
Docente di Letteratura francese all'Università della Tuscia e all'Istituto Universitario di suor Orsola Benincasa, Benedetta Craveri concentra la sua attenzione in questo libro su Versailles e affronta una questione centrale nel corso di tutto l'Ancien Régime: quella legata al potere delle donne. Per secoli è stato infatti predicato che affidare a una donna una qualsivoglia responsabilità di governo fosse "cosa ripugnante alla natura, contumelia a Dio, sovvertimento del retto ordine e di ogni principio di giustizia". Eppure, questo potere a loro ostinatamente sottratto le donne se lo sono arrogato, vanificando di fatto le leggi e le consuetudini. Lo dimostrano le storie di Caterina de' Medici, Maria Antonietta, Diana di Poitiers e tante altre.
Se si dovesse dire in cosa e in quali luoghi si cristallizzò l'ideale della più oziosa, spregiudicata, esigente civiltà europea fra Seicento e Settecento, si potrebbe rispondere: in alcuni salotti di Parigi, dove si celebravano i riti, insieme esoterici e trasparenti, della conversazione. Via via allontanata, per volontà del sovrano, dall'uso della forza come dal potere politico più incisivo, l'aristocrazia spese le sue ultime, dispettose energie nell'elaborare un modo di vivere che pretendeva di raggiungere un traguardo di perfezione a partire dal quale tutto il passato apparisse grezzo e goffo. Con l'ausilio di alcuni geni della socievolezza si creò così una corrente impetuosa che attraversò due secoli e investì vastissimi territori.
"Questo libro" annuncia Benedetta Craveri nella Prefazione "racconta la storia di un gruppo di aristocratici la cui giovinezza coincise con l'ultimo momento di grazia della monarchia francese": sette personaggi emblematici, scelti non solo per "il carattere romanzesco delle loro avventure e dei loro amori", ma anche (soprattutto, forse) per "la consapevolezza con cui vissero la crisi di quella civiltà di Antico Regime ... con lo sguardo rivolto al mondo nuovo che andava nascendo". Sfruttando, infatti, le qualità migliori della loro casta "la fierezza, il coraggio, l'eleganza dei modi, la cultura, lo spirito, il talento di rendersi gradevoli" -, il duca di Lauzun, il conte e il visconte di Ségur, il duca di Brissac, i conti di Narbonne e di Vaudreuil e il cavaliere di Boufflers non furono soltanto maestri nell'arte di sedurre, ma da veri figli dei Lumi ambirono ad avere un ruolo nei grandi cambiamenti che si preparavano, e dopo il 1789 seppero affrontare le conseguenze delle loro scelte - la povertà, l'esilio, perfino il patibolo - senza mai perdere l'incomparabile 'panache' che li distingueva. A sua volta, con la "grazia somma della cultura, della curiosità, del pensiero, della scrittura magnifica" che le è stata riconosciuta dai critici, e ancor più dai lettori, l'autrice di "Amanti e regine" percorre queste sette vite parallele fino all'evento in cui tutte convergeranno - la Rivoluzione - e dopo il quale ciascuno degli "ultimi libertini" seguirà il proprio destino.
«Io non credo nell'amore, è una malattia che passa com'è venuta ... prendetemi oggi, non contate di avermi domani» scrive Virgina Verasis di Castiglione a uno dei suoi innumerevoli amanti, palesando la sua esigenza più radicata e insopprimibile: non avere padroni. Un'esigenza che emerge prepotentemente dal racconto che della sua vita ci propone l'autrice di Amanti e regine. Tutti noi - grazie agli scritti di testimoni e biografi, a film e sceneggiati televisivi, nonché ai moltissimi ritratti fotografici che in anni recenti sono stati pubblicati ed esposti - crediamo di sapere chi sia stata la contessa di Castiglione: una «seduttrice seriale» di incomparabile bellezza che, dopo aver conquistato (secondo le istruzioni ricevute dal conte di Cavour) Napoleone III e abbagliato la corte del Secondo Impero, si chiuse in una casa senza specchi nascondendo ai propri occhi e a quelli del mondo la sua inarrestabile decadenza. Ma colei che Robert de Montesquiou consacrò per sempre come «la divine comtesse» è stata molto di più, e Benedetta Craveri, la quale ha rintracciato negli archivi italiani e francesi un'ingente mole di lettere totalmente inedite, ce lo fa scoprire lasciando che sia Virginia a parlarci di sé: dei suoi amori, delle sue ambizioni, delle sue paure, delle sue ossessioni. Vengono così alla luce aspetti sorprendenti di una donna che seppe usare il suo fascino, ma anche la sua intelligenza politica, la sua audacia, la sua volontà di dominio, la sua straordinaria abilità di commediante, e anche una buona dose di cinismo, per raggiungere un traguardo all'epoca inimmaginabile: disporre liberamente della propria esistenza. Una ribellione alle regole imposte dalla morale del secolo borghese che, scrive Craveri, "ha mantenuto intatta la sua forza incendiaria e che ancora oggi disturba, sconcerta, scandalizza».
