
I fatti che hanno seguito l’11 settembre mostrano come ogni nuovo attacco terroristico faccia scattare di riflesso provvedimenti repressivi, innescando un circolo vizioso che rischia di condurre a una vera e propria devastazione delle libertà civili nel corso del XXI secolo. Con uno sguardo lucido e lungimirante sul futuro, Bruce Ackerman propone in questo libro un’alternativa ben precisa e praticabile: una ‘costituzione di emergenza’ che permetta ai governi (e in particolare al governo degli Stati Uniti) di intraprendere ‘azioni eccezionali’ per contrastare il rischio di nuovi attacchi, ma allo stesso tempo impedisca misure permanenti che vadano a detrimento delle libertà civili.
Con la sua ‘costituzione di emergenza’ Ackerman smaschera i pericoli nascosti dietro la nota affermazione che «stiamo combattendo una guerra al terrore» e non esita a criticare apertamente le posizioni che, accettando un’idea ‘bellica’ del problema, hanno finito per appoggiare un allargamento abnorme dei poteri presidenziali.
A sostegno della sua proposta, egli porta esempi concreti di provvedimenti di emergenza adottati nelle costituzioni di diverse nazioni, dalla Francia al Sudafrica. Analizzando poi in particolare la risposta britannica agli attacchi terroristici, trae la conclusione che nessun Paese oggi è sufficientemente attrezzato per affrontare quella che si presenta come la sfida determinante di questo inizio secolo: sconfiggere il terrorismo e contemporaneamente preservare le libertà fondamentali, ovvero tenere insieme concetti come democrazia, diritti civili, sicurezza nazionale.
Bruce Ackerman offre un libro importante, notevole per la capacità di unire in maniera puntuale e brillante la conoscenza del diritto e un’analisi politica acuta e coraggiosa: un testo essenziale per chiunque si interroghi e cerchi una risposta non scontata sul futuro (e sulla forza) della democrazia di fronte alla minaccia del terrorismo.
Bruce Ackerman, professore di Diritto e Scienza politica all’Università di Yale, è autore di numerosi libri su temi di filosofia politica, diritto costituzionale e politica pubblica tra cui, tradotti in italiano: La costituzione di emergenza. Come salvaguardare libertà e diritti civili di fronte al pericolo del terrorismo (Roma 2005); La nuova separazione dei poteri. Presidenzialismo e sistemi democratici (Roma 2003).
Oltre duecento anni fa, i Padri Fondatori degli Stati Uniti affermarono che tutti gli uomini ricevono da Dio i diritti inalienabili alla vita, alla libertà e alla felicità. È nata cosi una religione civile che consacra gli Stati Uniti come la democrazia di Dio, secondo l'efficace definizione di Emilio Gentile. Dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre 2001, George W. Bush si è richiamato a quel culto sacrale della nazione per guidare gli americani in una vera e propria crociata santa contro il terrorismo: chi ha osato dissentire dalla sua politica è stato bollato come eretico contro l'America e contro Dio. Oggi l'era di Bush sta per terminare e all'inizio del prossimo anno un nuovo presidente varcherà la soglia della Casa Bianca. Non ci sono certezze sulla sua identità, ma di una cosa Emilio Gentile non dubita: che sia nero o bianco, uomo o donna, repubblicano o democratico, il nuovo presidente americano continuerà a officiare il tradizionale culto della nazione, portando avanti la missione della democrazia di Dio nella salvaguardia del benessere mondiale.
L'America non è stata mai così a rischio e impaurita come dopo l'11 settembre. Mai così in crisi è apparsa la sua capacità "convenzionale" di dominare i conflitti, di fronte a un nemico, come il terrorismo, del tutto "non-convenzionale". Mai come oggi si sono rivelate fragili la forza propulsiva del suo sistema economico, la sua sicurezza energetica, la sua capacità di aggregazione del melting-pot etnico, linguistico, religioso che la costituisce. La risposta di Barack Obama alla crisi americana non consiste in una sorta di pacifismo arrendevole, o di solidarismo "buonista", o di anticapitalismo intento a sminuire la forza della competizione e del mercato. Si oppone alla guerra in Iraq, ma vuole aumentare la forza e la qualità dell'apparato militare del suo paese. Vuole chiudere Guantanamo, ripristinare la legalità interna e internazionale, chiama al rispetto dei diritti civili, ma sostiene tutto ciò per poter condurre con maggiore forza e determinazione la lotta mortale contro il terrorismo fondamentalista. E ancora, Obama porta nel cuore della politica americana una motivazione, uno spirito, un afflato che sono profondamente religiosi, ma sa essere assolutamente laico nel disegnare, su temi come l'aborto, il controllo della natalità, l'etica della vita, gli scenari di un nuovo pluralismo e di una nuova tolleranza. Soprattutto, Obama non promette il cambiamento. Al contrario, lo sollecita, lo chiede agli americani.
