle donne descritte in queste pagine, il lettore potrà ritrovare non poche delle caratteristiche, delle grandezze e delle miserie, dei pregi e dei difetti dell'Italia di oggi: allora come adesso magnifica e cinica, geniale e crudele.
Agli occhi del lettore contemporaneo la storia del Ducato di Milano che fa seguito alla morte di Francesco Sforza risulta piena di avventure, lotte di potere, intrighi e misteri, e proprio per questo straordinariamente avvincente. Ce lo ricorda Carlo Maria Lomartire in questo secondo volume della sua trilogia dedicata a una delle più potenti dinastie del Rinascimento italiano. Se infatti è noto e acclarato che Galeazzo Maria, primogenito e successore di Francesco, rimase vittima di una congiura tanto da essere assassinato sul sagrato della basilica milanese di Santo Stefano, il macabro sospetto che suo figlio Gian Galeazzo Maria, legittimo erede, fosse morto avvelenato continuò a circolare per lungo tempo, dentro e fuori la corte milanese. Gettando un'ombra sul personaggio più spregiudicato e cinico della famiglia, Ludovico Sforza, detto «Il Moro» per la carnagione olivastra, la capigliatura corvina, gli occhi neri e fiammeggianti. Uomo di intelligenza sfolgorante, dotato di una sottile sensibilità politica e animato da un'ambizione insaziabile, Ludovico riuscì a fare di Milano oltre che una delle città più ricche, vivaci e ammirate d'Europa, un'invidiata capitale della creatività e della cultura. Fu proprio negli anni della sua reggenza che Milano accolse - insieme al Bramante e a tanti altri artisti, poeti e letterati - il genio di Leonardo da Vinci. Qui il pittore toscano attese ad alcune delle sue opere più celebri: dalla "Dama con l'ermellino" (che altro non era che il ritratto della bella e sensuale Lucia Gallerani, amante del Moro), all'"Ultima cena", dalle costruzioni di macchine militari alla realizzazione del sistema di irrigazione dei Navigli, fino al progetto, rimasto incompiuto, di un colossale monumento equestre in onore del capostipite Francesco Sforza (il famoso "Cavallo di Leonardo"). Sullo sfondo, intrecciata a elementi narrativi che permettono al lettore di cogliere tutte le coloriture psicologiche dei protagonisti dell'epopea sforzesca, gli avvenimenti più importanti, rigorosamente documentati, che attraversano l'Italia del XV secolo: dalla congiura fiorentina dei Pazzi alla battaglia di Fornovo, dall'elezione di papa Giulio II alla discesa di Carlo VIII di Francia. Grazie a una descrizione dei fatti puntuale e scrupolosa, ricca di dettagli e notizie, il libro di Lomartire ci guida alla comprensione di un'epoca irripetibile della nostra storia, dentro la quale si possono rintracciare, insieme ai pregi e ai difetti del carattere italiano, le radici delle fortune e delle virtù della Milano d'oggi.