
Il volume, ripresentato in edizione completamente aggiornata, ripercorre la storia dell'Unione europea, riservando particolare attenzione alle istituzioni comunitarie e al loro funzionamento. Commissione e Parlamento, Consiglio dei ministri, Corte di giustizia e Banca centrale europea svolgono infatti un ruolo di primo piano nel governo dell'Unione, hanno poteri un tempo attribuiti ai singoli stati e sono destinate a incidere sempre più nella vita dei cittadini. Si esaminano infine le politiche e i cambiamenti che, dopo i referendum sulla Costituzione e l'apertura dei negoziati per l'ingresso della Turchia, vanno delineandosi sul futuro dell'Europa anche nei suoi rapporti con il resto del mondo.
C'è vita nella democrazia, dunque è giusto e possibile cercarvi anche la felicità. Che viene dalla nostra normale condizione di cittadini fedeli e infedeli, uomini e donne, persone liberamente associate. Proprio qui sta la possibilità vera della felicità: nella condizione di libertà personale e civile che nasce dalla democrazia, nella consapevolezza che tutti – non io soltanto – esercitano quella libertà e ne riconoscono il limite.
La democrazia non mantiene le sue promesse, la democrazia può deludere quando non produce buona politica e buon governo, quando non risponde alle mie esigenze biografiche. E tuttavia, come si fa il saldo della partita democratica? Scrivi pure quelle poste al passivo, e concludi che viviamo in una fase di bassa qualità della democrazia. Ma tra gli attivi io scrivo la mia (e la tua) libertà, intatta, i miei diritti, i principi d'uguaglianza alla base del nostro ordinamento, la possibilità di informarmi e d'informare, di pregare o di non credere, di studiare e di lavorare, di intraprendere, di governare e di dissentire, in un sistema in cui questo vale per tutti. È difficile, molto difficile, ma l'avvenire contiene molte cose, molte. Queste cose sono atti e fatti. La democrazia chiede che dipendano da noi coscientemente, responsabilmente, attivamente, perfino felicemente quanto è possibile.
L'idea di democrazia, ha scritto Hans Kelsen, implica l'assenza di capi.
In un paese come l'Italia che ha conosciuto il fascismo, l'idea stessa del capo quale espressione della volontà popolare è un'insidia micidiale per il futuro della democrazia.
I poteri, lasciati senza limiti e controlli, tendono a concentrarsi e ad accumularsi in forme assolute: a tramutarsi, in assenza di regole, in poteri selvaggi. Di qui la necessità non solo di difendere, ma anche di ripensare e rifondare il sistema delle garanzie. Solo un rafforzamento della democrazia costituzionale, attraverso l'introduzione di nuove e specifiche garanzie dei diritti politici e della democrazia rappresentativa, consente infatti di salvaguardare e di rifondare sia l'una che l'altra. L'idea elementare che il consenso popolare sia la sola fonte di legittimazione del potere politico mina alla radice l'intero edificio della democrazia costituzionale. Ne derivano insofferenza per il pluralismo politico e istituzionale; svalutazione delle regole; attacchi alla separazione dei poteri, alle istituzioni di garanzia, all'opposizione parlamentare, al sindacato e alla libera stampa; in una parola, rifiuto del paradigma dello Stato costituzionale di diritto quale sistema di vincoli legali imposti a qualunque potere.
Un fenomeno epocale come le nuove migrazioni verso l'Europa poteva essere l'occasione per una scommessa straordinaria: ragionare su una cultura della legalità, coniugata con il principio di solidarietà, collegare i comuni doveri con la capacità di estendere i diritti e di includere nuove popolazioni. Si poteva fare, di questa scommessa, l'orizzonte dell'Europa del futuro. Si poteva fare ma non si è fatto. La nostra ampia e confusa normativa sugli stranieri è sbagliata. È inefficace, non raggiunge gli obiettivi che si propone. Produce ingiustizia. È forte con i deboli e debole con i forti. Basta leggere cosa è accaduto ad Angela, moldava che voleva fare la badante; Hamid, marocchino, baby pusher; Abdel, egiziano e giardiniere clandestino.
Siamo ancora in tempo per cambiare rotta?