Questo libro si può considerare la prima completa biografia politica di Alcide De Gasperi, la prima a tener conto, oltre che dei tanti contributi parziali e della memorialistica, di una ricchissima documentazione inedita degli archivi pubblici e dell'archivio privato di De Gasperi, solo in parte fino a oggi esplorato. Il resoconto copre tutto l'arco della vita di De Gasperi, iniziando dalla giovinezza nel Trentino austriaco, dalla formazione universitaria a Vienna, e dalla prima esperienza politica nel Parlamento austriaco. Seguono le pagine sulla Grande Guerra e sull'ingresso di De Gasperi nella vita politica italiana, che lo vedrà succedere a Sturzo alla guida del Partito Popolare. Dopo l'esilio vaticano nel Ventennio, con il dopoguerra la vita di De Gasperi si intreccia strettamente alla storia del paese. Divenuto presidente del Consiglio nel dicembre 1945, egli terrà costantemente quella carica fino al luglio del 1953. Sono gli anni in cui l'Italia fonda la nuova democrazia repubblicana, compie la sua ricostruzione, avvia un processo di riforme socio-economiche, getta le basi del suo sviluppo industriale, si inserisce nella rete delle alleanze atlantiche ed europee. Di questo processo De Gasperi è la figura direttiva centrale; Craveri ne analizza l'opera in tutti i suoi aspetti facendone emergere sia i successi sia le inevitabili contraddizioni.
Questo libro è una storia dell'Italia repubblicana in cui si ricostruiscono sincronicamente gli aspetti istituzionali, politici ed economici del processo che ha portato all'attuale situazione del paese. Al volgere di un ciclo storico, Piero Craveri ripercorre, partendo dalla Costituente, il cammino di rapida ascesa economica dell'Italia per cogliere i fattori del suo mancato consolidamento e del suo lento e inesorabile declino. Le responsabilità di una classe dirigente rimasta troppo arretrata per guidare un paese industriale, il sovrapporsi dei partiti all'attività dell'esecutivo e del Parlamento, un malinteso primato della politica sull'economia di mercato, sono solo alcune delle cause che emergono dall'analisi delle vicende repubblicane. Dalla sconfitta di De Gasperi alla difficile congiuntura del 1963-64, dalla crisi degli anni settanta alle occasioni mancate del decennio successivo, con Craxi, al superamento della seconda Repubblica, Craveri fa notare come, ben lungi dall'essere solo una questione economica, la posta in gioco di questa mancata "evoluzione" è la stabilità della democrazia. I principi che furono messi a fondamento dello Stato unitario sembrano venir meno e, al di là delle celebrazioni ufficiali, la Repubblica non ha saputo rinnovarli. Anche l'idea di Europa, che nel secondo dopoguerra ne è stata idealmente una prosecuzione, sembra dileguarsi. In questo scenario, dove sono le stesse istituzioni democratiche a essere messe in discussione in Occidente.
Fin dalle origini la democrazia italiana può rappresentarsi come un sistema di cerchi concentrici, di cui quello più interno detiene le effettive leve di governo e di potere, quelli successivi delimitano ambiti sociali non interamente partecipi e via via del tutto esclusi. Una democrazia dunque che ha mantenuto a lungo fuori del reticolo delle istituzioni pubbliche di volta in volta parti diverse della società, dando luogo ad una esperienza democratica rimasta sempre incompiuta. In questo volume l'autore ne analizza la storia anche attraverso alcuni protagonisti della vita italiana del Novecento: Luigi Sturzo, Enrico de Nicola, Alcide De Gasperi, Angelo Costa, Giuseppe di Vittorio, Ugo La Malfa, Luciano Lama, Guido Carli e altri.
È lunedì 7 ottobre 1985 quando, dal cuore del Mediterraneo, rimbalza fino a Göteborg, in Svezia, un SOS dalla nave da crociera italiana Achille Lauro: 545 persone sono state sequestrate da un gruppo di terroristi palestinesi. La prima risposta del governo italiano è di carattere militare: prepararsi al peggio e attrezzarsi ad assaltare la nave. Ma il presidente del Consiglio Craxi, la cui prima preoccupazione è salvare gli ostaggi, vuole innanzitutto giocare le carte politiche e diplomatiche in suo possesso. Dopo una lunga sequela di colpi di scena e di eventi drammatici, come l'uccisione di Leon Klinghoffer, un cittadino americano disabile, i terroristi vengono intercettati su un Boeing 737 dell'EgiptAyr da quattro caccia F-14 statunitensi e obbligati a dirigersi verso l'Italia. Ronald Reagan in persona chiede l'autorizzazione all'atterraggio nella base NATO di Sigonella, in Sicilia, e l'immediato trasferimento in America degli assassini. L'atterraggio avviene alle 00.16 dell'11 ottobre: comincia così "la notte di Sigonella". Sigonella è suolo italiano, così come italiana è la nave in cui è stato commesso il crimine: l'Italia ritiene pertanto che il caso sia soggetto ai poteri della sua giurisdizione. Gli USA sono di parere opposto, essendo americano il cittadino ucciso. Il veivolo con a bordo i terroristi e due mediatori dell'OLP ripartirà per Roma, seguito da aerei non identificati...
