
È un fatto innegabile che i movimenti fascisti siano in ascesa a livello globale: se vogliamo contrastarli, dobbiamo comprenderne i meccanismi. Uno, centrale, è la cancellazione della storia, ridotta a una narrazione unica e uniforme, emanazione del gruppo dominante e strumentale al mantenimento delle gerarchie. Ma perché la storia è percepita come una minaccia dai vecchi e nuovi autoritarismi? Perché il suo studio conduce a una visione plurale e dialettica del passato e tiene conto dei momenti in cui, invece, la gerarchia è stata messa in discussione e sovvertita. Grazie alla storia, i cittadini imparano che può esserlo di nuovo: ecco perché fa paura. Uno dei campi di battaglia su cui i due orientamenti si scontrano è l’istruzione: le democrazie affidano a scuole e università la conservazione di una memoria comune di cambiamento positivo, generato da proteste, movimenti sociali e ribellioni, mentre la destra autoritaria le prende a bersaglio perché vuole eliminare questa versione dei fatti e, con essi, la pratica stessa dell’indagine critica che è stata così spesso il motore del progresso. Jason Stanley ci rende consapevoli dell’offensiva fascista all’istituzione più egualitaria di tutte, la scuola: non uno spettro da temere, ma una drammatica realtà, negli Stati Uniti e altrove. Documentatissimo e profondamente necessario, "Cancellare la storia" rappresenta una chiamata alle armi che non potrà lasciare indifferente chi ha a cuore il destino dei principi di libertà e uguaglianza. Prima che sia troppo tardi.
Dal 1876 al 2021 gli Stati Uniti sono passati attraverso le fasi del grande decollo economico, dell'ascesa a superpotenza mondiale e quindi della crisi del loro ruolo egemonico. Dopo aver eletto con Obama il primo presidente nero, e terminata la discussa presidenza Trump, oggi sono una nazione fortemente polarizzata, ferita dall'assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. In questa nuova edizione, l'autore intreccia storia politica, economica e sociale, dedicando particolare attenzione alle trasformazioni della società e all'evoluzione dei costumi e giungendo ai giorni dell'attuale presidenza Biden chiamata a fronteggiare la difficile situazione interna e a ridisegnare il ruolo statunitense nel nuovo scenario internazionale.
Nel 1863, la pubblicazione a Parigi della "Vie de Jésus" di Ernest Renan e la sua immediata traduzione italiana aprirono un intenso dibattito sui fondamenti del cristianesimo, innescando la prima discussione pubblica su temi religiosi nell'Italia unita. Il Gesù di Renan era un uomo superiore, ma nient'altro che un uomo: per i laici rappresentava l'inizio di una grande rivoluzione culturale, per i cattolici un attacco blasfemo. Sullo sfondo l'eterno problema del potere temporale dei papi e del suo destino. La Chiesa, ormai priva dei tradizionali strumenti censorii e della protezione statale, reagì con una mobilitazione inedita: raduni, processioni, sottoscrizioni, campagne di stampa e testi apologetici. Roberto Pertici, a partire da quella che si può definire la prima "guerra culturale" e il primo caso letterario del neonato mercato editoriale italiano, riflette sull'evoluzione del secolarismo nell'Italia ottocentesca e sulla trasformazione della Chiesa in attore politico e sociale nella nuova società liberale.
Capire le coordinate storiche di quanto sta avvenendo nel conflitto israelo-palestinese è assolutamente indispensabile. Lo scenario odierno è il risultato dei cambiamenti maturati tra la seconda metà dell'Ottocento e il presente. Non solo in quelle terre contese ma nello stesso Mediterraneo, così come in Europa, Asia e Africa. È uno specchio collettivo in cui si riflettono molte situazioni di violenta contrapposizione che raccontano non solo di un astio nazionalista ed �
"etnico", ma dei fondamenti strutturali delle diseguaglianze, dei differenziali di potere, del rapporto tra libertà, giustizia, emancipazione e dipendenze, servitù, colonizzazione. Questo libro per la sua accuratezza, la sua originalità e la sua imparzialità negli anni è diventato un punto di riferimento per chiunque voglia approfondire un conflitto che sta determinando il nostro tempo e, in questa nuova edizione, si aggiorna fino a comprendere le vicende del 7 ottobre 2023 e la guerra a Gaza.