Cosa è stata l’Italia nei decenni che vanno dall’Unità alla fine della “Prima repubblica”? Dal conte di Cavour a Silvio Berlusconi, come è cambiato il modo di parlare della nostra classe dirigente? Gabriele Pedullà antologizza i sessanta discorsi più significativi pronunciati dai nostri politici tra il 1861 e il 1994, e ripercorre un secolo e mezzo di storia unitaria attraverso i duelli oratori che l’hanno contrassegnata. Il suo viaggio nei programmi di governo e negli appelli al voto racconta anche una vicenda parallela: quella di una parola letteraria che si è offerta, alternativamente, come modello autorevole per la lingua della politica e come diretta antitesi agli slogan di partiti e movimenti. Emerge così il filo rosso di un tormentato rapporto tra cultura e potere che, muovendo dalla stagione del poeta vate dannunziano, conduce sino alla generazione di narratori degli anni Venti e Trenta: intellettuali come Bianciardi e Pasolini, Calvino e Manganelli, la cui opera ha sovente preso di mira vezzi e vizi della classe dirigente, rivelando agli italiani quanti e quali non detti contenga anche il più cristallino dei proclami politici.Compralo su LibreriaColetti.it
Gabriele Pedullà (Roma, 1972) insegna Letteratura italiana contemporanea all’università Roma Tre e scrive su “Il Sole 24 Ore”. Ha pubblicato: La strada più lunga. Sulle tracce di Beppe Fenoglio (2001), Racconti della Resistenza (2005), In piena luce. I nuovi spettatori e il sistema delle arti (2008) e la raccolta di racconti Lo spagnolo senza sforzo (2009, premio Mondello opera prima). Con Sergio Luzzatto è il curatore dell’Atlante della letteratura italiana (2010-2011).
Praticamente coetanei – uno medico e teologo, l'altro scienziato e filosofo, il primo luterano, il secondo ebreo – Albert Schweitzer, premio Nobel per la Pace nel 1952, e Albert Einstein, premio Nobel per la Fisica nel 1921, si incontrarono solo due volte e si scambiarono una serie di lettere, tutte tra il 1948 e il 1955.
Nondimeno entrambi misero in guardia i contemporanei contro i pericoli di un progresso tecnico-scientifico acefalo, facendo pressioni contro i test e le sperimentazioni della bomba atomica – la cui costruzione, in un primo tempo, Einstein aveva appoggiato nel timore che il regime nazista se ne dotasse per primo – e battendosi per il disarmo nucleare e la pace.
La scoperta della profonda valenza politica insita nell’auspicio di una civiltà dialogica, deve riconoscere a tutti la piena libertà d’espressione, la piena partecipazione politica, le condizioni affinché esse siano effettivamente fruibili. Attraverso questa scoperta si passa dalla presenza e dall’azione al dialogo.
Dal dialogo alla convivenza universale, verso una società che possa diventare effettivamente globale e civile. È la scoperta del valore e della supremazia del dialogo, non solo quale strumento metodologico, bensì quale stile di vita. prassi, ethos: la vita stessa come dialogo. Nasce una nuova sfida: capire se alla prevalente attuale concezione della politica, scomposta, aggressiva, sopraffatta da assordante rumore, generante disagio, possa opporsi, favorendola, una politica costruita attraverso il dialogo vero: silenzio ed ascolto sono elementi imprescindibili.
La nuova sfida è quella di contribuire a dare nuovo vigore ad una nuova e diversa cultura educativa, che vede, nel rispetto dell’altro e nel dialogo, gli strumenti per una civile e produttiva convivenza.
L´Autore:
Eugenio Scagliusi, avvocato cassazionista, autore di diversi studi ed articoli sui temi della bioetica e della politica quale impegno quotidiano nella "polis", ha già pubblicato "La politica... una idea" Ed.VivereIn, 2007.
Il presentatore:
Gaetano Quagliariello, Senatore della Repubblica dal 2006, è attualmente Vicepresidente vicario del PdL. Docente di Storia Contemporanea alla LUISS, collaboratore di diversi giornali e riviste, oltre che direttore di diverse collane, è Presidente Onorario della Fondazione Magna Carta, che ha contribuito a fondare.
Prefazione di Federico Rampini Traduzione Franco Motta e Cecilia Della Casa .
«Questo saggio va usato come un manuale per l’uso del Nuovo Mondo: può insegnarci a recuperare il senso del nostro ruolo di cittadini. Nella globalizzazione ci siamo spesso sentiti troppo piccoli e ininfluenti. Khanna ci spiega che possiamo contare molto, forse contiamo già molto, unendo le nostre forze per essere noi stessi gli attori della mega-diplomazia».