"Sono più vecchio della polvere e ho più cicatrici di Frankenstein". È la classica risposta di John McCain a chi gli ricorda che a 72 anni, potrebbe essere il più vecchio presidente degli Stati Uniti. La sua vita è un lungo rosario di disastri e salvataggi, disgrazie e rinascite. Dopo ogni caduta, sempre una vittoria. Abbattuto sui cieli del Vietnam, e torturato per oltre 5 anni nel famigerato "Hanoi Hilton", rifiuta la libertà per non venire a patti con il nemico. Al ritorno trova un mondo e una moglie, nel frattempo distrutta da un incidente, che non conosce più. La rinascita è in Arizona. Lasciata la divisa, ricomincia da Cindy, di 17 anni più giovane, figlia del milionario distributore della birra Budweiser. Vince un seggio al Congresso, poi si spalancano le porte del Senato. Ha collezionato miriadi di soprannomi, ma è impossibile da etichettare. Proprio per questo, il nickname più celebre e azzeccato, è "Maverick": un cavallo fuori dal branco. Sincerità e individualismo gli costano la prima corsa alla Casa Bianca, contro George W. Bush, nella più "sporca" campagna che si ricordi. Sconfigge un tumore maligno che gli costa un'altra cicatrice. Al quarto mandato da senatore, l'autobus per la presidenza si rimette a correre dritto fino alla nomination. Camminatore, divoratore di libri, battutista fenomenale, McCain emana fascino magnetico. I democratici sanno che è il peggior avversario possibile. Troppo conservatore per i liberal, troppo liberal per i conservatori.
È "il fenomeno". Barack Obama è l'uomo delle definizioni fuori misura. Per i media è la "rockstar" della politica statunitense. Per i palazzi di Washington, è l'uomo nuovo per il tanto atteso rinnovamento della cultura politica e della classe dirigente, in un paese profondamente cambiato nell'ultimo ventennio, al suo interno e nel rapporto con il mondo. Padre keniota e madre bianca del Kansas, cresciuto nel crogiolo multietnico delle Hawaii e in Indonesia, non è un figlio dell'America in bianco e nero, ma della nuova America multicolore. Senatore dell'Illinois, non è una meteora nell'universo politico statunitense, ma, al di là dell'esito della corsa presidenziale che lo vede protagonista, è destinato comunque a essere per lungo tempo uno degli attori principali sulla scena washingtoniana.
Dovrebbero essere il Tempio della Giustizia. Invece i Tribunali assomigliano sempre di più a luoghi in cui è facile rimanere infangati e affondare nelle sabbie mobili della burocrazia e dell'immobilismo. Luoghi dove il sabato non si fa udienza e dove il ministro Guardasigilli non è libero di promuovere un segretario perché la legge prevede il concorso pubblico anche per sostituire un cancelliere. Dove le intercettazioni telefoniche costano quanto il bilancio di un piccolo Stato e ci vogliono circa 1400 giorni per recuperare un credito. Eppure tra eccessi, paradossi ed esagerazioni ci sono tantissimi rimedi che potrebbero regalare una boccata di ossigeno alle aule dei tribunali, senza bisogno di leggi, dibattiti e contrapposizioni: le notifiche via e-mail, il personale flessibile, gli atti dei processi in CD-ROM, L'abolizione delle fotocopie, gli archivi consumabili via internet, gli ufficiali giudiziari "privati". Rimedi semplici, già a portata di mano, che nessuno però vuole applicare. Per fortuna in mezzo al guado c'è qualcuno che decide di nuotare per conto proprio: un pugno di magistrati sono già riusciti a dare esempi di eccellenza con pochi mezzi e senza soldi (emblematico il caso dell'informatizzazione del Tribunale di Cremona). Dimostrando che nonostante tutto la Giustizia potrebbe funzionare.
Liquidato come un fenomeno passeggero, considerato pericoloso per il riemergere di pulsioni xenofobe, o folcloristico per il richiamo ai riti celtici e alle ampolle, il partito di Bossi ha resistito alla grave malattia del suo leader, uscendo vincitore dalle ultime elezioni. Ormai fuori dal ghetto pedemontano delle valli bergamasche, il Carroccio è avanzato nelle grandi città, nelle fabbriche, nell'Emilia rossa, nel centro del Paese. Di fronte alla disgregazione dei rapporti di forza tradizionali e alla secolarizzazione dei partiti, diventa decisivo interrogarsi sull'enigma di un movimento che non si considera né di destra né di sinistra, e che è l'unico, dopo la scomparsa del Pci, a restare ancorato al territorio. Raccontare la Lega significa provare a spiegare senza tesi preconfezionate, senza pregiudizi ma anche senza fare sconti alle sue derive populiste, l'evoluzione di un partito che ha segnato gli ultimi vent'anni della politica nazionale.