Lo scenario globale è attraversato da una dura guerra finanziaria in grado di mettere in crisi il sistema capitalistico. Da un lato del fronte troviamo i grandi fondi finanziari come Black Rock, Vanguard e State Street, i padroni del mondo, capaci finora di determinare il corso del mercato azionario. Dall'altro lato c'è invece il mondo delle criptovalute e degli hedge fund, i fondi più speculativi. Con questi ultimi si è schierato il presidente Trump con la sua amministrazione, sicuro che le criptovalute e i dazi siano l'unico modo per difendere il predominio del dollaro sull'economia mondiale. Immediatamente questa guerra ha coinvolto l'Europa, vera e propria preda ambita per la sua forte liquidità nell'ambito del risparmio, che si trova dilaniata nella scelta tra un forte riarmo che mette in discussione la spesa sociale e il welfare e il rischio di perdere l'ombrello protettivo della Nato. I paesi emergenti, raccolti nella rete dei Brics, hanno reagito cercando forme alternative alla dipendenza dal dollaro e dalla finanza occidentale. Ciò cui stiamo assistendo è un conflitto interno al capitalismo, scoppiato negli Stati Uniti e giunto in Europa, che può travolgerlo, lasciando spazio a nuovi modelli oggi sconosciuti.
Nei pochi mesi che vanno dal novembre 1932 fino all'aprile del 1933 accaddero fatti che avrebbero segnato il destino del mondo: Hitler arrivò al potere in Germania, il Giappone inviL le sue truppe al di là della Grande muraglia cinese, Mussolini puntò a sud, verso il Corno d'Africa, Roosevelt accentuò l'isolazionismo degli Stati Uniti nei confronti dell'Europa, la Gran Bretagna si ritirò nelle zone sicure del suo impero, la Francia cambiò tre governi. Su tutto questo il peso di una gravissima crisi economica. Alla fine di quel lungo inverno, il mondo postbellico si trasformò in un mondo prebellico. Nell'inverno del 1933, in soli sei mesi, il mondo cambiò improvvisamente rotta e si avviò sui sentieri che avrebbero portato alla Seconda guerra mondiale. L'appassionante racconto di Paul Jankowski è anche un ammonimento per i nostri tempi.
Nel 2026 saranno 800 anni dalla morte di san Francesco, uno dei più popolari fra i santi della Chiesa cattolica. Tutti crediamo di conoscerlo, ma niente è mai come ci immaginiamo. Le più antiche biografie di Francesco furono scritte da frati che l'avevano conosciuto da vicino. Perciò potremmo credere, ingenuamente, che le informazioni di cui disponiamo su di lui siano non solo molto numerose ma sicure. Non è così. I testimoni si contraddicono continuamente: chi li ascoltava non amava ricordare che Francesco era stato un uomo pieno di durezze e di contraddizioni, che aveva sperimentato la delusione e la sconfitta. Volevano ricordare un santo perfetto in tutto, privo di dubbi e di amarezze e, in definitiva, simile a Cristo. Era tale il contrasto tra le versioni di san Francesco proposte dai suoi biografi che, quarant'anni dopo la sua morte, l'Ordine prese una decisione senza precedenti: far distruggere tutte le biografie esistenti e sostituirle con una nuova e definitiva, la Legenda maior scritta dal generale dell'Ordine, Bonaventura. I codici contenenti le vite del santo scritte da chi lo aveva conosciuto vennero cercati nelle biblioteche e fatti sparire. Solo dopo secoli hanno cominciato a riemergere dall'oblio grazie a fortunati ritrovamenti, rivelandoci un Francesco molto diverso. Non il santo sempre lieto che parlava agli uccellini, raffigurato negli affreschi di Giotto ad Assisi, il santo che ammansiva i lupi, precursore dell'ecologismo moderno, che discuteva amichevolmente con i musulmani, precursore del pacifismo e dell'ecumenismo. Non è questo il Francesco che i suoi discepoli ci hanno raccontato. Il Francesco che emerge dai loro ricordi è un uomo tormentato, duro, capace di gesti dolcissimi e di asprezze inaspettate. Ma soprattutto non raccontano un solo Francesco perché ognuno lo ricordava a suo modo. E dunque? Chi è stato davvero quest'uomo straordinario?