Dalla prefazione di Federico Rampini
Come si governa il mondo è un viaggio attraverso il mondo della diplomazia e della geopolitica del XXI secolo. Parag Khanna, direttore della Global Governance Initiative per conto della New America Foundation, consigliere per la politica estera di Barack Obama durante la campagna presidenziale, racconta la diplomazia del futuro e la geopolitica che dovrebbe guidare le scelte degli anni a venire.
Come si governa il mondo? Quali nuove forze politiche, economiche e sociali riusciranno ad imporre la propria visione sul pianeta? Come si affronteranno le crisi economiche, i conflitti armati, la fame, le malattie e le catastrofi ambientali nei prossimi anni?
In un’epoca globalizzata, segnata da poteri e pulsioni disgregatrici i vecchi equilibri e le anchilosate organizzazioni risultano sempre più incapaci di gestire le relazioni tra Stati e tra territori e persone. Dalle ceneri dell’egemonia di una sola potenza sta nascendo un “ecosistema ipercomplesso”, un “medioevo postmoderno” nel quale l’Est non sostituirà l’Ovest, la Cina non sostituirà l’America e il Pacifico non spodesterà l’Atlantico. Governare lo “spaesamento” di un mondo senza confini sarà la sfida di una nuova generazione di diplomatici. Infatti, fare buona diplomazia oggi significa stabilire relazioni in ogni modo possibile. Ecco che allora avranno un ruolo sempre più importante i filantropi, i policy makers, le multinazionali, le lobby, le ONG e tutti quei soggetti o gruppi di pressione che ben conoscono i meccanismi attraverso cui passano le decisioni di oggi e di domani. È venuto il momento, secondo Parag Khanna, di liberare tutte le energie per costruire la mega-diplomazia del futuro.
Parag Khanna, nato in India, è vissuto negli Emirati Arabi Uniti, USA, Germania. Laureatosi alla Georgetown University, sta svolgendo un Ph.D. in Relazioni Internazionali alla London School of Economics. Segnalato dalla rivista “Esquire” come una fra le settantacinque persone più influenti al mondo, ha lavorato per il World Economic Forum, ed attualmente dirige la Global Governance Initiative per conto della New America Foundation. Nel 2007 è stato Senior Advisor per gli Stati Uniti per le operazioni in Iraq e Afghanistan. È stato consigliere per la politica estera di Barack Obama durante la campagna elettorale. Collabora inoltre con varie testate giornalistiche, fra cui «New York Times», «The Guardian», e «Financial Times». Fazi Editore ha pubblicato nel 2009 il suo I tre imperi. Nuovi equilibri globali nel XXI secolo.
Un’affermata political theorist, Nadia Urbinati, e uno studioso di Relazioni internazionali, Stefano Recchia, hanno raccolto in questo volume i lavori fondamentali di Giuseppe Mazzini, che affrontò con incredibile lungimiranza temi quali la democrazia e l’autodeterminazione dei popoli. Secondo gli autori, l’originalità del pensiero di Mazzini fa sì che la sua importanza sia comparabile a quella di altre fondamentali figure politiche dell’Ottocento come Bakunin, Marx, John Stuart Mill, Tocqueville e Herzen. Precursore dell’idea di un’Europa unita, fu un geniale testimone e interprete delle passioni politiche che animarono il XIX secolo, e uno dei personaggi più carismatici e controversi del Risorgimento italiano. Gli scritti raccolti ne Il futuro delle nazioni confermano la grande modernità della sua visione filosofico-politica, in cui viene mostrato come l’aspirazione universale alla libertà degli esseri umani, l’eguaglianza e la pace possano realizzarsi solo attraverso una visione del mondo basata sul pacifismo e sulla liberal-democrazia, tra nazioni indipendenti che abbiano sviluppato al loro interno istituzioni democratiche.
Nei due decenni passati Mohamed El Baradei ha ricoperto un ruolo chiave nei conflitti più delicati del nostro tempo, mantenendo la propria credibilità di interlocutore sia nel mondo arabo sia in Occidente. Egiziano e strenuo oppositore del regime di Hosni Mubarak, nel 1997 viene nominato direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, rendendosi protagonista di battaglie diplomatiche in cui denuncia l’ipocrisia del regime di non proliferazione nucleare, l’assoluta non cooperazione dei servizi segreti, il continuo raggiro delle regole a discapito dei concordati, della diplomazia e della collaborazione dei Paesi in possesso di armamenti.