Il libro traccia la storia del Partito comunista italiano – dagli anni dello stalinismo alla stagione del «compromesso storico» con la Democrazia cristiana – in una prospettiva del tutto inedita, tale da ravvisare negli avvenimenti che hanno connotato l’esistenza di quella formazione politica un determinante fattore di ritardo (se non di ostacolo) ai processi di modernizzazione della società italiana all’indomani del secondo conflitto mondiale. Il mito rivoluzionario di continuo emergente nel Pci di Togliatti, Longo e Berlinguer bloccò all’interno ogni ipotesi di riformismo democratico, considerato dai vertici comunisti subalterno al disegno del grande capitale di integrare la classe operaia nel sistema dei valori borghesi. Fa eccezione tra i dirigenti storici del Pci la posizione di Giorgio Amendola (1907-1980), avverso a una linea politica giudicata sostanzialmente sterile e aperto alla collaborazione con i socialisti e le forze di «democrazia laica», fino a proporre la costituzione di un unico partito della sinistra italiana nel segno delle socialdemocrazie occidentali. Delle lotte di Amendola nel Pci, dei contrasti con Togliatti e i suoi epigoni alla segreteria, Ugo Finetti fornisce in queste pagine una analitica documentazione sulla scorta delle più recenti acquisizioni storiografiche. In vita le tesi «miglioriste» di Amendola vennero guardate con sospetto e sconfitttte: a qualche decennio dalla morte, e dopo la dissoluzione del Pci dove fu profeta inascoltato, le idee amendoliane conoscono sorprendente attualità nella generale discussione intorno alle riforme necessarie per far uscire il Paese dalle gravi difficoltà in cui si dibatte. Chi ignorandone l’autore leggesse oggi gli scritti dell’ultimo Amendola su come, per esempio, ridurre il disavanzo finanziario dello Stato o innovare la pubblica amministrazione, avrebbe l’immediata percezione di trovarsi di fronte a un politico di nitido orientamento riformista.
.Welfare state. è ormai diventata un'espressione sconveniente. Da qualche tempo impera una sorta di tirannia degli stereotipi del neoliberismo, impostasi sia sul piano teorico che su quello empirico. Va di moda predicare la destatalizzazione, il trionfo di un ordinamento privatistico su scala globale, l'integrazione pre-politica e pre-statale della società mondiale affidata all'automatico coordinamento del mercato, l'isolamento e la spoliticizzazione dei cittadini, che renderebbero superflua la creazione della cittadinanza e dell'identità civica. Nonostante i ripetuti fenomeni di crisi (specie finanziaria) che attraversano le nostre economie e le nostre società, il neoliberismo non si mostra per niente in disarmo; l'ultima tendenza, che nella versione nostrana ha conosciuto recenti successi editoriali, sta nella sua aggressiva riproposizione .populista., volta a criticare gli eccessi del .mercatismo., e a rilanciare strategie - o tattiche? - di autodifesa protezionistica. Laura Pennacchi affronta in modo ragionato questi influenti luoghi comuni, troppo spesso subiti acriticamente, e ne discute con rigore e competenza, senza rinunciare a quella vis polemica che sembra ormai smarrita. Ne scaturisce una difesa convinta e convincente non solo dell'efficacia, ma anche della moralità delle politiche di redistribuzione, cui lo Stato non può rinunciare se vuole ancora perseguire il suo conclamato presupposto di equità.
Il libro è una raccolta selezionata di articoli che Noam Chomsky ha scritto, a partire dal 2002, per "The New York Times Syndicate" commentando e analizzando la principale notizia del giorno. Sfidare il potere ed esporre le conseguenze globali della politica estera statunitense sono le ragioni alla base di questo libro. Nonostante questi suoi scritti abbiano avuto e continuino ad avere un'ampia risonanza internazionale, sono stati raramente riportati sui maggiori media statunitensi e non sono stati mai pubblicati sul New York Times. Il libro copre la maggior parte delle priorità nelle agende di politica internazionale: dalla presidenza Bush all'invasione dell'Iraq, dalla questione israelo-palestinese alla sicurezza nazionale fino ad arrivare alla minaccia nucleare. Gli articoli raccolti sono stati aggiornati con note dello stesso autore.
Le elezioni del 1948 sono la prima grande battaglia elettorale dell'Italia repubblicana. I mesi che precedono il 18 aprile segnano una svolta nella storia, nel costume e nella politica del paese. Comunisti e socialisti da un lato, democratici cristiani dall'altro, dopo aver collaborato nello spirito dell'antifascismo e dei Cln, si affrontano in una lotta senza esclusione di colpi, scambiandosi accuse infamanti e ricorrendo a ogni mezzo, a ogni parola, a ogni immagine, pur di prevalere sull'avversario. La propaganda prende il sopravvento sulla comunicazione, lo scontro, non solo quello verbale, sul dialogo. Da quella data anche le tecniche e le strategie dei partiti non saranno più le stesse. Il 1948 fissa infatti stereotipi, temi, slogan, poetiche, diventando un imprescindibile punto di riferimento per tutte le successive campagne elettorali che a quell'esperienza si rifaranno continuamente. Il libro di Edoardo Novelli ripercorre gli avvenimenti e le strategie di quella storica campagna elettorale soffermandosi sugli aspetti comunicativi e illustrandola con un'ampia selezione di documenti provenienti da collezioni private e archivi pubblici. Mettendo in luce come ancora oggi, a sessant'anni di distanza, nell'Italia della Seconda repubblica e in presenza di uno scenario completamente trasformato, alcuni dei temi e delle contrapposizioni fissati nel lontano 1948 continuino ad animare le campagne elettorali e ad agitare il confronto politico e sociale.