L'Italia ha attraversato, nel corso dei secoli, fasi alterne di splendore e decadenza come pochi altri paesi al mondo. Dopo i successi economici e sociali del secondo dopoguerra, oggi sembra intrappolata in una stagnazione che dura da decenni. Com'è stato possibile un simile declino? Le risposte vanno cercate nel sistema politico e istituzionale, nel ruolo delle élite e nelle decisioni - o nelle omissioni - che hanno influenzato in profondità le traiettorie dello sviluppo. In questo libro, in una nuova edizione aggiornata e ampliata, Emanuele Felice offre una lettura critica delle dinamiche che hanno segnato la storia italiana, con un intero capitolo dedicato agli anni berlusconiani, snodo centrale per capire l'evoluzione recente. Una lettura per chiunque voglia comprendere le radici dei successi e dei fallimenti italiani e voglia interrogarsi sulle prospettive future.
La storia ebraica non è solo la storia degli ebrei, ma anche una parte della storia dei paesi nei quali si sono stabiliti dopo la diaspora. Nel caso dell'Italia, la presenza giudaica ha contribuito a una storia d'eccezione, essendosi radicata in tutto il territorio dall'età romana ai giorni nostri, sia pure fra alterne vicende: ora nel segno della pacifica convivenza, ora attraversando fasi critiche di discriminazione e di separazione. Dopo una prima integrazione, la cristianizzazione dell'Impero ne segna la marginalizzazione dal corpo sociale, con un netto ridimensionamento di spazi e di autonomie. La ridefinizione di status non ne arresta però la crescita e sia le fonti sia una ricca documentazione archeologico-epigrafica – qui ripercorsa regione per regione, fra catacombe, sinagoghe e vari manufatti – mostrano come gli ebrei d'Italia siano rimasti sul territorio con una nuova fisionomia, che vede infine, fra l'altro, il recupero liturgico e letterario dell'ebraico, parte essenziale della propria antica eredità culturale.
Il 7 giugno 1099, dall'alto della collina di Montjoie, i crociati fissano l'orizzonte: la Città Santa è lì, ancora distante eppure già segnata dal destino. Una febbre di attesa e furore percorre l'esercito cristiano, mentre si costruiscono torri d'assedio e si affilano le spade. Poi, il momento decisivo. Le mura cedono, la città è invasa. Per giorni, il sangue scorre senza tregua. Nel Tempio di Salomone, si racconta, si cavalca tra le onde di un massacro. È giustizia divina o il volto più oscuro della fede? Nelle parole dei cronisti, tra il mito della liberazione e l'eco cupa di una carneficina, si dispiega il racconto di una battaglia che avrebbe segnato per sempre la storia del Mediterraneo.
L’eccidio di civili commesso dagli israeliani a Gaza dopo il 7 ottobre 2023 può essere considerato un genocidio? L’invasione russa del febbraio 2022 è un progetto di genocidio del popolo ucraino? Negli ultimi trent’anni l’uso del termine ha conosciuto un’espansione senza precedenti, suscitando dibattiti non solo giuridici e storici, ma anche politici e culturali. Mai come oggi questa parola è utilizzata frequentemente e spesso per definire avvenimenti molto diversi. Questo libro ricostruisce la genealogia del concetto di genocidio, dalla sua formulazione durante la seconda guerra mondiale alla codifica nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1948, seguendone la diffusione durante la guerra fredda e l’affermazione nell’ordine internazionale successivo al crollo dell’Unione Sovietica. Lungi dall’essere una categoria stabile, il genocidio appare come un ‘oggetto di negoziazione’, un campo di tensione in cui si riflettono proiezioni identitarie, relazioni di potere e politiche della memoria. In gioco non è soltanto la definizione di una violenza estrema, ma il modo in cui le società contemporanee pensano il rapporto tra diritto e storia, tra Occidente e mondo, tra giustizia e rappresentazione del passato.