Quando necessario, nella sua veste di diplomatico, non ha esitato ad ammonire l’operato degli inglesi, degli israeliani e soprattutto degli americani: nel 2003 smentì clamorosamente la presenza di un piano bellico nucleare di Saddam Hussein.
Per i suoi sforzi nel controllo della prolificazione delle armi nucleari, El Baradei e la sua agenzia hanno ricevuto nel 2005 il Premio Nobel per la Pace.
Per la prima volta in un libro, racconta dei suoi dodici anni passati alla guida dell’AIEA: le discussioni avvenute prima dell’invasione americana in Iraq, tra gli ispettori Onu e Dick Cheney, Condoleeza Rice e Colin Powel. Le richieste di Mubarak, di Gheddafi, i difficili rapporti con Ahmadinejad, la ricerca di diplomazia con Siria, India e lo scontro lacerante con Israele. In questi giorni, mentre il suo libro è pronto per andare in stampa, El Baradei ha infiammato, con i suoi interventi, Piazza Tahrir e a lui si guarda come uno dei probabili candidati alle prossime elezioni presidenziali egiziane.
MOHAMED EL BARADEI
(Il Cairo, 17 giugno 1942) è un diplomatico egiziano. E’ stato per anni l’ambasciatore del suo Paese presso l’Onu. Ha studiato diritto all’Università del Cairo, dove si è laureato nel 1962. Ha proseguito gli studi a New York, nel 1974 ha conseguito un dottorato in diritto internazionale presso la New York University. Nel 1984 entra a far parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) fino a diventarne il segretario generale dal dicembre del 1997 al novembre del 2009. Dal 27 novembre 2002, assieme a Hans Blix, ha guidato gli ispettori Onu e dell’Aiea nell’ambito della risoluzione Onu 1441 per il disarmo delle armi di distruzione di massa. Nel 2005, per il suo impegno come direttore dell’Aiea, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace.
Una storia delle idee (soprattutto) politiche sviluppatesi in Italia in centocinquant’anni di Unità, scritta da uno dei più autorevoli, conosciuti e appassionati studiosi di Storia delle dottrine politiche. Uno strumento per capire il presente, dove il rigore dell’approccio storico si coniuga a una scrittura pienamente godibile. D’Orsi segue le idee nel loro tragitto, cercandole non solo nei trattati e nella pubblicistica, ma anche in una più vasta produzione letteraria, drammaturgica, artistica, cinematografica: si delinea un percorso che dalla creazione delle idee da parte degli intellettuali giunge alla loro divulgazione da parte di giornalisti e insegnanti, fino all’ingresso nel senso comune. Il libro ricostruisce le biografie dei singoli intellettuali e dei gruppi di cui fanno parte (facoltà universitarie, riviste, movimenti culturali, partiti politici…), descrivendo con efficacia i loro incroci e i rapporti con la società, il potere e il mercato.
Albert Otto Hirschman, economista, sociologo, storico delle idee, mette a fuoco il principio intorno al quale girava, e gira, la politica moderna: l'interesse. Hirschman non sottovaluta il ruolo svolto dalle motivazioni materiali in altre epoche, ma sostiene che i moderni siano stati gli unici nella storia a teorizzare sistematicamente la "naturalità" dell'interesse come spontanea e benefica. Hirschman ricostruisce la genealogia storico-culturale del moderno concetto di interesse, indicando gli autori che, tra il Cinquecento e il Settecento (grosso modo da Machiavelli a Smith), ne avrebbero giustificato il ruolo positivo nella vita sociale, economica e politica. Due fattori avrebbero giocato un ruolo determinante: la tesi della forza pacificatrice degli interessi (nel senso che mentre lo scontro tra le passioni può provocare conflitti, il misurato calcolo degli interessi in gioco può evitarli) e la capacità dei moderni di tradurre, grazie alla diffusione del denaro, l'interesse in termini di guadagni e perdite monetarie, oggettivamente quantificabili. Una pietra miliare del pensiero sulle origini e le motivazioni razionali del capitalismo, un libro fondamentale per capire la quotidianità economica e politica.