Auschwitz, la memoria, le leggi razziali, il Diario di Anna Frank, le opere di Primo Levi, il problema di Dio: sei percorsi che raccolgono le voci di oltre 20 testimoni. Una proposta di esplorazione nell'immenso patrimonio che la letteratura della testimonianza ci ha consegnato dopo il secondo conflitto mondiale. I testi sono di persone scomparse nei campi di sterminio (come Etty Hillesum e Anne Frank), scrittori che hanno narrato la loro esperienza nell'immediato dopoguerra (Primo Levi, Elie Wiesel, Liana Millu...), autori di romanzi che, a distanza di anni, rielaborano la memoria personale (Jorge Semprún, Imre Kertész, Natalia Ginzburg, Giorgio Bassani...), testimoni che in occasioni diverse hanno raccontato la loro storia (come Liliana Segre). Le pagine scelte sono inviti, spunti per informare e sensibilizzare in ambito scolastico, sociale e familiare.
Le origini dell'uomo moderno sono davvero così recenti? La teoria dell'evoluzione è così scientificamente documentata e inattaccabile? Una recente interpretazione archeologica condotta da due ricercatori dimostrerebbe il contrario. Secondo Michael A. Cremo e Richard L. Thompson, a dispetto delle più consolidate teorie scientifiche, le origini dell'uomo moderno non risalirebbero a 100.000 anni fa, ma a ben tre milioni di anni fa. I siti archeologici che producono tali evidenze, non solo sotto forma di reperti paleontologici, ma anche di manufatti, vengono dettagliatamente descritti e interpretati in questo saggio affascinante e provocatorio. L'intento divulgativo di questo studio non smorza tuttavia i toni di accusa contro il mondo scientifico, che secondo gli autori avrebbe ignorato e occultato le prove più scomode, con l'obiettivo di mantenere saldo lo "status quo" della teoria evolutiva. Ciò che emerge è che con ogni probabilità non è esistita un'evoluzione del genere umano dall'Australopiteco all'Homo Sapiens, ma che al contrario uomini e ominidi hanno da sempre coesistito sulla Terra e che quindi la teoria evoluzionista della vita sul nostro pianeta, su cui si basano le odierne scienze naturali, non hanno alcun fondamento certo. Introduzione di Graham Hancock.
Le origini dell'uomo moderno sono davvero così recenti? La teoria dell'evoluzione è così scientificamente documentata e inattaccabile? Una recente interpretazione archeologica condotta da due ricercatori dimostrerebbe il contrario. Secondo Michael A. Cremo e Richard L. Thompson, a dispetto delle più consolidate teorie scientifiche, le origini dell'uomo moderno non risalirebbero a 100.000 anni fa, ma a ben tre milioni di anni fa. I siti archeologici che producono tali evidenze, non solo sotto forma di reperti paleontologici, ma anche di manufatti, vengono dettagliatamente descritti e interpretati in questo saggio affascinante e provocatorio. L'intento divulgativo di questo studio non smorza tuttavia i toni di accusa contro il mondo scientifico, che secondo gli autori avrebbe ignorato e occultato le prove più scomode, con l'obiettivo di mantenere saldo lo "status quo" della teoria evolutiva. Ciò che emerge è che con ogni probabilità non è esistita un'evoluzione del genere umano dall'Australopiteco all'Homo Sapiens, ma che al contrario uomini e ominidi hanno da sempre coesistito sulla Terra e che quindi la teoria evoluzionista della vita sul nostro pianeta, su cui si basano le odierne scienze naturali, non hanno alcun fondamento certo. Introduzione di Graham Hancock.
La collana il Corriere racconta, diretta da Angelo Varni e realizzata in collaborazione con la casa editrice Rizzoli, si propone di ricostruire alcuni dei temi che hanno connotato il formarsi della società italiana nei suoi aspetti culturali, economici, politici, ideali, di costume, dall'ultimo scorcio dell'Ottocento a oggi. A tal fine si utilizza la traccia offerta dalle pagine del quotidiano, con le sue firme più illustri, le sue fonti iconografiche, i materiali documentari e illustrati tratti dal suo archivio e dal suo fondo di disegni originali. Una storia, dunque, affidata all'immediatezza della testimonianza della cronaca giornaliera, alla sua vivacità, alla sua capacità di riprodurre atmosfere e sensazioni. E proprio per questo capace di uscire dalla caducità del quotidiano per assumere il valore di un insostituibile ritratto del tempo narrato, in grado di darci ancora oggi le sfumature e i toni più vividi degli eventi, dei personaggi, dei luoghi con un'immersione nel passato affidata alla guida di chi li colse e li narrò con la tempestività del giornalista di razza.